capitolo 1

7 2 0
                                    

Platone racconta che ognuno è destinato a trovare la sua metà nel mito degli androgeni.
Questo narra che un tempo gli uomini erano creature perfette, con due teste, quattro braccia, quattro gambe ecc.
Un giorno Zeus, invidioso di questa perfezione, spezzò a metà i loro corpi, rendendoli appunto ciò che conosciamo ai tempi d'oggi, ma con un solo dettaglio: rese lo scopo della loro vita, trovare la loro perfetta e destinata altra metà.

Cazzate, tutte cazzate pensai fra me e me, perché io la dolce metà di qualcuno l'ho sempre vista nei film, sui libri, ma anche nella letteratura italiana come dante, catullo, william shakespeare, jane austen.
Nella realtà io non sono mai stata la Beatrice di dante per qualcuno, e tantomeno non ho mai trovato il mio principe azzurro.
Sin da piccoli ci hanno sempre detto che lì fuori da qualche parte c'è la tua anima gemella, la persona con cui starai per l'eternità, avrai dei figli e condividerai un letto, per me invece è molto diverso, non ho mai creduto a tutto questo, per me l'amore è un'ampia varietà di sentimenti, che possono variare da una forma più generale di affetto sino ad un forte sentimento che si esprime in attrazione.

Distesa comodamente sul letto, presi il telefono navigando un po' di qua e di là su internet.
In fin dei conti era la cosa che mi riusciva meglio.
Proprio quel giorno precisamente alle 11:00 sarei dovuta partire per la California precisamente a Los Angeles da chloe Moore, ovvero mia madre, ovviamente costretta.
Io e mio padre ci eravamo trasferiti a new York dopo che lei beh lo tradì portandosi a letto un suo collega di lavoro.
Da quando ci aveva lasciati con una lettera non ho più avuto sue notizie. Ma adesso mio padre aveva avuto la brillante idea di ricontattarla per farmi riallacciare i rapporti con lei. Lui era riuscito a perdonarla anche dopo tutto quello che aveva fatto, ma io non non riuscivo neanche più a guardarla.

Non volevo ricucire nessun rapporto con lei, tantomeno entrare a far parte della sua vita quando lei della mia se ne era completamente disinteressata per tanto tempo. Decisi così di scendere in cucina e tenermi la mente occupata mangiando qualcosa, ma più pensavo più dentro di me cresceva un'angoscia assurda.
Non mi importava più nulla di lei, ma rivederla per me sarebbe stato tremendo, e sicuramente avrebbe riaperto delle ferite mai rimarginate.
Mi scese una lacrima o 2, non badai neanche a contarle.
«Dafne...» sentì la voce di papà dietro di me, si avvicinò e di scatto feci un gesto, lo abbracciai, e in un sussurro mi disse «voglio solo che ci provi».
«Non posso farcela» gli risposi scoppiando in lacrime, non voglio rivivere tutti i ricordi di quando sentivo piangere papà in silenzio per non farmi stare male, o quando un giorno a causa sua stava per uccidersi, era ancora tutto nella mia mente.
«certo che puoi farcela amore» tu sei una donna forte.
Mi strinse di nuovo in un abbraccio e mi diede un bacio sulla fronte.

L'ora di raggiungere l'aeroporto però arrivo troppo in fretta.
Mi accompagnò papà che attese con me fino alla partenza, rassicurandomi sempre che sarebbe andato tutto bene.
il viaggio durò circa 7 ore.
il tempo sembrava infinito, anche se mi ero munita di cuffiette e varie medicine per l'ansia e l'agitazione perenne che avevo.

Giunsi finalmente a Los Angels, l'aria fredda e la neve candida di dicembre mi catapultò in un'altra dimensione. Mi girai intorno e osservai gli immensi grattacieli in lontananza. Poi, cercai di contattare mio padre del mio arrivo. Visto che mi aveva chiesto  di avvisarlo non appena fossi atterrata.
Sfilai il mio telefono dalla tasca dei jeans e avviai la telefonata. Quando finì di parlare notai un messaggio da mia madre che diceva: «Ciao dafne, questa è la posizione di casa, appena sarai scesa, fuori
dall'aeroporto ci sarà un taxi che ti porterà qui, a dopo»
«Neanche la decenza di venire a prendermi» commentai fra me e me,
in fin dei conti cosa mi aspettavo, che mi venisse a prendere con la limousine?
non era cambiata per niente.
Sbuffando afferrai la mia valigia trascinandola con me verso il taxi; salì sulla macchina e in meno di 15 minuti mi trovai davanti la casa più bella e lussuosa che si poteva desiderare.

Ero agitatissima, ma mi limitai ad aprire la portiera e a scendere dall'auto per prendere la mia valigia. Avevo il cuore a mille, e batteva così forte che pensavo di star morendo.
Non mi rimaneva che affidarmi a non so a chi e sperare che tutto andasse per il meglio, feci un bel sospiro e bussai alla porta.
Poco dopo, mi comparve davanti, era sempre la stessa di come la ricordavo ma  sembrava molto agitata.
Io,invece me ne stavo all'ingresso della porta sentendomi un pesce fuor d'acqua.
Ero così agitata che non sapevo cosa fare e cosa dire, quando da un momento all'altro la sentì, sentii la sua voce
«ciao, dafne entra pure» mi disse, poi fece per prendere la mia valigia ma mi scansai per impedirglielo.
Rimasi in silenzio senza rispondere, presi la mia valigia, e la seguì dentro casa.

La casa era come l'avevo immaginata.
A sinistra c'era una scalinata che portava al piano inferiore tutta di legno ma con dei particolari che la rendevano unica; i lampadari di cristallo adornavano ogni angolo della casa, e le pareti erano di pietra sporgente che rendevano la casa particolare ma lussuosa.
«Piacere sono Noah, tu devi essere dafne, tua mamma mi ha parlato molto di te»
«si, sono dafne e mi domando come mai visto che mi ha abbandonata quando avevo solo 6 anni»
Noah rimase zitto, lei invece sembrava quasi sull'orlo di piangere ma non mi sentì in colpa per quello che dissi, in fondo era la verità.

«Ragazzi venite qui! urlò Noah»
«ragazzi?» esclamai ad alta voce
«Si io ho 2 figli, Kelly ed Erik»
Granai gli occhi e rimasi a bocca aperta quando disse di avere 2 figli, ma la cosa che mi infastidì molto era, il perché papà non mi avesse detto nulla.

«Che c'è papà ?» urlò una ragazzina  in un tono soave che si e no aveva la mia stessa età.
Era castana ma tinta di rosso, e aveva alle orecchie un paio di cuffie.
Si avvicinò lentamente a me e mi scrutò dalla testa ai piedi.
«Tu devi essere la figlia di Chloe, piacere io sono kelly» poi mi tese la mano.
«Si, sono dafne» ricambiai la stretta di mano e feci un piccolo sorriso.

«Erik starà sicuramente nella sua stanza», poi mi incitò a seguirla, mostrandomi dove fosse la mia camera.
Era in fondo al corridoio, tra il bagno e un'altra camera
«Questa è la camera di mio fratello» mi disse, se sentirai rumori è lui che sicuramente gioca alla play.
Avevo tante altre domande da fargli, ma in quel secondo mi limitai solo ad annuire, ed entrai in camera.
Era perfetta, sulle pareti c'erano varie cornici, alla mia destra c'era una scrivania rigorosamente tutta fatta di legno con dei particolari in oro, al di sopra c'era una piccola tv che era posizionata difronte al letto matrimoniale, ma non un semplice letto questo riprendeva il legno e le sfumature della scrivania, rendendo la stanza particolarmente delicata.

Svuotai subito la mia valigia, e presi tutto il necessario concedendomi del tempo per una doccia calda e per indossare dei vestiti puliti.

the night we met Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora