Hyperion Moore, unico e preziosissimo figlio del sindaco della contea di Deadwood, gelido, calcolatore e manipolatore, era stato cresciuto dal padre a sua immagine e somiglianza, per guidare il suo impero come un leader spietato e pronto a calpestar...
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Hyperion Durante il corso della mia vita avevo avuto davvero poche certezze ma, senza alcun dubbio, la famiglia era una di quelle, anzi non una, bensì la più importante.
Mi era stato insegnato a metterla avanti a tutto, a non dovermi preoccupare di altro se non essere fedele ai miei genitori e a condividere i loro ideali, indipendentemente quale fosse realmente il mio pensiero e farmi valere sempre e solo fuori dalle mura di casa, perché dentro non mi era permesso.
Ero rimasto fedele alle mie scelte, ma spesso mi era costato caro. Avevo rinunciato ad ogni cosa per loro, perché non c'era alcun dubbio che avrebbero fatto lo stesso per me, eppure mi sentivo perennemente soffocare in quel ruolo.
Non ero un santo, sapevo di essere cinico e perfido sotto molti aspetti, ma non abbastanza da diventare uno dei cattivi. Volevo solo vivere la mia vita in pace senza dover seguire le dittature dell'invasato di turno, chiedevo forse troppo?
Mio padre era sempre stato accecato dal potere, mi aveva cresciuto con il racconto della nostra innata superiorità al un punto tale da convincermi a crederci del tutto, ma non ero interessato al dominio di nessun impero o al controllo del monopolio di grossi carichi di droga, a me non fregava un cazzo delle loro guerre tra bande, cercavo solo la serenità che avevo vissuto nella mia infanzia.
E poi a un certo punto, non so come, mi ero ritrovato incastrato in quel sistema, manovrato da qualcuno più forte di me che controllava la mia vita e mi impartiva ordini.
Mi venne da sorridere perché ripensai che lei aveva previsto tutto e sapeva che fine avrei fatto dando ascolto agli ideali sbagliati.
Ed eccomi qui, in un sistema criminale con le guardie alle calcagna pronte a cogliermi in errore per sbattermi in carcere per il resto dei miei giorni e con un una responsabilità più grande di me che custodivo gelosamente stretta nella mia parte più profonda, lontano dai pericoli che c'erano lì fuori.
E lei era lì davanti a me da tutto il giorno e non aveva proferito più di due parole, era più bella che mai mentre sistemava i suoi appunti poggiata su una delle sedie del mio soggiorno, con l'espressione concentrata e la divisa che la stringeva in tutti i punti giusti.
Non avrei mai immagino di poter vivere una situazione del genere, tantomeno cosi, eppure il solo averla così vicino mi faceva sentire di nuovo come una volta. Kyla aveva un potere su di me che nessuno avrebbe avuto mai ma ammetterlo mi sarebbe costato un prezzo fin troppo caro che non mi sarei potuto affatto permettere.
«Le serve qualcosa?» mi chiese dopo interminabili minuti in cui continuavo a fissarla. Era odioso il tono distaccato con cui continuava a rivolgersi a me.
«Non so, tu che mi offri?» ribattei sporgendomi in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia per avvicinarmi a lei.
«La possibilità di contrattare una pena meno severa per lei, se vorrà collaborare e aiutarmi a capire chi è che muove i fili di questa grande rete criminale.»