Mentre camminavo nei corridoi della scuola cercando di evitare tutti, lo sguardo mi cadde su una figura familiare: Ginevra. Perfetto, proprio ciò di cui non avevo bisogno. Sentii un'ondata di ansia pervadermi, e senza pensarci due volte cercai di sviare il percorso, sussurrando tra me e me: "Non mi vede, non mi vede."
Ovviamente, come al solito, la mia fortuna decise di abbandonarmi. Misi piede nel bagno sperando di essere al sicuro, ma la sua voce si avvicinò sempre di più. Entrai rapidamente in una cabina, chiusi la porta e mi sedetti, tirando su i piedi per non farmi vedere. Mi strinsi le gambe al petto, trattenendo il fiato mentre lei parlava con una delle sue amiche.
«Allora, lo rivedrai?» domandò la voce della sua amica. Di chi stavano parlando? Gabriel? Sentii il cuore accelerare.
«Sì, mi ha invitato a cena, e ormai lo sai cosa succede dopo un nostro appuntamento.»
Sentii un'ondata di rabbia e nausea montarmi nello stomaco. Stava parlando di lui. Di Gabriel.
«Eccome se lo so.» rise l'amica. «Entrambi fate schifo.» Mi tappai la bocca, cercando di non emettere alcun suono.
«Di recente ha iniziato a chiamarmi principessa.» Mi paralizzai. Gabriel...usava quel nomignolo anche con me. Che schifo. «Brutto pezzo di merda!» imprecare sottovoce fu l'unico modo per sfogare un minimo quella furia.
«Hai sentito?» disse la voce della sua amica, abbassando il tono.
«C'è qualcuno?» La voce di Ginevra diventò più acuta, quasi irritata. Poi sentii un colpo violento contro la porta della mia cabina. «Sofia, so che sei lì dentro. Ti piace origliare, adesso?» Deglutii, il corpo paralizzato dalla paura. Stavo tremando. Sentii un altro colpo, questa volta più forte. Mi raggomitolai ancora di più, sperando che desistesse. Dopo alcuni interminabili secondi, i rumori cessarono, e feci un sospiro di sollievo. Ma la tregua durò poco. Un getto di acqua ghiacciata mi investì all'improvviso, facendomi sobbalzare e urlare: «Cazzo!» Spalancai la porta della cabina, cercando di scappare, ma Ginevra era lì, con il telefono in mano. Rideva mentre mi scattava delle foto, immortalando il mio aspetto fradicio e distrutto. Lei continuò imperterrita, il suo sorriso soddisfatto stampato in faccia. Uscii di corsa dal bagno, sentendomi il corpo pesante e le lacrime agli occhi. Per fortuna i corridoi erano vuoti; erano tutti in classe. Attraversai il cortile e corsi fuori dalla scuola, incapace di fermare le lacrime che ormai mi offuscavano la vista.Arrivata alla fermata dell'autobus, il mio telefono vibrò. Una notifica su Instagram. Esitai, ma alla fine guardai. Ginevra mi aveva taggato in un post.
Erano le foto che aveva scattato pochi minuti prima. Il mio volto devastato, i capelli bagnati, il disastro che ero. Nei commenti, una raffica di insulti. Il telefono mi scivolò quasi dalle mani. La gola mi si chiuse, e le lacrime mi facevano pizzicare gli occhi. Come facevano a essere così crudeli? Non mi conoscevano, non avevano idea di chi fossi, ma bastava una foto per farmi a pezzi.
Chiusi l'app, ma era inutile. Quelle parole mi si erano stampate in testa. Ma il telefono vibrò di nuovo: una notifica, un'altra condivisione. Le risate, le prese in giro, non sarebbero finite tanto facilmente.Quando arrivò l'autobus, salii senza alzare lo sguardo. Mi sedetti in fondo, nascosta, e lasciai che le lacrime scendessero senza controllo. Il tragitto fino a casa fu un vortice di pensieri negativi, insulti che risuonavano nella mia testa, il volto soddisfatto di Ginevra che continuava a tormentarmi.
Quando entrai in casa, Gabriel non c'era. Probabilmente era in ufficio. Per fortuna. Non volevo che mi vedesse in quello stato. Mi diressi nella mia stanza, chiudendo la porta dietro di me.Mi tolsi i vestiti bagnati e mi asciugai velocemente. Il freddo dell'acqua che mi colpiva la pelle sembrava amplificare il dolore che già provavo dentro di me. Una volta cambiata, indossai il pigiama e mi rannicchiai sotto le coperte, cercando di nascondermi dal mondo. Ma non c'era posto dove potessi rifugiarmi, la vergogna e la rabbia erano dentro di me, e nessuna coperta avrebbe potuto coprire quello che stavo sentendo. Le lacrime scorrevano senza fine, le mie mani tremavano mentre cercavo di fermarle, ma ogni volta che lo facevo, altre ne arrivavano.
Guardai il mio polso, notando l'elastico che avevo sempre con me, consumato dal tempo. Lo presi, sentendo il bisogno di fare qualcosa, di sentire qualcosa che mi allontanasse dal dolore che mi stringeva il cuore. Iniziai a tirarlo, tirandolo forte contro la pelle. Ogni schiocco che sentivo mi dava un piccolo sollievo dal peso delle parole che mi tormentavano.
Chiusi gli occhi, ma le immagini non svanirono. I commenti, le risate, la sensazione di essere osservata, giudicata, schiacciata. Mi sembrava che tutto stesse crollando addosso. L'elastico che continuavo a tirare mi ricordava solo quanto mi sentissi inutile, incapace di scappare da ciò che avevano fatto di me. Eppure, non riuscivo a smettere di sentire quella morsa che mi stringeva il petto, né a fermare le lacrime che continuavano a scendere senza sosta.
Era ormai pomeriggio quando mi svegliai di soprassalto, il cuore che batteva forte e il respiro irregolare. L'incubo che mi aveva svegliata era ancora vivido nella mia mente, un'ombra opprimente che faticava a dissolversi.
«Tesoro, stai bene?» chiese Marlene entrando in stanza con un'espressione preoccupata. Cercai di sorridere, ma il nodo in gola era difficile da ignorare. «Sì, sto bene... era solo un incubo.» risposi debolmente.
Mi alzai, avvolgendomi in una coperta per proteggermi dal freddo che sembrava penetrare fino alle ossa. Scendendo le scale, il suono familiare della porta d'ingresso che si apriva attirò la mia attenzione. Era Gabriel. Mi guardò, e la sua espressione mutò immediatamente.
«Che cosa è successo?» domandò, il tono serio e allarmato. Il suo sguardo vagò su di me, soffermandosi sui capelli ancora umidi e sul trucco colato che evidenziava il mio stato pietoso. Mi sentivo vulnerabile, quasi imbarazzata sotto il suo scrutinio.
«Le hanno tirato una secchiata d'acqua gelida.» spiegò Marlene, il suo tono carico di indignazione. «Domani andrò a parlare con la preside. È inaccettabile una cosa del genere.»
Non riuscivo a smettere di tremare. Il freddo non era solo fisico, ma sembrava avvolgermi completamente, dentro e fuori. Marlene mostrò a Gabriel il telefono, facendogli vedere la foto e i messaggi che avevano accompagnato quell'umiliazione.
Lo vidi irrigidirsi, i muscoli delle sue braccia contrarsi mentre stringeva i pugni. La sua mascella era serrata, e l'ira nel suo sguardo era inconfondibile.
«Scusatemi un attimo.» disse con un tono freddo e controllato che tradiva il vulcano pronto ad esplodere dentro di lui. «Mi sono ricordato di aver lasciato una cosa a casa di Manuel. Torno subito.»
Non attese una risposta. Uscì dalla porta con un passo deciso, i pugni ancora serrati lungo i fianchi. Lo seguii con lo sguardo fino a quando la porta non si chiuse con un tonfo sordo.
Marlene si avvicinò e mi avvolse le spalle con un abbraccio materno. «Va tutto bene, tesoro. Sono qui.» sussurrò, accarezzandomi i capelli mentre io lasciavo andare le lacrime che avevo trattenuto fino a quel momento.
Mi lasciai andare completamente al suo abbraccio, cercando di non pensare a tutto quello che stava succedendo. Le sue parole mi rassicuravano, ma la confusione e il dolore che avevo dentro sembravano non voler sparire. Marlene mi teneva stretta, come se potesse farmi sentire al sicuro, e in quel momento, anche se non riuscivo a capire come sarebbe andata, sentivo che almeno non ero sola.
«Adesso solo lo zimbello della scuola.» chiesi tra un singhiozzo e l'altro, la voce rotta.
«Non lo permetterò.» rispose lei con calma. «A volte, tesoro, è solo una questione di tempo. Si dimenticheranno di questo episodio.»Chiusi gli occhi, respirando lentamente, cercando di rilassarmi sotto le sue carezze. Le parole di Marlene erano quelle che mi servivano in quel momento, anche se non avevo ancora idea di come risolvere tutto. Ma almeno avevo qualcuno al mio fianco, e per ora, questo doveva bastare.

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𝐄𝐍𝐃𝐋𝐄𝐒𝐒 𝟏
RomanceSofia García è una ragazza di soli 17 anni , stata abbandonata in tenera età davanti alla fondazione "Casa de los Sueños" ha vissuto la sua intera infanzia circondata da persone che la facevano sentire costantemente fuori posto. Fino a quando una fa...