Le memorie di Achille

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Il mio nome è Achille, e sono conosciuto come il più bello, forte e valoroso eroe di tutti i tempi.

Sono vissuto nel mille Avanti Cristo, quando ancora si usavano le lance per combattere e si veneravano gli dei. Ma io non li ho mai venerati veramente, non ne è mai valsa la pena. Anche se mia madre, Teti, figlia di Oceano, lo era, una dea intendo. E' stata lei ad accudirmi nel suo grembo finchè non sono poi venuto alla luce. E forse provo anche compassione per lei, perché è stata violentata da mio padre, Peleo, re della Tessaglia al nord della Grecia, e per quanto abbia lottato, trasformando il suo corpo in aquila, cavallo, leone, serpente, infine è stata violata. Mia mamma era destinata a diventare qualcosa di più, era destinata a sposare Zeus e a concepire un dio, ma Prometeo ha rovinato tutto. Quando è stato liberato dalle catene che lo costringevano a una roccia porosa e a un rapace che gli divorava ogni giorno lo stomaco, ha rivelato al padre di tutti gli uomini e di tutti gli dei che dal suo matrimonio con Tetide sarebbe nato un dio più potente. E, come lui fece con suo padre Saturno, lo avrebbe diseredato del potere, diventando il nuovo paladino dell'Olimpo. Io sarei dovuto essere il nuovo re delle divinità. Invece sono un semidio, con gli occhi verdi screziati di oro, dei piedi veloci e un'abilità mai vista prima di combattere, ancora meglio di Eracle. Ci sono anche persone che mi odiano, sì, come un certo scrittore italiano di nome Dante Alighieri. Colui che ha inventato un Oltretomba storpiato con il cosiddetto Paradiso, per i buoni e i giusti, il Purgatorio, per chi deve purificarsi di un torto, per chi deve soffrire per arrivare nella rosa dei Beati, e l'Inferno, per i cattivi, per tutte quelle persone che secondo lui devono essere punite anche dopo la morte, come se la vita non bastasse già a farlo. Qui, secondo Dante, io ero collocato insieme a Paride nel girone dei lussuriosi, ma per cosa? ma il mio odio per il troiano era così violento che continuò a bruciare anche nella tempesta infernale. Io da Aristos Achaion divenni "Il fulmine nella nera tempesta", seviziando continuamente l'anima di Paride per vendicarmi. Minosse, che io ho sempre saputo essere figlio di Europa e Zeus, re di Creta, giudice degli Inferi perché molto giusto e saggio, ha scelto di infliggermi una pena più crudele e più adatta. Così mi immerse nel Flegetonte, impedendomi di sfogarmi e di compiere la mia vendetta. E secondo loro Paride avrebbe dovuto allietare Minosse. Priamide non ha neanche avuto la decenza di rapire Elena sguainando la spada, essendo che l'ha persuasa mentre il marito Menelao non era a palazzo. Forse le persone devono imparare a non parlare per dare aria alla bocca. Le persone devono prima imparare ad imparare.

Nella mia vita ho sempre saputo che il mio scopo sarebbe stato per qualcosa di grande, ma non avrei mai pensato fosse per qualcosa di così grande. Mi obbligarono, sì, perché sono stato obbligato, a combattere per i Greci contro Troia, quando nessun giuramento mi teneva legato a loro. Mi hanno cercato, come un cane cerca degli avanzi di cibo, e mi hanno smascherato usando l'inganno. Mia madre mi aveva avvisato che se avessi fatto parte di quella guerra, sarei rimasto intriso nella storia anche a distanza di migliaia di anni, ma non avrei fatto ritorno. E io ho scelto l'onore invece della vita. Per dieci anni, tutte le mattine indossavo la mia armatura e il pesante elmo con crini rossi, e partivo per combattere. Per uccidere, e non per scelta. Alla sera tornavo nella mia tenda, per riposare e mangiare, non parlavo mai con nessuno delle mie vittime e delle mie uccisioni, di cosa vedevo e provavo tutto il giorno, tutti i giorni. Non me ne vantavo, non vedevo un motivo per farlo, anzi. Dopo quattro anni a Troia ho rimesso insieme l'esercito che era stanco di correre, colpire, togliere la vita, senza un minimo cambiamento. Fu così che iniziarono a costruire le mura che ci avrebbero protetti, tutto lungo la spiaggia, fu così che iniziammo a divenire una famiglia. Ci furono matrimoni tra le serve, bottini di guerra, e i soldati, mettevano su famiglia, erano felici. Combattevano, avevano onori, premi a fine giornata. Fu così che passarono altri sei anni. Io ormai avevo imparato ad apprezzare quella vita, e non me ne lamentavo.

Un giorno del decimo anno di guerra, alla sera, come al solito, i bottini di guerra erano stati posizionati in un cumulo vicino all'agorà, pronti per essere spartiti. Tra questi c'era un'altra ragazza, molto bella: capelli pece, occhi scuri, un viso delicato e spaventato, i dolci polsi legati da una corda e le forme rotonde accentuate dalle vesti strappate e madide di sudore che le si attaccavano alla pelle morbida. Io mi stavo giusto facendo avanti, per prenderla come premio, per salvarla dalle grinfie di quei re e soldati. Era mio onore scegliere cosa prendere per primo perché ero il miglior soldato di tutto l'esercito, ma qualcun altro mi precedette. Alzai lo sguardo, in preda all'ira. Agamennone era davanti a me, che stava già annunciando di portarla nella sua tenda, per farle fare un bagno e poi semplicemente la serva. Non era suo diritto, glielo spiegai pacatamente, ma decise di non ascoltarmi. Agamennone, re di Micene, era conosciuto per aver compiuto un miracolo, qualcosa che non sarebbe mai potuto succedere: aveva reso un unico esercito tutti i greci, aveva unito sotto un unico nome tutti i greci, e li aveva fatti combattere per un obbiettivo comune. Agamennone, re di Micene e comandante degli Achei, un ego insormontabile, narcisista, una divinità fatta a persona. Ma il fatto era che in lui non scorreva sangue divino, come nelle mie vene, in lui scorreva solo sangue mortale di Atreo ed Erope, così come a suo fratello Menelao e sua sorella Anassibia. E poi era facile far combattere gli altri per se stessi. Era facile per lui. Non era lui quello che sarebbe morto in quell'impresa, non era lui quello che ha dovuto lottare per il suo prestigio, per il suo onore, perché la sua vita non venisse sprecata.

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