CAPITOLO 1

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Come ogni mattina, pioveva a dirotto. Uscì di casa senza ombrello, e mi diressi verso scuola ascoltando le canzoni dal mio Ipad. Questo per me era uno tra i nuovi inizi della mia vita. Per ora ce ne furono già sette. Vivo in una società in cui esistono dei Clan, che sarebbero le famiglie di essa. E poi c'è una società più elevata, una classe sociale molto più alta e con in mano più potere. Quest'ultima è chiamata la società dei Grandi Capi. Essi decidono per noi ciò che dobbiamo fare. Da quando i miei genitori hanno acconsentito ad unirsi alla società ci sono state date delle regole e degli oggetti solo per noi, che col tempo abbiamo imparato ad utilizzare. Ci hanno dato un telefono che ci permette di comunicare con tutti i Clan e con i Grandi Capi, e ce ne hanno distribuito un altro per la vita normale. Ci è stato regalato un tablet che si aggiorna ogni 24 ore con scritto le missioni che dobbiamo compiere giornalmente. Le missioni sono attribuite dai G.C.( Grandi Capi). Inizialmente i miei genitori non volevano farmi sapere nulla, ma alla fine hanno dovuto cedere. Certo, spiegare ad una bimba di cinque anni che avrebbe dovuto lavorare da agente segreto fino alla morte, sarebbe stato un po' difficile. Ma alla fine ce l'hanno fatta. Ovviamente per me era strano, pensavo stessero scherzando, voglio dire, a cinque anni pensavo che non esistessero gli agenti segreti, e per me era come un sogno che esistessero. Ma da quando i G.C. mi hanno imposto di fare allenamenti sia utilizzando le armi, sia il mio corpo, è stato difficile. Molte volte ho minacciato i miei genitori di andarlo a dire in giro alle persone normali. Ah ecco, queste società sono tenute all'oscuro da tutto il mondo, nessuno deve saperlo tranne chi fa parte di qualche Clan. Lo Stato non deve sapere niente, e se dovesse scoprire qualcosa, anche per sbaglio, noi verremmo distrutti assieme alle nostre famiglie. I nostri genitori hanno lavorato come agenti segreti da giovani e quando hanno scoperto di aspettare qualche figlio hanno aspettato i loro dieci anni per mandare loro a svolgere delle missioni. È come se noi fossimo gli schiavi della società. E certe volte mi pento di farne parte, ma non posso farci nulla. In questi cinque anni ho imparato ad utilizzare il mio corpo e il mio cervello e sto migliorando tuttora le mie capacità. Ogni abitante di ogni Clan possiede una chiave in grado di aprire dei mondi paralleli privati e in comune. Quelli privati sono le nostre case, e quelli in comune sono con tutti gli altri Clan, che usiamo durante le festività e per la nostra vita quotidiana. Invece per andare a scuola torniamo nella Terra normale. Arrivata in classe decido di sbirciare nel tablet e stranamente scopro di non avere missioni. Finalmente un po'di pace. Mi siedo nel primo banco vuoto, da sola, e lentamente comincio a tirare fuori la roba dallo zaino. Dopo pochi minuti entra la professoressa di fisica e comincia a spiegare per le seguenti due ore. E altre due passano molto velocemente, arrivando così all'ora di pranzo. Non ho ancora conosciuto nessuno, ma forse in mensa farò amicizia. Al suonare della campanella ripongo i quaderni e l'astuccio nello zaino e aspetto che i miei compagni escano dall'aula. Dopodiché li seguo fino all'ascensore. Da ciò che mi ricordo la scuola ha tre piani e la mensa è al terzo. Le varie classe dei corsi differenti sono nel primo e nel secondo, e nel terzo, assieme alla mensa, ci sono i laboratori. Questa scuola era molto costosa, è una scuola privata, e penso si essere l'unica a far parte di un Clan. In caso dovessi fare amicizia, o prendere fiducia e confidenza con qualcuno, non devo mai raccontare nulla che abbia a  che fare con le società segrete. I miei genitori sono riusciti a pagarmi questa scuola perché, facendo parte dei Clan, certe volte i G.C. alla fine di ogni missione ci ripagano con delle ricompense, spesso o sempre in oro. Arrivata alla mensa provo a capire come dovrei procurarmi del cibo. Vedo lunghe pareti di finestre rettangolari bordate di legno pregiato marrone. I vetri sembrano appena stati puliti, talmente splendono e sembrano riflettere come degli specchi. Al centro dell'enorme sala si trovano sei lunghe tavolate, ognuna da quaranta posti. Vedo i ragazzi più grandi che prendono posto nel primo tavolo. Alcuni ragazzi notano che quello era il mio primo giorno e cominciano a guardarmi come se fossi estranea. In realtà lo ero. Non ci faccio molto caso e continuo a guardarmi intorno seguendo la coda e facendo attenzione. Le sedie sono arancioni e i tavoli azzuri o blu. Per prendere il cibo devi prima fare la fila e prendere il vassoio. Dopo aspetti che la cuoca serva la persona davanti a te e poi c'è il tuo turno. Da mangiare c'è una vasta scelta e decidi tu quello che ti piace di più.

Una vita in fugaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora