IO TI ASPETTO

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A nonno, il mio angelo.

«Siete pronte? Preparatevi che partiamo fra dieci minuti. Intanto vado a portare la macchina fuori» disse mio padre mentre scendeva le scale per andare in garage.

«Sì, dammi il tempo di truccarmi un po' e sono pronta» urlò mia sorella a papà che si trovava al piano sottostante.

Mancava solo la mia risposta. Preferii non rispondere, tanto la risposta la sapeva già, era la stessa ogni anno. Mi misi le cuffie, feci partire la musica e entrai in macchina. Appoggiai la testa al finestrino e mentalmente chiesi aiuto affinché quella giornata non mi distruggesse come tutte le altre. Mio padre accese la macchina e partimmo. Il tragitto non fu lungo. Quando scendemmo dalla macchina le mie gambe stavano tremando. A passi lenti, io e la mia famiglia, ci incamminammo verso l'entrata di quella che da ormai cinque anni era diventata la casa di nonno. Secondo piano, seconda camera, erano queste le "coordinate". Salimmo le scale, attraversammo il corridoio ed ecco arrivati. La porta era aperta, entrai per ultima con un grande, anzi, un grandissimo sforzo. La prima cosa che fecero mia sorella e mio papà fu quella di fargli gli auguri e di andare a baciarlo sulla guancia. E io? Cosa feci? Abbassai lo sguardo, mi girai verso l'armadio e aspettai che le lacrime iniziassero a scendere. Stessa storia, ogni anno non riuscivo a salutarlo e questo mi distruggeva. Presi il fazzoletto che, per precauzione, precedentemente avevo inserito nella giacca e iniziai ad asciugare le lacrime che continuavano a scendere. Feci un respiro profondo, mi girai e andai verso il letto. Appoggiai la mano sulla ringhiera per paura che le gambe da un momento all'altro smettessero di sostenere il mio corpo.

«Auguri nonno, buon compleanno» dissi con la voce spezzata.

Lo baciai sulla sua guancia fredda e solo in quel momento mi accorsi delle fotografie sul suo comodino. C'erano le foto di lui che porta a spasso con il passeggino me e mia sorella e di tutta la nostra famiglia riunita per il nostro quinto compleanno. Un mondo di ricordi, in quell'istante, mi passarono davanti. Ricordi che vennero interrotti dall'infermiere che chiese a mio papà di potergli parlare in privato. Lui, prima di seguire il ragazzo, chiese a mia sorella un cappuccino macchiato, poco zuccherato, che lei andò a prendere nella sala relax al pianoterra. Rimanemmo io e lui. Stava dormendo, gli iniziai a parlare del più e del meno quando un attacco di sonno all'improvviso si fece padrone del mio corpo.

«Se appoggiassi la testa sul materasso per qualche secondo non se ne accorgerebbe nessuno» pensai tre secondi prima di collassare in un sonno profondo.

* * *

«Sofia? Sei pronta?» disse una voce, era una voce maschile, ma non era quella di mio papà e non mi sembrava neppure quella dell'infermiere.

Era una voce forte, ma allo stesso tempo dolce. Ero troppo curiosa, chi poteva essere? Non mi rimaneva altro che aprire gli occhi e bloccare quella curiosità appena sbocciata. Piano piano aprii gli occhi: all'inizio vidi la stanza, che notai subito non essere la stanza della casa riposo, ma la mia. E poi lo vidi. Non ci potevo credere, era davvero lui ed era davanti a me. Avvicinai le mani, chiuse a pugno alla faccia e strofinai violentemente le nocche contro le palpebre per essere sicura che non fosse solamente frutto della mia egregia immaginazione. No, non lo era. Mi alzai dal letto velocemente e gli andai incontro come le ragazze raggiungono i loro fidanzati dopo una lunga separazione. Stessa scena.

«Ma buongiorno, come siamo vivaci questa mattina!» disse mio nonno.

«Mi raccomando fa' che questa tua energia rimanga per tutta la durata della giornata!» aggiunse poi accennando un sorriso.

Quanto mi era mancato quel piccolo movimento delle labbra?

«Agli ordini capo!» risposi con un cenno da capitano, cosa che lo fece ridere.

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