Immeritato

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C'era un detto, a quei tempi: "Ishida Mitsunari non si merita due cose: il castello di Sawayama e Shima Sakon".

Ishida Mitsunari era daimyo da più di un mese ormai, ma ancora non aveva un braccio destro, un ufficiale di cui potesse fidarsi. Il suo signore, Hideyoshi, era entrato più e più volte nella stanza del tè del castello di Sawayama, possesso in quel momento proprio di Mitsunari, dicendogli quasi per gioco quando si sarebbe trovato un ufficiale. All'inizio pensò subito a Otani Yoshitsugu, se solo questo non si fosse rifiutato per via della propria malattia. Una notte, troppo immerso nei pensieri per poter dormire, si ricordò della morte di Tsutsui Junkei, uno dei potenti daimyo alleati di Hideyoshi, e si ricordò anche del braccio destro di Junkei, un generale di nome Shima Sakon. Aveva sentito della sua incredibile forza, del suo grande coraggio e della sua incrollabile lealtà, ma sapeva anche che si fosse ritirato dalla vita militare. Quella stessa notte Mitsunari chiamò almeno tre dei suoi servi e disse loro di volere Shima Sakon al proprio castello il mattino successivo.
Mitsunari non credeva che Sakon si sarebbe presentato; invece era proprio lì, davanti a lui, mentre si toglieva il proprio inconfondibile cappello di paglia e si inchinava al suo cospetto.
<Non farò troppi giri di parole. Se diventerai mio ufficiale, ti darò metà feudo.>
L'uomo non se lo fece ripetere due volte: il giorno dopo Shima Sakon era ufficialmente il braccio destro di Ishida Mitsunari.
Fu allora che quel detto cominciò a girare.

<Sapete, ci sono due cose fin troppo belle per Ishida Mitsunari. Una è il castello di Sawayama, ma l'altra è qualcosa che si meriterebbe ancora meno. Sì, il generale Shima Sakon avrebbe bisogno di un vero signore, non di Mitsunari!>
Avrebbe potuto fermare tutto lì, avrebbe potuto catturarli e farli decapitare tutti, avrebbe potuto; invece Ishida Mitsunari si limitò ad allontanarsi da lì, un luogo che non avrebbe dovuto nemmeno calpestare. Era stato invitato in un villaggio non troppo lontano dal proprio castello, ma non sapeva che ci fosse certa gente in giro. Certo, sapeva di quel detto; i suoi soldati lo avvisarono non appena ne vennero a conoscenza, e ormai girava da anni, addirittura da prima della morte del suo signore, Hideyoshi. Ma, in ogni caso, non poteva accettare di sentir uscire quelle parole dalle bocche di persone inutili proprio davanti ai propri occhi. Camminava solo, verso l'uscita del villaggio: lì sarebbe salito sul suo cavallo e avrebbe fatto ritorno a Sawayama. Chiunque poteva vedere che fosse irrimediabilmente irritato già da quando, entrando nel castello, non rivolse nemmeno lo sguardo ai guerrieri di guardia. Rispose in malo modo e scacciò persino uno dei suoi sottoposti che si proponeva di togliergli le calzature. Non salutava nessuno, non guardava nessuno in faccia. L'unica cosa che voleva davvero era tornare nelle sue stanze, e ci sarebbe anche riuscito facilmente, se solo tra lui e l'oggetto del proprio desiderio non si fosse frapposta una certa persona.
<Ishida! Sei tornato, dunque.>
Mitsunari alzò lo sguardo da terra, fissando controvoglia negli occhi l'uomo davanti a lui. La barba, quei capelli che gli erano sempre sembrati estremamente soffici, gli occhi del colore delle nocciole, tutto ciò lo rendeva inconfondibile.
<Sakon. Non ho tempo di discutere.>
<Ehi, ehi. Nemmeno due chiacchiere davanti a una tazza di tè?> chiese quasi implorando il samurai.
<No. Voglio riposare.> rispose Mitsunari, soffrendo in silenzio. L'ultima cosa che avrebbe voluto fare era proprio ignorare una richiesta come quella, ma si trovava quasi costretto.
<Ne sei convinto?>
<Non insistere!>
Mitsunari gli urlò in faccia in modo così violento che Sakon quasi si spaventò. Il daimyo non poteva più guardarlo negli occhi.
<Perdonami,> rispose inchinandosi il samurai <ma sei sicuro di star bene?>
<Sto benissimo.> fu la risposta con cui Mitsunari lo liquidò, superandolo senza nemmeno salutarlo e dirigendosi verso le proprie stanze. Egli lasciò così un Sakon decisamente confuso in mezzo ai corridoi del castello; fortunatamente per lui, stava passando di lì proprio in quel momento Otani Yoshitsugu, che sapeva essere uno degli amici più stretti di Mitsunari.
<Otani!>
<Shima Sakon.> lo chiamò Yoshitsugu, con la sua solita freddezza, da dietro il velo che gli proteggeva metà volto.
<Ho bisogno di sapere una cosa.>

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