Prologo

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Tutti dicono che l'adolescenza è una fase molto particolare, colma di incomprensioni con i genitori e momenti di incertezze.
Ma alla fine è tutto dovuto al mondo in cui viviamo, un mondo che segue degli schemi ben precisi e una società che non ti accetta se ne esci fuori.
Parliamo di futuro alternativo, noi stessi vogliamo essere tali, ma ogni cambiamento radicale ci spaventa tanto che attualmente le novità sono superficiali e di poco valore.
Ho capito davvero cosa fosse l'adolescenza verso i 15 anni, quando ho intrapreso un anno di passività totale: ho smesso di continuare ogni mia passione ad eccezione di qualcuna che portavo avanti con poco vigore e poca tenacia. Non penso fosse l'età, in fondo, o forse solo in un certo senso: ero ormai grande abbastanza per conoscere meglio questo mondo esclusivo e snob.
In pratica io ero lo sfigato della situazione, viste le circostanze. Cercavo a tutti i costi di infilarmi in gruppi ai quali non appartenevo e nonostante le maschere ben riuscite, mi rendevo conto da solo di quanto fossi inappropriato in quel giro di coetanei. Ero totalmente fuori posto: tempo prima proseguivo per la mia strada indifferente, ma il liceo mi era entrato nelle vene come una droga, incastrato sotto la pelle. Non potevo più vivere tranquillamente senza mettere al primo posto il parere degli altri. Tutto ormai dipendeva dalla mia immagine.
All'inizio mi ero quasi convinto di essere veramente ciò che volevo essere, un ragazzo popolare come quelli della mia classe. Ma quel vestito mi andava troppo stretto, le cuciture si stavano allentando e mi sentivo soffocare in quei panni che non mi
rispecchiavano affatto.
Mi sentivo totalmente fuori dal famoso giro, non potevo essere giusto io. Non potevo nonostante fra tutti quei montati fossi l'unico estremamente maturo e con la testa sulle spalle. Ero sbagliato perché gli altri non erano così.
"Sei troppo serio", mi dicevano.
Quando giocavamo ad obbligo e verità, quando ci fermavamo fuori da scuola a chiacchierare.. me lo dicevano sempre e in continuazione.
E nonostante i tentativi di cambiare e di diventare ribelle come loro, mi sentivo perso. Non ero più io e in fondo questo mi mancava. Tanto non sarei mai stato diverso. Mai.
E per questo smisi di andare a giocare a basket, iniziai a saltare le lezioni di chitarra. Non volevo più uscire con il rischio di dover mettere in mostra il vero me stesso di cui mi vergognavo così tanto ma a cui ero così affezionato. Casa mia era il mio nido, finché non tornavano a casa i miei. E allora anche in quel momento non potevo più essere me stesso perché non sarebbe andato bene. "Sei un adolescente, si vede". Ma se questa è l'adolescenza, allora io sono l'unico adolescente del mondo.
Se questo significa essere degli adolescenti, se è davvero questo, non poter più essere se stessi, essere consapevoli costantemente di non essere come gli altri, di essere sfigati e non considerati, allora sono l'unico adolescente. Perché gli altri ragazzi invece sono felici e a loro agio. Non possono essere adolescenti dunque.

Daniel VeneyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora