Vivo. Muoio. Vivo ancora.
Ancora nel buio, una barra di ghiaccio mi scende in gola, giù nei polmoni rattrappiti, li gonfia contro la gabbia d'ossa, contro i muscoli che sudano sangue nelle vene strizzate dal freddo... Il freddo sempre nel buio mi danza addosso, sotto gli strati dei vestiti, sotto i tessuti superficiali del corpo che ancora vacilla tra la vita e i vestiboli che prima della morte si aprono: dolore, terrore, torpore, uno dopo l'altro li ho attraversati. Poi il sogno abbagliante, durato qualche eone, e poi più niente per un attimo, prima del risucchio che dai tentacoli della notte mi ha rigettato sul gelido piano di una familiare realtà spietata.
Oltre la tenebra delle mie palpebre trovo altra tenebra, fitta all'inverosimile, finché l'occhio non si inerpica su per le ramificazioni invisibili di quella notte artificiale, aggrappandosi al bagliore in figura umana che ancora indistinto sopra di me sussurra, poi tace e mi benedice con un pianto di gioia. Una sua manina rovente sulla mia guancia impolverata di brina ed è come se a poco a poco la mia vita venisse riaccesa, dalla scorza irrigidita fin dentro la polpa raffreddata ma ancora pulsante.
– Icsil... – chiama. E piange.
Tremo nel sentire il mio nome, la sua voce pronunciare il mio nome. Ora riesco a vederla, Rebis, il suo volto di bambina così perfetto da un migliaio di anni. Per quante catastrofi si siano riversate dentro quegli occhi scuri e splendenti, ancora riescono a sciogliersi di fronte a un mostro come me, che ha osato chiedere tanto all'unica creatura che gli abbia mostrato sincero affetto.
Vorrei muovermi, ma il gelo mi inchioda tenace in questo sarcofago d'acciaio, solo il mio arto artificiale inizia a rispondermi, le punte delle dita battono contro il palmo come unico sfogo alle legioni di brividi intrappolate in me. L'aria fredda del luogo in cui ci troviamo si porta via il gelo che mi attanaglia, lo vedo salire in volute di vapore argenteo verso l'indefinibile nero sospeso sopra di noi.
Rebis scompare senza dire nulla. Tendo l'orecchio verso i suoi movimenti e mi pare di cogliere un crepitio. Prima che torni, sempre velata della sua luminescenza, ho come l'impressione che le tenebre vadano tingendosi di calore.
– Devo tirarti fuori di qui – mi dice. Balza sul sarcofago, con i piedi piantati sui bordi da cui pendono le due metà del coperchio, si piega per afferrarmi da sotto le ascelle e mi mette a sedere senza fatica. Salta giù ed è subito alle mie spalle. Mi sento di nuovo prendere, adesso da dietro per farmi scivolare fuori. E mi ritrovo ancora una volta trascinato di peso verso la salvezza.
La salvezza è un fuoco di spazzatura che manda nell'aria il suo odore graffiante mentre gonfia la sua aura arancione. Giaccio immobile vicino alla fiamma e al dileguarsi pigro dell'ipotermia sento come risvegliarsi una sofferenza intrappolata nell'enigmatico intreccio di sogno e memoria. Un altro falò brucia al fondo di un'amarezza che quasi non mi appartiene, non mi riconosco nell'apparenza di me stesso nella vita di un altro... In quale fantasia può essersi impressa l'impronta del mio corpo, la traccia della mia anima, se non nella mia? E il dubbio atroce che la fantasia non sia illusione ma gemmazione di un ricordo sepolto, estirpato a forza, monco di tutte le radici eppure ancora vivo e tenace, capace di riprodurre la sofferenza e l'amore, il calore e lo strazio di un addio prematuro.
Devo sapere...
Rebis è seduta a terra accanto a me e mi guarda, guarda il fuoco, preoccupata forse che non duri abbastanza. – Se non fossi arrivata in tempo... se ci avessi messo anche solo un po' di più, io... – Si asciuga gli occhi col dorso della mano.
– Come...?
Si incupisce, distoglie lo sguardo. – Vedrai.
– Rebis. – Attendo che torni su di me e, come se potesse placare ogni mia afflizione, dico: – Grazie.
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13. Prigionieri
Science FictionQuando già credeva di non poter sprofondare di più nella mostruosità che il suo cuore cova, il Nomade si ritrova condannato dal suo destino a tramare un orrore che neppure i suoi abominevoli nemici hanno osato compiere. Se di coscienza non gliene ri...