ANDREA

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- Mamma, devi capire. Rivoglio mio figlio con me. Sono sette anni che Andrea vive a Roma con te. Deve tornare a casa. Lo voglio con me.

- Maria lo so che è tuo figlio. Ma lui vive bene qui. È felice di stare qui. Ha i suoi amici. La sua scuola. Perché vuoi riportarlo a vivere in Thailandia?

- Perché la sua famiglia e la sua casa sono a Chiang Mai! Suo padre e suo fratello sono lì! La sua vita è in Thailandia!

- Chi ti dice che lui voglia vivere in Thailandia? Non possiamo sapere dove vorrà vivere quando avrà trent'anni!

- Non so dove mio figlio vivrà a trent'anni, ma adesso, a diciassette anni, vivrà con i suoi genitori e suo fratello!

Appoggiato alla parete del corridoio ascoltavo la discussione tra mia madre e mia nonna. Erano giorni che madre e figlia non facevano altro che discutere. E la causa della loro discussione ero io, il nipote ed il figlio di quelle due.

Io, Andrea, diciassettenne in balia di due donne che amavo.

E che ancora non sapeva quanto la decisione che stavo per prendere avrebbe influito sulla mia vita. Quanto dolore, quanta sofferenza, quanta crudeltà avrei conosciuto. Quanto amore avrei conosciuto. Un amore che adesso non sapevo che esistesse. Ma che sarebbe stato il mio amore. Quello vero ed assoluto. Quello che si prende il tuo cuore e non te lo ridà.

Molte volte mi sono chiesto se avessi fatto la stessa scelta, sapendo a cosa sarei andato incontro. E sempre mi sono risposto di sì. Perché il mio amore valeva, vale e varrà sempre ogni sorriso, ogni lacrima e ogni sospiro che lui mi ha donato.

Da quando avevo tredici anni vivevo a Roma, in Italia, con mia nonna Bianca. Ero felice di vivere con mia nonna. Stavo bene con lei nella sua casa ai piedi dell'Aventino. Avevo tanti amici con cui giocare a calcio e studiare. E tanti posti da dipingere. Amavo dipingere. Avevo ereditato la passione dal bisnonno Kurt, venuto dalla Finlandia a Roma per frequentare l'Accademia di Belle Arti. E a Roma aveva incontrato l'amore. Aveva conosciuto la bisnonna Caterina, si era innamorato ed aveva deciso di rimanere a vivere in Italia per sempre.

Mia madre aveva fatto il contrario. Si era innamorata di mio padre e lo aveva seguito in Thailandia. E adesso era venuta a riprendermi per riportarmi a casa. Secondo lo zio Ernesto non stavo così male da non poter sopportare le 16 ore di volo tra l'Italia e la Thailandia.

"Non stavo così male"...certo avevo la spada di Damocle della mia malattia che pendeva sopra di me, ma per il resto stavo bene.

In quei giorni avevo imparato a guardare il bicchiere mezzo pieno. Era diventata la mia filosofia di vita. Credo che fosse il modo migliore per un ragazzino diciassettenne di accettare la realtà.

Se non fossi caduto, se non mi avessero fatto una TAC, su insistenza della nonna, per essere sicuri che non avessi nulla di rotto...nessuno avrebbe mai scoperto la mia spada di Damocle. Nella mia testa stava crescendo, insieme a me, un meningioma. Quando i medici avevano dato la notizia alla nonna, questa si era attaccata al telefono urlando al povero zio Ernesto di precipitarsi a Roma. Poi aveva chiamato mia madre, e pochi giorni dopo, due dei tre figli di nonna Bianca erano nella loro casa paterna. Mancava solo lo zio Pietro, il maggiore dei figli di nonna. Zio Pietro era sacerdote, e adesso era a capo di una diocesi in Congo. Ma secondo la nonna, zio Pietro non serviva che venisse. Poteva pregare per me ovunque si trovasse.

IL CUORE RICORDADove le storie prendono vita. Scoprilo ora