L'albero di Giuda - una riscrittura

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Siedi pensoso ai piedi del mio tronco possente, proprio sopra le radici che sinuose sbucano dal suolo arido di quest'aprica terra. È terra di pastori e di artigiani, di profeti e di demòni.
Come per me, oggi è arrivato il tempo di raccogliere i tuoi frutti, amari e maledetti.
Arbor bona fructus bonos facit, mala vero nunquam bonos.
Non accetti l'errore, il fine ragionamento logico con il quale l'uomo si adorna il capo, perdendo di vista il suo Dio. L'amore non è logico, non misura, scusa tutto, perdona tutto. E Dio è amore. Non lo ha forse presentato così il tuo Maestro?
Sei figlio del mondo e ora le tue lacrime irrorano di disperazione la mia linfa che, dalle radici, risale i vasi legnosi per arrivare alle foglie cuoriformi.
Ricordi cosa disse quel giorno?
"Dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore".
Il tuo è un cuore venduto per un tesoro immaginato, conservato in uno scrigno di aspettative. E ora, cosa farai? Sei disposto a lasciar andare, a ritornare in te, a umiliarti, ad andare da lui, contrito, sotto la croce che hanno innalzato grazie a te? Sei pronto a sentire il suono distorto che quelle monete producono cadendo nella vuota cassa?
Io raccolgo le tue memorie, perché tu sarai dimenticato, sarai rigettato e nessuno più vorrà ringraziare Dio dando il tuo nome a un nuovo nato.
Rimarrai sepolto nel silenzio e, nel silenzio, i tuoi gesti cadranno in quella melma limacciosa che i conquistatori chiamano oblio. Dovrai bere dalle sue acque per dimenticare ciò che il tuo orgoglio rigetta.
Volevi rimediare al tuo errore, ma l'uomo non è Dio: consegna, non perdona, è indifferente alla sofferenza altrui, vive di aspettative e di usi. Dio ha umiliato se stesso per innalzare l'uomo, l'uomo opprime l'altro per elevarsi a Dio, perché ab asino lanam quaerere.
Tu, figlio scavezzacollo, tornato dal maestro sbagliato, hai cercato la compassione nella Legge; hai raccolto il rifiuto dell'uomo sapiente che si erge a giudice di se stesso e si arroga il diritto di giudicare l'altro, ma gli manca la vera forza, l'unica capace di estirpare l'ingiustizia; hai raccolto la superiorità dell'uomo che passeggia con boria senza avere pane, che ha labbra dolci con chi gli conviene, ma un cuore indurito dalle regole nei confronti di chi non gli è convenevole.
La cervice dura distrugge la partoriente. È la sua natura. Ma quella dell'uomo superbo, ti consuma da dentro in modo incontrollato, come un'apoptosi dell'anima: non c'è più nulla che può salvarti da te stesso, perché sei tu a volerlo.
Ab equo ad asinum.
Il tuo Maestro rinascerà come capiterà a me il prossimo anno, ma per te non ci sarà un'altra primavera. Perché si è come rami secchi sul ciglio di un precipizio: si alza il vento e si viene portati via senza opporre resistenza. È la nostra natura. Siamo fragili e ogni cambiamento è destabilizzante. Abbiamo bisogno di radici salde per resistere alle tempeste che infuriano tra le foglie e i fiori che adornano i nostri giorni.
"I sogni danno le ali agli stolti": si pensa di essere uccelli in una migrazione e invece lo si è solo di un volo a metà. Non si può trasformare la realtà in base ai sogni, ai progetti o alle proprie convinzioni. Chi lo fa, agisce da stupido e da temerario. Come hai fatto tu. Pensavi che il tuo Maestro fosse quel liberatore tanto atteso e hai permesso che il Suo nemico imprigionasse il tuo cuore. Sarai considerato un reietto e andrai errando di villaggio in villaggio, ma nessuno ti accoglierà. Sarai abbandonato da tutti e vivrai ai margini della società come l'ultimo tra gli ultimi: non si ha pietà dei perfidi traditori. L'uomo chiude gli occhi sui propri errori, ma li tiene ben aperti su quelli altrui. Sarai ricordato come colui che ha tradito Dio e lo ha fatto mettere in croce. Akeldamà sarà l'unica tua riconoscenza davanti ai loro occhi, perché arbore deiecta, quivis ligna colligit.
«Abbi pietà di me, Figlio di Davide. Ricordati di questo povero stupido, quando entrerai nel tuo regno.» E si lasciò cadere.
Il ramo si spezzò e lui precipitò nell'orrido sottostante.
Dove andrò? – pensò – Perdonami Padre, perché ho peccato contro il cielo e contro di te. Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.
Precipitando nel vuoto, il suo corpo roteò come una foglia al vento a causa del peso del ramo al quale si era legato, per poi sbattere con violenza sulle pietre che ricoprivano il pendio, morendo sul colpo. Le sue viscere si sparsero come quelle di Cristo in vita: le une come segno di disperazione, le altre come simbolo di quell'amore eterno che abbraccia e riscatta le fragilità dell'uomo che non muore più.
Ad fontes redeunt longo post tempore lymphae. Amen.

E sarai come colui che con respiro affaticato, uscito dal mare e arrivato alla spiaggia, si gira verso lo specchio d'acqua minaccioso e lo guarda. Riposerai il corpo stanco, riprenderai il cammino lungo il pendio deserto del colle scalando la salita. E d'improvviso, quasi all'inizio del pendio, sentirai la mia voce che ti chiama. Sarà come quel brusio a Taos, lene ma persistente. Ti attirerò a me come la magnetite a Kiruna. Ti solleverò sulle mie ali e vivrai, perché io sono un Dio e non un uomo.

A oggi, penso che tutto il male che l'uomo si infligge e infligge sia nascosto in quella lancia che trafisse e trafigge tuttora il costato di Cristo; lancia che lui trattiene, trasformandola in qualcosa di buono per coloro che lo amano. Come la manioca: per sua essenza, uccide, ma la sua sostanza, trasformata dal fuoco, nutre.

Quid sit futuram cras, fuge quaerere et quem fors dierum cumque dabit, lucro adpone. Permitte divis cetera (Orazio).

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