Colin si accese l'ennesima sigaretta.
Ne era ormai dipendente, non riusciva a farne a meno, specie sotto stress e in quel momento lo era.
«Dovresti cercare di tirare fuori le tue emozioni. So che non è facile, ma fa parte del percorso...»
«'Fanculo il percorso! Non ho chiesto io di essere qui.»
«Sai bene che per essere reinserito devo presentare una valutazione tra due settimane. Devi sforzarti di più!»
«Chi le ha detto che voglio essere reinserito? L'unica cosa che voglio in questo momento è andarmene da qui!»
Il dottor Huther scosse il capo in segno di disapprovazione, poi tornò a scrivere nel suo taccuino.
Colin non aveva nulla da dire, nulla da aggiungere al rapporto fatto qualche mese prima al suo comandante; ripercorrere quanto accaduto insieme a uno strizzacervelli non sarebbe servito a niente. Non era un pazzo, non aveva bisogno di nessuna terapia o di qualcuno che lo rassicurasse sul fatto che prima o poi avrebbe dimenticato quanto accaduto nell'ultima missione.
«Trascorri queste due settimane con la tua famiglia per ricaricare le batterie, Colin. Ci vediamo qui il sette gennaio e mi aspetto un atteggiamento differente.»
Colin non rispose e uscì dalla stanza.
Tornare a casa non era affatto rilassante.
Tutto era partito proprio da lì. Ogni maledetta cosa che gli era successa, direttamente o indirettamente, era per colpa dei suoi genitori, più precisamente del padre.
A quel ricordo si accese l'ennesima sigaretta e marciò dritto verso il solito bar in fondo alla strada.
Beveva e fumava. Le sue giornate, da due mesi a quella parte, erano tutte uguali e il bello era che gli andava bene così.
Forse Colin si era arreso, aveva smesso di lottare e di cercare di riprendere in mano la sua vita e la carriera, ma poco importava; era in congedo, gli avevano permesso un tempo illimitato per recuperare le forze, per superare il trauma subito dopo la morte dei suoi tre colleghi e amici, per poi rientrare con una nuova missione che sarebbe partita proprio a metà gennaio.
«Vaffanculo!» sussurrò tra sé e sé e si attaccò al collo della bottiglia di birra.
Si avvicinavano le feste e tutto avrebbe voluto fare, fuorché tornare in famiglia nel Montana; quel posto era deprimente, tutti i suoi familiari lo erano.
Erano tre fratelli, legati tra loro da un filo invisibile, filo che era stato imposto dal padre: l'esercito. Da generazioni la famiglia Moore faceva parte dell'esercito. Ognuno con il proprio ruolo e grado, ognuno orgoglioso e fiero di ciò che faceva per amore della patria... tutti, tranne Colin.
Quell'imposizione gli aveva rovinato la vita, lo aveva reso un reietto, uno scarto della società. Veniva additato come alcolizzato e le parole che sentiva rivolte a lui erano sempre le stesse:
"Poverino, guarda come si è ridotto. Che pena."
Scosse il capo, cacciò via tutti i pensieri e bevve. Bevve fino a stordirsi.
Si risvegliò nel proprio appartamento senza ricordarsi nemmeno come fosse riuscito ad arrivarci.
Erano le nove e trenta del mattino e, nonostante il terribile mal di testa, fu costretto ad alzarsi; se voleva arrivare in tempo per la cena a casa dei suoi, avrebbe dovuto mettersi in viaggio entro un'ora.
Si fece una doccia, nella speranza di riprendere un po' di lucidità, poi preparò una piccola valigia. Solo lo stretto necessario per trascorrere quelle che per lui sarebbero state due settimane infernali, poi si mise in viaggio.
Era tradizione di famiglia trascorrere le feste di Natale insieme. Non erano mai state importanti per lui, ma aveva sempre rispettato la tradizione per non creare malumori; quell'anno, invece, nulla per lui aveva più senso, compreso quella stupida riunione annuale.
Considerava tutto quello una perdita di tempo e un teatrino che i suoi genitori mettevano in atto per auto convincersi che tutto andava bene, mentre non era così.
Nessuno di loro si era preoccupato di quanto gli era successo nell'ultima missione, nessuno lo era andato a trovare in ospedale e a casa dopo le dimissioni; il padre si era limitato a una telefonata dove gli augurava una pronta guarigione e un rientro nell'esercito nel minor tempo possibile.
Nulla di più.
Il ricordo di quei mesi tornò a devastarlo e fu costretto a fermarsi per riprendere fiato e cercare di calmarsi; accostò l'auto sul ciglio della strada, spense il motore e tornò a stringere forte il volante, quasi fino a farsi male.
Il dolore gli serviva per concentrare la sua mente su altro, così come gli servivano i farmaci e l'alcol.
Le dipendenze erano diventate il suo unico punto fermo, l'unica cosa che gli permetteva, seppur per poche ore, di non pensare al suicidio... sì, perché quest'ultima cosa era da vigliacchi e lui non lo era.
«Calmati, Colin. Torna in te, dannazione!» ripeté a se stesso diverse volte, fino a quando il respiro tornò normale.
Mancavano ancora alcune ore all'arrivo in Montana, poi avrebbe rivisto i suoi fratelli, l'unica nota leggermente positiva di quell'incontro.
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Colin: I fratelli Moore #1
ChickLitRomanzo contemporaneo autoconclusivo. Il romanzo si trova pubblicato interamente su Amazon a questo link: https://www.amazon.it/dp/B0CBNMDQ9Z I tuoni, la pioggia, gli spari, poi un'esplosione e il buio. Le orecchie che fischiano, i suoi uomini non c...