1. Logan

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Le prime luci del mattino costringono i miei occhi ad aprirsi. Non ho neanche il tempo di capire dove sono, che il mio cervello inizia subito a confabulare qualcosa su quanto cazzo sia il solito coglione! Mi sono preso una bella sbronza, scommettendo con il mio migliore amico Andrew, su una tipa qualunque di cui non ricordo nemmeno il nome, costringendomi a rivivere la solita, classica, scena: la tipa addormentata avvinghiata attorno al collo, come se fosse la mia ragazza e io, il classico stronzo che frantuma le sue speranze di una relazione seria in men che non si dica. «Piccola, svegliati! Mi stai soffocando con le tue braccia intorno al collo!», le dico in cagnesco. Lei si sveglia in malo modo, sobbalza come se punta da un ago e si mette a sedere sul letto sfatto, guardandomi male, davvero male. «Ti sembrano modi da gentiluomo questi, Logan? Svegliare una ragazza con questo trambusto!» Cazzo, sa il mio nome. Perché diavolo gliel'ho detto? «Dovresti vedere i tuoi di modi prima di giudicare i miei, sai? Non è bello svegliarsi e sentirsi incatenato tra le braccia di una sconosciuta con cui hai fatto solo del buon sesso». Le rispondo con tono sprezzante. Mi alzo nudo dal letto e afferro il pacco delle Winston Blue che ho sempre a portata di mano. «Ma chi diavolo credi di essere tu per parlarmi in questo modo?» sbotta lei, con la bocca semi aperta e le sue labbra carnose tremanti, in procinto di scoppiare in un pianto isterico. Cazzo, dovrei dispiacermi? No, non credo. Ma cosa si aspettano da me? Un matrimonio, confetti rosa e una vasta famigliola piena di mocciosi che corrono per la casa? D'altronde se volessero qualcosa di serio, non si concederebbero spudoratamente dopo nemmeno un'ora di conoscenza. Accendo la sigaretta e faccio il primo tiro, lentamente, di fronte alla spaziosa finestra dell'hotel in cui alloggio da oramai tre mesi. Resto in silenzio e osservo ogni suo movimento. Si alza dal letto con lo sguardo basso, raccoglie tutti i suoi indumenti e si riveste in modo frettoloso. Mi dà un'ultima occhiataccia, prima di dirigersi verso la porta principale e, solo quando è in procinto di andarsene, si gira verso di me in lacrime. «Credevo fosse stato speciale», sussurra. «Piccola, lo è stato. Davvero, lo è stato, ma eri solo un'avventura di una notte, nulla di più», le rispondo serio, continuando a fumare. «Non ho mai conosciuto uno stronzo come te in tutta la mia vita!», sbotta ancora e, questa volta, mi viene anche incontro con uno sguardo accigliato. Credo voglia ammazzarmi di botte. Ne sono così convinto, che d'istinto indietreggio ma la tipa si ferma improvvisamente, fissando lo sguardo sulla tv, dove ho messo la microcamera che durante la notte ha ripreso ogni singola posizione sconcia che ho provato insieme a lei. E... merda, mi ha scoperto! Ora ha un tic nervoso che le attraversa il viso e, mentre passa lo sguardo dalla microcamera a me, mi fa provare un piccolo brivido lungo la schiena. Avanza verso la tv, stacca la microcamera con rabbia e me la scaraventa addosso. «Non solo sei uno stronzo, ma anche un fottutissimo malato di mente!» A passo svelto raggiunge la micro che è rimbalzata per terra e, senza pensarci due volte, con il suo tacco dodici la fa in mille pezzi. Avanza poi verso di me e non ho nemmeno il tempo di metabolizzare cosa stia accadendo, che mi arriva una sberla così forte sulla guancia destra da farmela divenire rossa come un peperone! «Sei davvero un bastardo!», urla in lacrime. Io non la guardo nemmeno, massaggio la parte indolenzita e sospiro. Lei scuote il capo e va via dalla mia stanza d'hotel, senza dire più una parola. Butto la sigaretta, oramai consumata, giù dalla finestra e, un attimo dopo, vedo sbucare al di là dell'atrio la sua testa rossa. Si ferma sul ciglio del marciapiede e avvia una chiamata. Se conosco bene le ragazze, credo che cercherà il conforto della sua migliore amica, nel lamentarsi di quanto io sia stato stronzo con lei, dopo una notte di passione. Non le racconterà però, di come ieri sera si divertiva a provocarmi con il suo seno prosperoso esposto, o di quante volte, mentre beveva il cocktail dalla cannuccia, con le sue labbra emulava un pompino, guardandomi con occhi colmi di malizia pur non conoscendomi affatto. No, queste cose le terrà per sé, come anche il fatto che è stata proprio lei a implorarmi di penetrarla. Sono divertito da questa tipologia di ragazze che si fingono vittime! Sposto lo sguardo all'interno della mia camera d'hotel e mi accorgo della presenza del suo perizoma in pizzo nero, che ieri sera mi sono divertito a strapparle da sotto la gonna che aveva indosso. Avanzo verso il letto per afferrarle e, con un sorriso da bastardo, ritorno alla finestra, da dove la osservo ancora sul marciapiede, a parlare e gesticolare come un'ossessa al telefono. «Ehi piccola!», le urlo. Lei schiude la bocca e si irrigidisce all'istante. Smette di parlare, si volta di scatto e alza lo sguardo su di me. Non appena nota il suo perizoma, ruotare attorno al mio indice, diventa rossa come un pomodoro. «Hai dimenticato un indumento! Ecco, tieni. Afferralo al volo!» Le lancio il perizoma, che cade a picco sulla sua mano tremante, e il suo sguardo diventa glaciale. Alcuni dei passanti, che assistono alla scena, la deridono mentre altri parlano male del sottoscritto definendomi, appunto, "uno stronzo". «Volevo dirti, piccola, di non preoccuparti per la micro. Fortunatamente il video è stato inviato alla mia e-mail non appena ho dato la conferma dall'app del cellulare durante la notte», la informo con l'ennesimo ghigno a illuminarmi il viso. Sì, ragazzi, sono uno stronzo e non mi pento mai delle azioni che compio. Non lo faccio con tutte, ma lei è davvero una persona viscida. Una ragazza facile che, pur di farsi dire "poverina", racconta solo una parte di ciò che le succede, omettendo sempre le sue azioni. È questa l'opinione che ho sulla sua persona e, di solito, non mi sbaglio mai. «Sei un bastardo!», tuona di nuovo e, con le lacrime a inondarle gli occhi, sale sul primo taxi andando via. Chiudo la finestra e, soddisfatto del gran finale della mia vacanza estiva, raggiungo la cabina della doccia con un unico obiettivo: fare un lungo bagno rilassante, magari sotto le note di Lasting lover - Sigala e James Arthur. Ora penserete: Logan "lo stronzo" ascolta musica d'amore figa? Beh, la mia risposta è: Assolutamente sì! La musica mi piace da morire e, anche se parla d'amore, di certo non mi infastidisce! A casa ho due genitori che, al mio contrario, scoppiano di sentimentalismo allo stato puro. Ricordo che anche io, all'età di sedici anni, ero un romanticone. Ero cotto d'amore per la mia prima ragazza. Oh sì, ragazzi, pensavo davvero che fosse la donna della mia vita, ma non tutte le storie hanno un lieto fine, giusto? E non sempre il cattivo della storia è un esterno. No, nel mio caso, la cattiva della storia fu proprio lei: Dafne, così si chiamava. La scoprì a letto con il mio ex migliore amico di cui, a oggi, riesco solo a ricordare ciò che rimase del suo perfetto viso, quella lontana sera. Da allora, promisi a me stesso di non innamorarmi mai più di una ragazza. Per quanto mi riguarda, sono solo avventure di una notte di cui non voglio sapere nulla. Entrare a conoscenza, anche solo di una minima informazione, significherebbe affezionarsi e io non voglio farlo. Ho imparato a mie spese che più ami, meno vieni apprezzato, che se alle ragazze mostri la tua parte migliore, la useranno come arma, al solo scopo di farti a pezzi quando meno te lo aspetti. E chiudo questa parentesi del mio passato, confidandovi che: il vero amore non esiste o, come nel caso dei miei, se si ha la fortuna di trovarlo, è solo un'eccezione. Giro la valvola del soffione ed esco dalla cabina. Asciugo lo specchio appannato e osservo il mio viso. Ho da definire la leggera barbetta. Le sopracciglia sono già perfette e il mio orecchino... cazzo, ho perso l'orecchino d'oro bianco che porto sempre al lobo dell'orecchio destro! Mi affretto a raggiungere il letto e, meno male, è lì, proprio sotto a uno dei cuscini. Lo afferro e lo rimetto al suo posto. Non sia mai che io perda l'orecchino portafortuna che mi ha regalato Skylar, il giorno del mio diciottesimo compleanno. Vi chiederete chi sia la ragazza dal nome bizzarro. Beh, lei è la mia sorellona. Più grande di me di soli due anni. Ho inondato per anni mia madre di domande, sul perché non mi avesse concepito prima. Io e Skylar potevamo esse re gemelli, no? Mia madre è gemella, mia nonna è gemella, la mia bisnonna lo era, e noi invece? Non siamo nati nello stesso sacco embrionale e già questo, di per sé, è davvero molto grave. Ma addirittura farmi nascere due anni dopo di lei, mi sembra oltraggioso! Dev'essere stata dura per Skylar vivere senza la sua metà di cuore. Ma da quando sono nato, che io ricordi, non c'è stato un solo giorno in cui mi sia sentito solo in sua compagnia e viceversa. Io e lei, ci capiamo al volo con un solo sguardo. A volte credo che parlare sia inutile se con l'altra metà di cuore, ti basta solo un cenno, o un battito di ciglia. Io e Skylar siamo tutto questo. Infatti credo fermamente che il nostro rapporto non possa essere eguagliato da nessuna amicizia, seppur sincera e profonda. Adoro mia sorella. Stimo il suo temperamento, il suo modo di vivere la vita e impazzisco per il suo stile punk-rock. Il suo look non cambia dall'ultimo anno di liceo, dove insieme ad Amara, la sua migliore amica, sfilavano come delle rock-star lungo i corridoi dell'Astra High School, con il loro giubbino di pelle nero, gli anfibi con le borchie e il classico atteggiamento da dure, sotto lo sguardo ammaliato dei ragazzi e quello invidioso delle ragazze. Se c'è una cosa certa nella mia vita, è che non amerò nessuna donna come amo mia sorella. Semplicemente perché lei, non è la classica ragazzetta facile e scontata che, sfortunatamente, mi ritrovo a incontrare a ogni cazzo di passo che compio. Immerso nei pensieri, faccio la valigia e mi avvio verso la porta principale. Dopo un'ultima occhiata all'appartamento, chiudo la porta alle mie spalle e mi avvio verso il piano di sotto. L'ascensore arriva giù in men che non si dica e, quando le porte metalliche si aprono, osservo il panorama che mi ritrovo di fronte: una tipa con una camicia sbottonata nella parte superiore, da dove intravedo il suo prosperoso seno. Lei ghigna maliziosamente, dopo aver osservato il mio corpo palestrato. Io ghigno a mia volta e un'idea malsana mi si intrufola nella mente. Le faccio segno di entrare nell'ascensore, dal quale non ho intenzione di uscire prima di una sveltina veloce, e lei annuisce semplicemente. Si affretta a entrare e, quando l'ascensore si richiude, l'afferro dai fianchi e la sbatto contro la superficie metallica, dove la sua natica pigia sul pulsante del numero tre riportandoci su, tra una serie di baci poco casti, in cui la mia lingua affonda nella sua bocca sensuale. Le mie mani viaggiano lungo il suo esile e formoso corpo, e godo delle meraviglie che è disposta a offrirmi. Le allargo le gambe, sbottonando il mio costosissimo Prada beige e, dopo aver usato precauzioni, la penetro con passione. Eseguo dapprima movimenti lenti, poi proseguo più veloce e deciso. Passiamo il tempo in ascensore così, dal piano di sotto al terzo, dal terzo al quinto, fino al settimo, dove sto per arrivare al limite dell'eccitazione ed esplodo soddisfatto dentro di lei. Tolgo il profilattico e lo butto nel cestino dell'ascensore, che si apre un secondo dopo. Faccio appena in tempo a ricompormi, prima che una bambina dai capelli biondi, insieme a sua madre, entri nell'ascensore. Con un sorriso sotto i baffi esco, seguito dalla tipa. L'ascensore si richiude e scoppiamo a ridere in simbiosi. Lei mi guarda negli occhi e mi sorride. «Sai, non l'ho mai fatto prima!», ammette imbarazzata. «Ti sei divertita?», le chiedo con un sorriso spontaneo. «Sì, è stato divertente, ma soprattutto appagante! Grazie, chiunque tu sia!», mi risponde con un occhiolino, allontanandosi con fare armonioso. Ah! Finalmente una ragazza che non pretende un anello al dito solo per una sana scopata! Grazie al cielo, non sono tutte pazze! Con un ghigno le guardo il culo e, dopo una risata sommessa, mi dirigo fuori dall'hotel, fermando il primo taxi che becco libero. «Dove la porto, signore?», mi domanda cordiale, guardandomi dallo specchietto retrovisore. «All'aeroporto». È ora di tornare a casa! *** Sono appena atterrato a Bellwood, la mia città Natale, la mia casa, il mio regno. Se mi era mancata in questi tre mesi? Da morire! Prendo le valigie e mi avvio all'interno dell'aeroporto. Mi guardo intorno e, quando intravedo mio padre tra la folla, decido di nascondermi dietro a una delle colonne, per poi sgattaiolare fuori, sommerso dalle fragorose risate che non riesco a trattenere. Il mio passatempo preferito, oltre al rugby, è quello di prenderlo in giro. Lo faccio da una vita. È un tipo musone, antipatico e troppo egocentrico per i miei gusti. Oltre a essere il mio vecchio, è anche il rettore dell'università che frequento. Eh, già! Il suo ego smisurato lo sopporto quanto la puzza dei piedi! L'unica mia consolazione, è quella di beffeggiarlo e osservare le sue buffe espressioni facciali, quando lo faccio arrivare al limite della sopportazione. Solo in quei momenti, mi è davvero simpatico! Riesce a farmi ridere come nessuno è riuscito mai! Mi affretto a chiamare un taxi prima che mi veda. Voglio fargli il solito scherzo. Come ogni anno del resto. Lui viene a prendermi all' aeroporto e io vado via, lasciandolo lì ad aspettare come un imbecille una mia "fantomatica" apparizione. E, come ogni santa volta, quando torna a casa con il fiato corto e mi vede spaparanzato sul suo divano in pelle, con un colorito acceso in volto mi urla: «Ma dico, ti sei per caso bevuto il cervello? Sono stato in aeroporto intere ore ad aspettare, come un cretino, che ti facessi vivo! E tu sei qui, sul mio divano...», mi toglie dalla mano il bicchiere di bourbon con forza e lo guardo con un ghigno, «... con il mio bicchiere di Bourbon in mano, senza preoccuparti di avvisarmi che avevi già fatto ritorno!», conclude con occhi carichi di rabbia. Lo guardo ancora per alcuni secondi in silenzio, prima di cambiare espressione facendo la vittima innocente. Sospiro amareggiato e scuoto il capo sotto il suo sguardo accusatorio. Mi alzo dal divano e lo guardo di nuovo negli occhi. Nel silenzio del momento, gli poso una mano sulla spalla e gli dico: «Mi devi scusare vecchio! Mi è passato proprio di mente che dovevi venire a prendermi in aeroporto. Puoi perdonare la mia sbadataggine?» Lui mi guarda con gli occhi ridotti a due piccole fessure. Sento la sua indecisione nel credere o meno alla mia recita e, per mia fortuna, abbocca. «D'accordo Logan, per questa volta te la faccio passare, ma...» Fa due passi verso di me con aria minacciosa e continua: «la prossima volta che ti azzardi a chiamarmi "vecchio", ti priverò non solo della carta di credito, ma anche del tuo prezioso titolo di capitano della squadra di rugby!» Acciglio lo sguardo e, in quel preciso momento, il cuore inizia a battere in modo violento all'interno della gabbia toracica. Odio quando arriva a minacciarmi. Usa il suo potere contro di me. Questo è proprio il fattore principale per cui non lo vedo di buon occhio. Ma, a ogni modo, cerco di mostrarmi quanto più tranquillo e rispettoso possibile, abbozzando un sorriso. «Perdona il mio mancato rispetto papà», rispondo con tono pacato e lui annuisce. Mi riprendo con arroganza il bicchiere che ha tra le mani e mando giù, in un solo sorso, il bourbon che vi era all'interno. Lo guardo con un sorriso e ripongo il bicchiere vuoto sulla sua costosissima scrivania. Poi, senza indugio, mi volto dal lato opposto, dirigendomi verso la mia camera da letto, senza trattenermi oltre. Appena sono tornato, la casa era vuota. Mamma non c'era e questo è molto strano, ma la cosa che più mi ha turbato è stata l'assenza di Skylar. Credevo davvero di trovarla sul letto, con indosso gli occhialoni da lettura e un libro in mano, ma la camera era vuota. Sono passati tre mesi da quando un giorno all'improvviso, senza avvisarmi e rendermi partecipe della sua avventura, è partita. Quando l'ho chiamata alcune ore dopo, per chiederle spiegazioni, mi ha semplicemente detto che aveva bisogno di starsene da sola per un po'. Ovviamente, anche se ho mille domande e una valanga di preoccupazioni che tormentano il mio cuore, ho deciso di non metterla alle strette, né di infastidirla. Magari a me può sembrare strano il suo comportamento, però forse, e dico forse, non c'è nulla di strano nel volersi prendere del tempo per se stessi, lontani da tutto e tutti, compreso me. Sospiro profondamente e mi abbandono nel mio lettone dalle coperte di seta blu. Fisso la soffitta e, alcuni secondi prima di cominciare a contare le fantomatiche pecorelle per addormentarmi, sento la porta della camera aprirsi e, in un attimo, i miei occhi dal soffitto ruotano verso la porta, dove incontrano la mamma, in tutto il suo splendore, venire verso di me con un gran sorriso e gli occhi lucidi. «Logan, tesoro, sei qui!», esclama con la sua dolcissima voce, avvolgendomi in un caloroso abbraccio. «Sì, mamma, sono tornato alcune ore fa. Dov'eri?», le domando con le sopracciglia aggrottate. Lei sorride con lo sguardo basso e, dopo aver preso posto accanto a me, mette una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio. Incontro di nuovo i suoi occhi marroni e, dopo un sospiro, decide di parlare. «Tesoro, mi dispiace che tu non mi abbia trovata al tuo ritorno, ma vedi... ho deciso all'ultimo momento di prendere io il posto della segretaria d'ufficio alla BWU, almeno fino a quando tuo padre non troverà una valida sostituta per Sofie, che ha deciso di andare in pensione. Ho appena finito di revisionare ogni minimo dettaglio. Dalle scartoffie, alle nuove domande d'iscrizione», spiega con voce delicata, mentre la ascolto in silenzio. «Skylar torna domani?», le chiedo poi, sperando che almeno lei sappia qualcosa e, quando annuisce, il mio viso si illumina. «Sì, l'ho sentita poco fa. Mi ha detto che sarà in città domattina presto, prima dell'apertura dell'università», mi informa. Annuisco con un sorriso da ebete e, dopo un lungo silenzio, mi chiede delle vacanze, se le ho passate bene, eccetera... Le garantisco di aver trascorso dei bellissimi e spensierati mesi di relax e lei, come al solito, si ferma a parlare più del dovuto. Dopo qualche ora si addormenta sul mio cuscino e sono costretto a prenderla in braccio delicatamente, per portarla in camera sua, accorgendomi dell'assenza di mio padre che è ancora nel suo studio. Adagio la mamma sul letto e le rimbocco le coperte sino al collo. Mentre la guardo, sorrido e le accarezzo le guance, caratterizzate da tre grandi nei. Skylar ne ha ereditati due. Io nemmeno uno, ma posso dire con fierezza di aver almeno ereditato le sue labbra carnose e il suo bellissimo sorriso. La mamma è una donna dolcissima e molto romantica. Lei, contrariamente a mio padre, è molto solare e simpatica. Non capisco come si sia innamorata di un uomo tutto d'un pezzo come lui, ma forse è proprio per la loro abissale differenza che si completano. Credo che se incontrassi una ragazza con gli stessi valori e principi che caratterizzano mia madre, sarebbe la mia eccezione. Le tolgo alcune ciocche ribelli dal viso e, dopo averle dato un bacio sulla fronte, mi allontano, chiudendo la porta alle mie spalle. Mi rifugio di nuovo nella mia camera, abbandonandomi di peso sul letto. Non riesco nemmeno a contarle le pecorelle. Gli occhi si chiudono all'istante e mi addormento come un sasso fino al mattino dopo.

L'eccezione (The BWU series) vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora