PROLOGO

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'Elizabeth Miller..' pronuncio il suo nome e cognome più volte, mentre la guardo che insegna ai bambini.
Sta cantando una canzone che ormai conosco pure io a memoria, a causa di mia sorella più piccola.

Sto seduto su una delle panchine, la osservo e studio i suoi movimenti fluidi e precisi.
La vedo mentre si muove come se sapesse ogni centimetro della pista. È elegante e sicura di sé.

L'abito che indossa è azzurro nella parte sopra e sfumato di bianco sotto. Con le luci si possono notare perfettamente i brillanti presenti sul petto.

La luce è sparata su di lei, la sua pelle pallida e liscia, il suo sorriso caldo e contagioso, le sue gambe ben allenate.
Si prende un po' di tempo per decidere un salto. Sicuramente consapevole che se avrebbe eseguito un salto difficile, i bambini si sarebbero fatti male replicandolo, quindi decise per semplice toeloop, che esegue comoda. Molto pulito.

I bambini sospirano felici e provano a rifare lo stesso salto fallendo, ovviamente.
Lei smette momentaneamente di cantare espandendo, invece, per tutta la sala da pattinaggio una fragorosa risata.

<<Ragazzi!>> li incita, facendo cenno con la mano di raggiungerla.
Il ritmo della musica è nell'aria e le parole escono dolcemente dalla bocca di Elizabeth Miller.

Il suono delle risate dei bambini che cercano di acchiapparla invade la palestra, facendone l'eco. I pattini sul ghiaccio fanno un suono rilassante, ma allo stesso tempo, soprattutto quando lei frena di scatto per far prendere fiato ai bambini, fastidioso alle orecchie.

Tolgo un attimo lo sguardo da lei e guardo il mio orologio sul polso sinistro, che segna le 19.45. Tra un quarto d'ora devo portare Cloe a casa e poi andare a lavoro, in una discoteca al centro della città.
Mi dispiace ogni volta lasciarla da sola a casa di notte, non si lamenta mai quella piccola creaturina adorabile.

Dieci mesi fa sono morti i nostri genitori in quell'incidente stradale, fortunatamente io avevo già compiuto 18 anni e quindi non ci fu bisogno di separarci e di portare Cloe in casa famiglia.

I nostri parenti non hanno alcuna voglia di prenderci cura di noi, quindi stiamo rimasti nella casa dei nostri genitori.

Quindi ora sono io a dovermi occupare di lei, pagarle la retta scolastica e quella sportiva. Ma siccome, per fare tutto ciò, faccio due lavori, uno di giorno l'altro di sera, non ho mai tempo per lei e mi dispiace.

Cerco mia sorella in mezzo ai bambini, ma inaspettatamente non la trovo. La cerco in giro, magari si sta facendo i fatti suoi, ma niente.

'Dove ti sei cacciata?' mi guardo attorno.

La trovo attaccata alla porticina bassa in ferro che ti porta direttamente alla pista di ghiaccio.

Strizzo gli occhi per vederla meglio, dato che ho dimenticato gli occhiali, e noto che sta piangendo. Mi addolcisco alla scena, e preoccupato cerco di attirare la sua attenzione.

Cerco di chiamarla, ma la radio e la voce di Elizabeth non mi aiutano affatto, in più Cloe è concentrata a tremare come una foglia, invece di chiamare aiuto.

Mi alzo e porto in aria le braccia muovendole, sperando che mi veda, ma niente da fare.

Vorrebbe pattinare, e lo sa fare benissimo, ma da quando si è distorta la caviglia facendo un salto, ha paura di farlo. Non vuole proprio saperne di passare di nuovo un mese d'estate chiusa in casa a non fare niente.
La sua paura vince sulla forza di volontà, costringendola ad avere ripensamenti ogni volta che prova a mettere piede sul ghiaccio.

Provo per qualche minuto a muovere le braccia invano, continua a guardare la pista di ghiaccio con paura e desiderio. Però ho catturato l'attenzione di un'altra persona. Mi sta fissando curiosa. Mi giro verso di lei, indicando la mia Cloe che piange.

Inseguendo un desiderioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora