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Siamo piccole stelline in un cielo scuro che ci fa sentire soli, ma ricordati che io sono con te.
🌃🌃🌃🌃

-Non farai mai nulla di buono nella vita
-Balena
Sei una tavola da suerf
-Vuoi studiare? A che ti serve, sei na femmina devi solo lavare e stirare
-Ti ha lasciata? Ma certo, non ti sei vista cicciona?
-Mamma mia vuoi diventare un fantasma sei pelle e ossa fai impressione

Basta.
Era questo che all’epoca mi ripetevo come un mantra.
Ero spaventata, sola, insicura e impaurita dalla vita.
L'unica cosa che sognavo e desideravo ardentemente era scomparire.
Avevo imparato a farlo già da qualche anno in realtà, quando mettevo le cuffie e iniziavo a sentirmi lontana da questa realtà, purtroppo però quando la musica finiva tornavo ad essere visibile agli occhi del mondo e questo mi faceva paura.
Quando ero più piccola volevo veramente bene ai miei genitori, anche se il mondo fosse cascato loro lo avrebbero sorretto sempre per me; era quello che mi ripetevo nel tragitto scuola-casa dopo le prese in giro dei miei amici.
C’è stato un momento, però, in cui anche quel legame è stato spezzato.

Ero appena tornata a casa da scuola e la mamma piangeva, le chiesi che fosse successo e lei rispose solo “E’ colpa tua, sei un peso per questo papà è andato via”
Piansi tutto il pomeriggio, la sera papà non tornò, e neanche quella dopo e quella dopo ancora.

Quando compì dieci anni capì che papà non sarebbe più tornato.

Da allora ho sempre fatto attenzione a non disturbare mamma, tornavo a casa e correvo nella mia stanza chiudendo a chiave, era un modo per mettere una barriera tra me e quello che il mondo avrebbe potuto farmi.
A dodici anni avevo cinque chili in più rispetto alle mie amiche, e anche se avevo cambiato scuola le prese in giro ricominciarono, se prima per il mio modo strano di parlare adesso il problema era il mio peso.

Decisi che una dieta avrebbe aiutato, ma quando provai a dirlo a mia madre, lei iniziò a comprare cose con più calorie possibili aumentando le dosi dei miei piatti.
Capì che anche quella volta dovevo aiutarmi da sola, cosi smisi di mangiare; all’inizio fu bellissimo, perché, nonostante i crampi della fame, stava funzionando, mi stavo mettendo in forma.

I ragazzi iniziarono a chiedermi di uscire e ciò mi rendeva felice. Questo fin quando, insieme al mio peso, iniziarono a scomparire le mie forme e caddi in un nuovo baratro, ma non potevo più uscirne, il mio peso era sempre troppo ai miei occhi, dovevo dimagrire, dimagrire, ancora ancora sempre di più.

Le cose si complicarono quando i crampi della fame cessarono e davanti ad un piatto di pasta iniziai a sentire la nausea, ogni volta che mi sforzavo di mandar giù un boccone vomitavo, mi sentivo male e immaginavo mille bulloni al posto dei tortellini al ragù.

Quando compì quindici anni mi ero completamente persa.
Non parlavo, non mangiavo, non ridevo, non studiavo, non andavo a scuola, non avevo un rapporto con mia madre e non avevo più un padre da sette anni.

Ma c’era lei: la Musica.
Passavo giorni e notti ad ascoltarla chiusa nella mia stanza sempre troppo buia. Avevo paura del sole, mi ricordava i momenti bui, perché non li aveva mai illuminati.

Capì che stavo morendo quando un giorno cercai di alzarmi dal mio letto e non ci riuscì.

Capì che ero veramente morta  nel cuore quando mia madre si ricongiunse alla terra e non piansi.

Capì che volevo vivere quando l’unica amica che avevo sui social tentò il suicidio.

Capì che volevo ricominciare a vivere quando neanche la musica fece zittire i miei pensieri.

Cominciai da lì, dalla mia casa (dove adesso abitavo con una lontana zia), dalla mia stanza.
Iniziai a chiudere la porta senza girare la chiave, poi piano piano imparai a socchiuderla.
Iniziai ad accendere la luce, ad aprire le finestre poco per volta.
Ma il cibo era ancora un grosso problema. Mangiavo qualche pezzo di pane al giorno, ma finivo quasi sempre col vomitarlo e non riuscivo a mangiare in compagnia, mi ero talmente abituata alla solitudine che tornare a vivere era spaventoso, avevo paura che potessero ancora farmi del male.

Ma fu quando conobbi Casper che il mio mondo iniziò a colorarsi poco per volta.
Casper era un ragazzo omosessuale che si era trasferito nella casa davanti la mia. Anche lui aveva paura, ma lui riusciva a manifestarlo, gridava che aveva bisogno di aiuto per uscire dal suo buio. Mi lasciai avvicinare, lasciai che entrasse nella mia vita e poco a poco la riempì di colori, portava da mangiare e faceva dei versi di apprezzamento per il sapore.

All'inizio mi disgustava, vomitavo ogni volta che ne sentivo l’odore, poi piano piano mi lascia contagiare e iniziò a fare delle piccole porzioni anche per me.
Era strano all’inizio, mangiare con un’altra persona, ascoltare la musica insieme a lui, farlo entrare nel mio piccolo rifugio, ma fu bello avere finalmente qualcuno con cui sorridere, sorridere davvero.

Casper non fu la causa scatenante del mio bisogno di tornare a vivere, ma fu la medicina necessaria affinché questo avvenisse.

Non si è mai totalmente soli, se anche solo una persona, animale o cosa condivide con te il peso del mondo.
Chiunque tu sia, ovunque tu sia, qualsiasi sia la tua età, lingua, paese, religione, sesso e sessualità, ricordati che c’è sempre una speranza, anche quando hai tutti contro, anche quando ti senti morire e pensi di non potercela fare, anche quando sembra che nessuno ti capisca non lasciarti andare. Inizia ad abbracciarti da solo, continua a lottare, perché arriverà il giorno in cui ne uscirai e la tua storia aiuterà qualcun altro, devi solo avere il coraggio di spegnere la luce della tua stanza e vivere.

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