Capitolo 1 :Non Voglio Essere Tua.

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Come tutte le volte💔

Era una giornata piovosa di Aprile e i mie lunghi capelli neri erano bagnati dalla pioggia, le mie guance erano cosparse di lacrime e di sangue e infine il mio mascara era ormai sciolto da tutta quell'acqua.
Avevo lo zigomo gonfio e le labbra spaccate, quel giorno c'erano andate piano con me. Era un miracolo che mi riuscissi ancora a reggere in piedi, di solito dopo avermi massacrata mi lasciavano distesa sul cortile della scuola. Quando succedeva mia sorella maggiore, Sophia, mi doveva portare in infermeria e doveva aspettare lí qualche ora prima di poter tornare a casa. Mi dispiaceva per lei, non volevo che si preoccupasse per me, tanto io c'era abituato, il dolore passava, quello che non passava erano le parole di disprezzo che mi sentivo dire tutti i giorni, quelle ferivano l'anima con dei segni indelebili impossibili da cancellare. Ecco perchè soffrivo ancora;molte volte mi mettevo nella mia stanza per un intero pomeriggio e piangevo:volevo disperatamente tornare a casa, a Parigi.
Quel pomeriggio tornai leggermente prima da scuola e, come tutti i pomeriggi, vidi mio padre seduto in cucina intento a bere, io gli vedevo fare solo quello da quando eravamo arrivate noi.
"smettila, o gli assistenti sociali ci sbatteranno a vita in un convento!" esclamai. "Non voglio vedere Sophia soffrire a causa tua, lei ha già i suoi problemi con me!"
Facevo quel discorso quasi tutti i giorni, solo che non ricevevo mai una sua risposta, sembravo come invisibile ai suoi occhi, come se fossi un fantasma.
Dopo un pò decisi di schiodare il mio sguardo da mio padre e cercai di salire le scale. Caddi un paio di volte, ma alla fine arrivai al piano di sopra e mi diressi verso il bagno. Appena entrai il mio sguardo cadde sullo specchio, la mia faccia era distrutta, a salvarsi erano stati solo i mie due luminosi occhi azzurri.
"le odio!" urlai mentre sbattevo il pugno sul lavandino "odio tutto!".
Non riuscivo piú a sopportare la situazione, mi sentivo sola e dimenticata da Dio.
Quei mie pensieri, però, vennero interrotti dalle vibrazioni del mio telefono, io lo presi e lo aprii per vedere chi mi stava chiamando. Era mia sorella.
"Pronto..."
"Emily, mi ero preoccupata! Ti ho cercata per tutta la scuola, ma non ti ho trovata. Dove sei?!"
"sono a casa..." risposi.
A quel punto sentii un sospiro di sollievo da parte di Sophia. Si era preoccupata inutilmente, no, si preoccupava sempre inutilmente. Lei mi voleva bene, ma certe volte era troppo protettiva nei mie confronti e io non mi sentivo libera, neanche a casa mia. Era questo quello che mi mancava, la libertà.
"... Comunque torno tra poco!" disse interrompendo il silenzio.
"ok..." dissi mentre chiudevo la chiamata.
Dopo un pò di tempo passato a guardarmi allo specchio decisi di aprire l'acqua e cominciare a schiaquarmi il viso. Al mio tocco le ferite facevano male, cercavo di fare il piú piano possibile, ma bruciavano comunque.
Continuai finchè il sangue non si fermò, poi andai verso la mia camera, cercai di aprire la porta, ma prima che potessi farlo venni fermata da un tocco delicato :quello di Sophia.
"ciao! Come stai? Com'è andata con quelle lí?"
"meglio degli altri giorni..."
"meno male, comu-"
Non feci finire la frase a mia sorella ed entrai nella mia stanza chiudendo la porta a chiave.
Volevo stare da sola con i mie pensieri, quello era uno dei pochi modi che avevo per soffrire di meno.
Sembrava che in quel paese nessuno avesse pietà di me, io l'imploravo, ma nessuno mai si fermava ad ascoltarmi. Avrei voluto sapere perchè tutta quella gente mi odiasse, io ero come tutte le altre, ero un fantasma, tranne che per loro, per loro io esistevo, eccome se esistevo. Esistevo perchè dovevo essere costantemente massacrata, sia al corpo sia all'anima. Le mie lacrime li divertivano e le mie urla li compiacievano;erano come diavoli, diavoli scesi in terra per consumare pian piano l'esistenza di qualche essere umano. E quell'essere umano ero io, la ragazza dagli occhi azzurri e dai capelli mori, Emily Colin.
Mi misi le mani in faccia e sentii le mie lacrime calde scendere sulle guance, stavo piangendo. Intanto sentivo bussare alla porta :"Apri!!" gridò mia sorella.
Io non le risposi e continuai a piangere. Ogni volta la stessa storia, quasi tutti i giorni, da circa un anno. Io che venivo massacrata dalle mie compagne di classe, io che piangevo in camera mia e mia sorella che bussava alla porta implorandomi di aprirla.
Tutto ciò cominciò quando, per sbaglio, mi opposi a un atto di bullismo portato avanti da Lily Smith, il capo del gruppo. Da quel giorno, per farmela pagare, cominciarono a tormentarmi e nessuno mai mi aiutava,neanche i professori. Anzi, facevano il tifo per loro, perchè tutto e tutti erano di proprietà di Lily e chi osava opporsi o offenderla ne pagava le conseguenze.
Quella non era una scuola, quello era un regime autoritario comandato da :Lily Smith, Olivia Allen, Chloè Brown e Emma Miller.
Loro erano le persone piú perfide, crudeli e spregevoli di quel mondo.

Si era fatta ormai ora di cena e io avevo finalmente smesso di piangere.
"la cena è pronta!" gridò Sophia.
A quel punto mi tolsi la divisa e mi misi il mio solito felpone bianco con sopra una fotografia in bianco e nero della Torre Eiffel.
"Emily, sbrigati!" disse.
Dopo quel richiamo mi misi le pantofole e scesi le scale.
Appena arrivai trovai mia sorella e mio padre già seduti al tavolo. Ero stata troppo lenta.
"scusate..." sussurrai piano.
"non fa niente, ora vieni a sederti." disse dolce la mia sorellona.
Io mi avvicinai al tavolo e mi sedetti; quella sera c'erano le lumache, il piatto che odiavo di piú al mondo,solo che nessuno lo sapeva, avevo sempre detto il contrario perchè sapevo che alla mamma e a Sophia piacevano.
Io mi sacrificavo sempre per gli altri, proprio come faceva mamma.
Dopo cena mi fermai a parlare con mia sorella, lo facevo tutte le sere :"com'è andata oggi a scuola? Che ha fatto quel cretino del tuo fidanzato?"
"niente, tranquilla."
"non mi fido... Non mi piace quel tizio!"
"eddai! Ricordi proprio nostra madre quando fai così!"
"lo so, ma lo sai...mi piace dirti le cose che penso."
"lo so... Ora, però, dimmi cosa ti hanno fatto oggi."
"lo sai già quello che mi hanno fatto! Mi hanno massacrata, come sempre!" gridai.
Non mi piacevano quelle domande. Non volevo pensare a quei diavoli.
"scusa... Lo so che non vuoi parlarne, ma io sono tua sorella. A me puoi dire tutto, sono qui per te."
"lo so, è solo che non voglio dirti niente di queste cose che mi fanno male!!" urlai arrabbiata mentre salivo le scale.
I nostri discorsi finivano sempre così. Non riuscivamo mai a parlare seneramente. Sapevo che era colpa mia, ma proprio non ce la facevo a fare quei discorsi.
Appena arrivai nella mia stanza presi un libro e mi infilai sotto le lenzuola.
Mi era sempre piaciuto leggere, sopratutto prima di andare a dormire; mi faceva sentire tranquilla.
Stavo leggendo il mio libro preferito, non era molto conosciuto, ma io l'adoravo. Mi piaceva immaginarmi nei panni della protagonista, lei era una persona forte che non si faceva mai mettere i piedi in testa da nessuno. Era il mio opposto, io ero debole e senza nemmeno un briciolo di coraggio.
Ogni sera facevo quella riflessione e ogni sera mi addormentavo con il desiderio di volare libera nel cielo.
Quel sogno sembrava durare sempre poco, come un battito di ciglia.

Come sempre mi svegliai verso le sei e mezza e mi cominciai a preparare.
Andai a lavarmi, mi misi il mascara e un pò di ombretto nero, poi andai in stanza e mi misi la divisa.
Restai nella mia stanza fino alle sette, poi scesi.
Non c'era mai nessuno al piano di sotto la mattina, ne approfittavo sempre per farmi un giro e vedere se c'era qualche libro interessante nella piccola libreria di casa.
Quella mattina trovai qualcosa di abbastanza interessante:un libro rilegato in cuoio con un bella scritta gialla in rilievo. Curiosa girai il libro e provai a leggere la trama, solo che venni interrotta dalla voce di Sophia:"sei pronta?"
"sì..." risposi mentre rimettevo a posto il libro.
"allora andiamo o faremo tardi!" esclamò mentre scendeva le scale.
Io mi avviai verso la porta e la aprii, anche quella mattina pioveva.
Mia sorella, intanto, mi aveva raggiunta:"prendi l'ombrello. "
"certo..." risposi mentre prendevo un ombrello dal porta ombrelli vicino alla porta.
Aprii l'ombrello e mi incamminai, da sola, verso scuola.
Un altra giornata di paura in quel manicomio stava per cominciare...

Fine primo capitolo.

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