Capitolo uno

902 117 510
                                    

Era il suo ultimo tiro a biliardo per quella sera. Si chinò appena sul tavolo verde per prendere la mira e se lo ritrovò alle spalle, le mani a cingerle i fianchi, facendola sbagliare.

«Carlos, lo sai che non sei il mio tipo, levami quelle luride mani di dosso se non vuoi festeggiare Los dias de los muertos in anticipo.»
La bella mora si sganciò dalla presa dell'uomo, poggiò la stecca contro il muro e si spostò, in direzione del tavolino, qualche passo più in là.

Ci si premette contro, ma senza sedersi. Incrociò i piedi, che avevano appena prodotto un piccolo ticchettio nel pavimento. Aveva uno sguardo quasi divertito da quello che aveva detto, un po' perché adorava quella festa che le ricordava chi fosse realmente e un po', perché sarebbe stata capace di farlo sul serio.

Mentre si allontanava, Carlos le diede una manata sul culo pensando che prima o poi, l'avrebbe avuta ai suoi piedi; in ogni caso lo divertiva quel siparietto. Sì, con tutta probabilità gliel'avrebbe fatta pagare, ma che importava? Le sorrise, inconsapevole di stare giocando col fuoco, e lei pensò che fosse troppo stupido persino per perdere tempo a farlo sparire.
In tutto questo, i cinque altri presenti in quella stanza seduti intorno al tavolo sghignazzavano, stupidi come sempre. Tutti tranne uno.

Il moro dai capelli tagliati cortissimi a capotavola la fissava. Era indeciso se quella donna gli piacesse; esteticamente era davvero bella e in più aveva carattere, ma nonostante la conoscesse ormai da più di sei mesi, non si fidava fino in fondo. Eppure più volte aveva dimostrato di essere una a posto, o almeno così sembrava. Stava decidendo cosa farne e decise che l'avrebbe scoperto presto.

«Coraggio, Isabel, non fare la preziosa, non mi dirai che non ti piace Carlos», le disse con il viso appoggiato alla mano, il gomito sul bracciolo della sedia.
Aveva l'aria di essere rilassato e a suo agio. La camicia bianca appena aperta sul petto, i jeans neri. Lo sguardo impassibile, ma le labbra corrucciate in una smorfia divertita.

«Tanto quanto la sabbia nelle mutande. E ora, se abbiamo finito con le domande stupide, io andrei avanti.» Sapeva che fosse un azzardo rispondere così proprio a lui, ma non le andava di stare zitta. Era fatta così. Si ripeteva spesso che avrebbe dovuto contare fino a dieci prima di aprire bocca. Prima di finire nei guai.

«Mi spiace, bellezza, per quanto mi piaccia la tua visione stavolta devi andartene. Sono discorsi da uomini e non ti riguardano», incalzò lui. Le indicò la porta con lo sguardo. Il suo viso era glaciale a dispetto della voce suadente.

Lei decise di non sfidare la sorte ancora una volta e, stretta nei pantaloni attillati che ne mettevano in evidenza il fisico statuario, fece una breve sfilata intorno al tavolo. Arrivò alle sue spalle, si inchinò appena su di lui, gli poggiò una mano sulla spalla e gli sussurrò all'orecchio:
«Obbedisco, Dante. Ma solo perché mi hai fatto un complimento insieme all'ordine di uscire, sappilo.»

Il suono della sua voce, il suo respiro così vicino all'orecchio e l'odore del suo profumo cominciarono a innervosirlo. Evitò di voltarsi e di trovarsi quegli occhi verdi piazzati a così poca distanza dai suoi. Le afferrò il polso premendo di proposito sopra uno dei suoi numerosi braccialetti, si sganciò la sua mano di dosso e le indicò per l'ennesima volta la porta.

Isabel gli sorrise beffarda e, girando su sé stessa, andò a passo lento e ancheggiante verso l'uscita, in una camminata che i presenti trovarono decisamente sexy. Girò la maniglia e uscì.
Fu inondata all'istante dalla musica e dalla confusione a dispetto della stanza in cui si trovava fino a qualche secondo prima. Si fece largo tra la gente e si diresse al bagno, l'unico posto in cui per un momento riusciva a prender fiato.

Una biondina in abito strizzatissimo color oro si stava ripassando il rossetto davanti allo specchio. Entrò in una delle piccole toilette, chiuse la porta a chiave, abbassò la tavoletta, ci si sedette sopra e si massaggiò il polso.
Quello stronzo lo aveva stretto davvero forte. In una situazione normale, pensò, gli avrebbe fatto volentieri raccogliere i denti dal pavimento. Ma qui era tutto fuorché normale. Respirò a fondo e poggiò la schiena contro le fredde pianelle.

UndercoverDove le storie prendono vita. Scoprilo ora