Ricordi

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La sua testa pulsava al ritmo dei rumori di fondo che riusciva a percepire.
Davanti a sé vedeva una vasta distesa nera ormai da quel che sembravano giorni, non capiva se fosse perché avesse gli occhi chiusi o perché quella era la sola vista che il posto in cui si trovava poteva offrire.
Non capiva neanche se fosse ancora viva: i muscoli non rispondevano ai comandi che lei cercava di dare, e sentiva le voci ovattate, come se provenissero da un altro luogo.
Ogni tanto, nei momenti in cui la noia la assaliva, le tornavano in mente dei ricordi confusi della sua vita.
Quello meno recente risaliva a quando aveva sette anni, seppur non ne fosse sicura.
L'erba di un campo in cui si trovava nel ricordo, le arrivava alla fronte. Le pungeva il naso e le solleticava il viso, per questo ogni tanto rideva.
La candida risata di una bambina che ancora nota il sole dove chiunque vede solo l'ombra.
Davanti a lei si stagliò un'alta figura che la sovrastò, la prese dal busto e la fece girare velocemente. Un'altra risata le scappò dalla bocca.
«Ecco dove eri, Maria».
«Sono brava a nascondermi!» disse al fratello ancora con un sorriso sul volto.
«Certo che lo sei, ma ora torna a casa».
Il fratello la prese per mano e l' accompagnò lungo la via per il paese.
Non sapeva cosa fosse successo dopo perché poi il ricordo si fondeva con un altro.
Lei era nascosta dietro ad una porta mentre origliava la conversazione di due adulti: i suoi genitori.
Parlavano a voce bassa, parevano a tratti preoccupati, a volte arrabbiati e in altri momenti sfiniti.
Riusciva a capire che l'argomento fosse molto serio ma quale fosse, non lo sapeva. Sua madre provava a dire a suo padre che non potevano farci nulla: non avevano carte per dimostrare che quel terreno fosse loro.
Suo padre ribatté che quei campi erano della sua famiglia da intere generazioni. La voce femminile gli diede ragione ma aggiunse che al giudice in tribunale non sarebbe interessato e tanto valeva vendere le terre invece che perderle.
Poi suo fratello la scoprì ad origliare il discorso. «Vieni Maria, dobbiamo capire anche noi cosa sta succedendo» bussò alla porta ed insieme entrarono nella stanza.
La cucina non era grande, accoglieva sei persone ed era fornita anche di una stufa da poco comprata. Quella precedente si era rotta durante l'inverno di due anni prima, e per comprarla i suoi genitori avevano dovuto vendere dei gioielli di famiglia.
Non erano ricchi ma grazie ai terreni ereditati dagli avi, se la cavano e non soffrivano la fame.
«Vedete ragazzi - il padre sembrò esitante - la SADE vuole comprare i nostri campi per costruire una diga, ci hanno offerto un po' di soldi ma ovviamente noi avremmo rifiutato subito se potessimo attestare che sono di nostra proprietà - sembrò rattristarsi ancora di più - purtroppo i nostri parenti non andavano dal notaio e così non ne abbiamo la possibilità»
Lei era triste.
«Quindi non potrò più giocare con le mie amiche nei campi?»
La madre fece un sorriso amaro, come se ci fosse qualcos'altro dietro che lei non poteva capire.
«In ogni caso, ora non pensateci ragazzi e andate a dormire».
Nel ricordo successivo aveva dieci anni, per quanto ne potesse sapere, ed era sopra al monte Toc a guardare i cantieri dall'alto.
Più macchinari di quanti avesse mai visto in tutta la sua vita si erano radunati nella stretta gola e sopra, la zona era gremita da numerosi operai che si recavano a lavoro.
Guardò i vecchi terreni della sua famiglia ancora intatti, sarebbero rimasti così per ancora poco tempo.
«Tu lavori là?» chiese al fratello.
Lui le accarezzò la testa dolcemente, «Si Maria, anche se a volte può fare paura. Per fortuna ho trovato buoni amici nel cantiere e ci danno i soldi che servono per vivere» le disse. Non sembrava affatto contento.
Una brezza gentile la investì dell'odore di primavera e venne portata in un altro posto.
Era rivestita da un velo nero. E come lo era la sua pelle, anche i suoi pensieri erano così.
Non vedeva niente, o forse non voleva vedere niente.
I suoi occhi erano offuscati da un velo di lacrime che appannavano la sua vista.
Distingueva a malapena i contorni delle figure delle diverse persone presenti al funerale.
Stringeva con forza la mano di sua madre.
«Andrà tutto bene, Maria» ma quelle parole non erano pronunciate con la calda e famigliare voce di suo fratello.
Si rese conto che non avrebbe più sentito la sua voce.
Le rimanevano solo qualche foto in bianco e nero così sgranate che quasi non distingueva il volto del fratello, e l'odore della sua camera che ben presto sarebbe svanito.
Un uomo si avvicinò alla madre prima che la celebrazione iniziasse e si fermarono a parlare.
L'uomo non era triste e nemmeno addolorato, piuttosto sembrava avere una certa fretta di lasciare quel luogo. Aveva le mani curate e con una reggeva una valigetta ventiquattrore, probabilmente stava per andare a lavoro.
La madre aveva il corpo sporto in avanti e con un dito indicava l'uomo che aveva difronte a se. Era distrutta e arrabbiata, accusava lo sconosciuto ma il suo tono di voce restava sempre abbastanza basso per non farle sentire il discorso.
Lei decise di avvicinarsi, non fu molto ciò che capì da quella diatriba, solo la parte in cui la madre accusò la SADE di non aver garantito la sicurezza.
Il tipo se ne andò poco dopo e Maria capì che il fratello non era stato ne il primo e ne sarebbe stato l'ultimo a perdere la vita sul posto di lavoro.
«Vieni, sta per iniziare la celebrazione, a quanto pare i soldi sono più importanti della vita» le disse la madre dopo essersi accorta che stava origliando.
Le corde vocali si rifiutarono di funzionare. «Perché?» chiese con fatica, non ebbe risposta.
I suoi pensieri cambiavano quindi scenario: era il nove ottobre 1963, poteva essere una data qualsiasi se non fosse stato il suo compleanno.
Per festeggiare i suoi diciassette anni era scesa a Longarone con due amiche. Volevano solo fare festa.
I suoi genitori l'avevano accompagnata e dato che sarebbe stata  trasmessa una partita di calcio si erano fermati in un bar del paese.
A lei non interessava molto di quello sport, li salutò velocemente e si avviò con le sue amiche verso un locale.
Erano lì da un paio di ore quando un forte vento si alzò. Per i primi secondi sembrava un normale temporale, molte persone chiacchieravano senza badarci, ma poi si accorsero che non era affatto così.
Il cuore le saltò in gola, le si chiuse lo stomaco e vomitò. Stava per morire per mano di ciò che il fratello aveva contribuito a costruire.
Si ricompose subito dopo, pensò che lui non avrebbe mai voluto che si arrendesse ad un destino già segnato.
Avrebbe voluto correre dai suoi genitori ma con quella confusione in testa non riusciva ad orientarsi.
Corse.
Ogni tanto inciampò sul vestito ma lei si rialzò ogni volta e continuò a correre il più lontano possibile dalla diga.
Quando si accorse di non avere più tempo entrò dentro al primo bar che vide.

Niente.

Non seppe più niente.
L'onda aveva distrutto tutto ciò che era in suo potere, ogni forma di vita che fosse stata in mezzo alla sua strada. Non le era importato neanche di chi non si era ancora affacciato al mondo.

Qualcuno la prese in braccio, riuscì a sentire cosa disse:
«È viva per miracolo, probabilmente paralizzata dalle gambe in giù se è fortunata».
«Povera ragazza, avrà perso tutta la sua famiglia e dovrà vivere da sola» disse un'altra voce.
Sola.
La sua famiglia era morta, e aveva appena sentito di non poter più camminare. Sapeva di non avere più nessuno in quel mondo.
Valeva la pena sopravvivere?
Aveva avuto senso scappare se ora non aveva nessuno?

Una lacrima cadde a terra, una sola lacrima.

Ricordi di una ragazza solaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora