viaggio nell'ignoto

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Nell'immensitá del reale dolore ella mi investì della carica di sognatore,

e quantunque io provi a cercare con lo sguardo codesto sogno di lieto finale, non appare nulla, e tutto si scaglia sulle mie spalle già doloranti, senza sosta e senza pace.

Aveva un sorriso luminoso, che quasi pareva brillare nella più oscura notte qual'era la mia anima.

Aveva una splendida voce,che
melodiosa cantava le gesta della vita e della morte, che nella fatica di ogni giorno eludeva a me la possibilità di essere ciò che ero, ma che allo stesso tempo aprezzava ogni frammento del mio corpo e della mia anima.

Era l'unico pensiero, l'unica
preoccupazione, il mio dono più prezioso dalla natura ,

Ella era la natura.

Eppure, come nelle fiabe che da bambini ci incantano gli animi, tutto finii , velocemente e con codardia.

I suoi occhi e la sua voce lievemente si spensero, come cristallina neve che si poggia sul terreno per non risalire più nel cielo, mentre le nuvole, cariche di dolore, conservano l'ultima esalazione di vita.

E fu proprio in quel furioso momento, che io mi accorsi che non sono altro che un esile gambo d'un fiore spezzato dalla forza dell'immane realtà.

Ed é per questo, che la mia amata mi disse, con le gelide mani tra le mie

:"Sperare e sognare devono rimanere vividi nella tua mente.
Ama l'ignoto e l'immaginario, perché essi saranno la tua casa e il tuo riparo.
Io sarò lì ad aspettarti, fino alla fine dell'infinito.'

E poi smise di parlare, perché non lo avrebbe fatto più.

Eppure io ascoltavo il silenzio che parlava per lei, e ci conversavo,in quella stanza gialla, un tempo cosí accogliente, e ora carica di follia.

Oramai i giorni passavano,ed io ero Immobile ed immutabile, tanto stavo li con gli occhi spalancati, il cuore che batteva piano, le membra rigide e la testa spenta.

Spento il mio cuore.

Era troppo arduo rimanere nell'immaginario mondo che ella mi aveva offerto, che mi aveva donato prima di rendere la sua vita alla spensieratezza.

attendevo che lei, sovrana di ignoti regni irreali, venisse a prendermi e portarmi via da quella cigolante sedia.

Nulla succedeva, nulla si muoveva.

E con il tempo pensai che la speranza non esisteva, quando cominciai a sognare.

Sognavo, ad occhi aperti, con la luce del sole che mi scaldava la secca e morta pelle, immaginavo mondi e storie, personaggi che mi aiutavano o mi odiavano,
e lei.

Ella era il centro di ogni cosa, il centro dell'immane volontà di allontanarmi da ciò che era la cupezza del dolore che pativo seduto immobile.

Ed io gioivo, nel mondo che diveneva sempre più perverso e oscuro,che non lasciava la mia mente dalla depressione dell'unico fato a me riservato.

L'assoluta consapevezza della fine di tutto e di niente.

Perché ella non tornava?

Era sempre immobile, sul suo trono di ossa e sangue, mentre le mie mani rosse e deboli non si fermavano, mentre le mie grida di pietà celavano gli urli delle mie vittime.

Mentre il mio volto, spento e mascherato dallo sporco e dall'insano, guardava con pietà la regina.

Nulla finiva, e il tormento era così brutale...

Le mie lacrime di nebbia scendevano,come un fiume in piena.

Provai ad aprire gli occhi, nell'immacolata verità dell'insaziabilitá del corpo suo, e vidi che i suoi occhi bianchi non battevano più.

Le sue ciglia si erano trasformate In esili farfalle, che come nebbia divenirono tante, infinite e sempre più veloci.

Le seguii , accelerando sempre più il passo, fino a che non mi ritrovai a correre, con il paesaggio che cambiava, diventando più chiaro.

Era l'unica sensazione che potevo scorgere.

Più chiaro, più puro.

Più correvo,
più volavo,
più speravo,
Più amavo,
più. ..

Morivo.

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