Prologo

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Il trillo del campanello situato sopra la porta mi riportò alla realtà e frettolosamente cercai di nascondere tra i libri sparsi sul bancone le vecchie pergamene su cui stavo finendo di scarabocchiare gli ultimi appunti di astronomia.

"Come posso esserle utile, signore?". L'uomo alta vestito con una pesante veste scura appena entrato si era fiondato tra gli scaffali ai lati dell'ingresso, era di spalla e non riuscivo a vederlo in viso. Sembrava sapesse dove cercare. Mi sporsi un poco nel vano tentativo di captare qualche particolare in più dello sconosciuto. "Erba fondente, dove la tenete?", mi domandò all'improvviso.

La sua voce era quella di ragazzo, ancora immatura, e non dell'uomo adulto che mi aspettavo. La riconobbi subito. Quando si tolte il pesante cappello di lana scorsi dei capelli rossi, lisci e tenuti un po' lunghi; avevo perfettamente capito di chi si trattasse.

"A cosa ti serve la pozione polisucco, Weasley?".

Lui finalmente si voltò verso di me e mi sorrise, divertito. "So che muori dalla voglia di saperlo, Flint. Sfortunatamente - e lasciò che passasse qualche secondo - non posso dirtelo, come potevi benissimo immaginare da sola. Affari, fanciulla, affari." Mi venne da ridere per il tono teatrale e le sue ultime parole usate, cercai di non darlo a vedere.

"La trovi in quel vecchio scritto, laggiù - e glielo indicai - ma Weasley, se ti beccano e..."

"Se mi chiedono dove me la sia procurata...Saprò che inventarmi, non preoccuparti"

Con passo veloce attraversò da un lato all'altro il nostro piccolo negozio e si fiondò a cercare tra i cassetti del vecchio mobile; le sue mani erano svelte e quando ebbe trovato ciò che stava cercando ululò di gioia.

"L'ultima volta tua madre me l'ha fatta pagare solo dieci galeoni..." precisò una volta davanti a me, poggiando sul bancone la boccetta contenente gli ultimi ciuffi di erba fondente. "Una donna deliziosa, incredibilmente gentile. Hai sicuramente ereditato i suoi occhi e i lineamenti. La rabbia? Deve essere sicuramente da parte del paparino". A quelle parole mi sentii il sangue ribollire, le mani iniziarono a sudare e la vena sul mio collo si fece più piena. Mi limitai a fulminarlo con gli occhi.

"Suvvia Flint, sai che ti prendo in giro. Pensavo fossimo amici, ormai".

"Se mia madre vi permette di venire nel nostro negozio e rifornirvi di quello che vi panca e usa parole gentile per parlarvi non significa che siamo amici. Sono venti galeoni, Weasley, e ti voglio fuori da qui prima che io abbia finito di battere cassa". Il ragazzo pagò di fretta, mi lanciò un'ultima occhiata prima di uscire e sparì.

Alle sei e trequarti di pomeriggio e fuori era già buio, la pioggia cominciata la mattina presto continuava a cadere incessante sulle strade umide di Diagon Alley

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Alle sei e trequarti di pomeriggio e fuori era già buio, la pioggia cominciata la mattina presto continuava a cadere incessante sulle strade umide di Diagon Alley. Terminato l'inventario e riposti nei loro scaffali alcuni vecchi manuali chiusi il negozio. Fred Weasley era stato l'unico cliente quel giorno. Da quando mia madre si era ammalata, gli affari stavano crollando con lei. La malattia le aveva scavato il viso e reso la pelle argentea un filo di carta fine e patinata. Le troppe lune in cui aveva combattuto la trasformazione l'avevano consumata. Mio padre, Jeremiah Flint, era un uomo rude e scaltro; marchiato dal Signore Oscuro decenni prima nell'ultimo periodo era sparito, come altri suoi fedeli seguaci.

Tornai a casa con i vestiti zuppi e, ipotizzai, qualche centimetro di acqua negli stivali. "Tesoro" la voce esile di mia madre mi accolse in salotto. Era sdraiata sul divano di pelle nera, raggomitolata in una vecchia coperta e un berretto brutto e infeltrito le fasciava il capo. "Domani non andare, non preoccuparti del negozio. Goditi questi ultimi giorni di vacanza prima di tornare ad Hogwarts".

La guardavo con occhi vacui e mi sentivo il cuore andare in mille pezzi. Aveva lottato una vita per guadagnarsi un posto onesto nel mondo e ora era ridotta così. Ero arrabbiata, furiosa per quell'ingiustizia. Stavo per risponderle quando mio fratello rientrò a casa, anche lui bagnato dalla pioggia. "Sembra che stiate per morire entrambe, che misero quadretto di famiglia". Mi scaraventai su di lui con le mani pronte ad afferrargli e graffiarli il viso. In una mossa mi ribaltò e si ritrovò sopra di me, la bacchetta puntata su di me.
"Cosa vuoi fare con quella Marcus? È così che ti ha insegnato il nostro caro padre?" lo sfidai, non c'era incantesimo e fattura che non sapessi parargli e lui era troppo stupido e codardo per lanciarmene uno. Ci teneva a salvarsi il bel sederino a scuola e in squadra, dove tra i suoi compagni si sentiva un vincente. "Sei solo una sbruffona, Antheia. Se avessi voluto...".

"Sì, se avessi voluto tu saresti già morto. Il misero sei tu'".

Trascorsi l'ultima settimana di vacanza prima del nuovo anno a casa con mia madre. Marcus andava e veniva, non si preoccupava di dire cosa facesse e onestamente non mi importava ma mia madre soffriva anche per questo. La notte prima di tornare al castello, dopo cena, mia madre mi chiese di seguirla nella sua stanza. Era da quando avevo sette anni che non ci entravo, mio padre ce lo aveva vietato, e valicare quella porta mi rievocò molti momenti dell'infanzia. Alcuni felici, altri un po' meno. Li scacciai via.

"Voglio che tu tenga questo, Antheia. Mia madre lo diede il giorno del mio sedicesimo compleanno - cercai di ricordarle che... - lo so, non è oggi e manca ancora più di un anno. Ma, sinceramente, non so quanto tempo mi rimanga e voglio essere sicura che tu lo abbia". Era una collana con un cristallo nero incastonato nell'oro come ciondolo, sembrava pesante alla vista ma indossato non ci si accorgeva nemmeno di averlo. Il nero della pietra mi ricadeva centrale sul petto, risaltando l'incarnato pallido. "Ti chiedo di indossarla sempre, mia dolce figlia. Ti proteggerà e sarà come avermi sempre a fianco, sarò io a vegliare su di te". Trattenni le lacrime a stento, lei lasciò che le rigassero il viso. Mi sarebbe mancata come aria ma scacciai via anche quel pensiero. Rigirai la pietra tra le mani e lo osservai attentamente. "Mi ricorda un amuleto che ho trovato in un libro di magia trasformativa, l'anno scorso nella biblioteca della scuola. Comunque sia è bellissima mamma, ti ringrazio e ti prometto che non la toglierò più". Mantenni quella promessa.

Prima di salire sul taxi diretto alla stazione mi voltai un'ultima volta verso casa. Anche la casa, immersa nell'immenso verde del parco di proprietà, tra la foschia londinese del mattino, sembrava triste e malinconica. Salutai con la mano mia madre, che ci osservava dalla finestra del piano di sopra, e salii sulla vettura. Marcus era già sul sedile posteriore, seccato degli stupidi convenevoli di rito.

 Marcus era già sul sedile posteriore, seccato degli stupidi convenevoli di rito

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