Ebony and Ivory

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"E poi così, tu sei qui, Natale in un qualsiasi lunedì..."

Simone si guardò attorno cercando la fonte di quella musica. Non era una radio perché quella non era la voce di Gabbani, ma una voce diversa, calda e roca insieme, una voce che gli suonava familiare, amica, vicina. Le note del piano si amalgamavano perfettamente con quel timbro, era qualcuno che cantava dal vivo, che suonava dal vivo, una melodia che sembrava entrargli dentro.

Poi lo vide.

Era un ragazzo della sua età o poco più grande, folti capelli ricci, sguardo malandrino, un filo di barba ad incorniciargli il mento.

Era in piedi, in un angolo della piazza, con una tastiera, una cassa, un microfono e un'aria di assoluta strafottenza, come se cantasse più per se stesso che per chi lo ascoltava passandogli accanto.

C'erano alcune ragazze ferme ad osservarlo, tutte agitate ed emozionate, manco fossero ad un concerto di Harry Styles.

"Vai Manuel" urlò una biondina bassa, dalla voce acuta e a tratti fastidiosa che aveva già visto qualche volta a scuola, ma di cui non ricordava il nome.

Manuel.

Gli si addiceva.

La canzone era finita e il pianista stava facendo una pausa per bere un sorso d'acqua. Simone non riusciva a togliergli gli occhi di dosso mentre si portava la bottiglietta alle labbra, beveva avidamente per poi asciugarsi la bocca con il dorso della mano.

Per una frazione di secondo i loro sguardi si incrociarono.

Simone si sentì avvampare e non poté far altro che voltarsi ed andare via, il cuore che batteva così forte che sembrava volergli uscire dal petto. Non gli era mai capitata una cosa simile, che gli stava succedendo? Va bene era un bel ragazzo, probabilmente in un'occasione diversa, che ne so, in discoteca, ci avrebbe pure provato, ma così per strada, dopo una mezza canzone sentita per caso, sentirsi così, come se si fosse innamorato, gli sembrava un pochino troppo.

Scrollando le spalle, Simone entrò nel negozio di musica in cui lavorava il pomeriggio dopo la scuola, ancora scosso da quell'incontro.

Il giorno successivo, Manuel era di nuovo lì.

Era raro per Simone andare al lavoro passando da quella parte. Il giorno prima aveva dovuto deviare per fermarsi in farmacia a prendere dei medicinali per sua nonna Virginia, ma di solito dalla fermata della metro era più veloce passare dai vicoli, piuttosto che fare tutto il giro e attraversare la piazza.

Invece all'uscita da scuola si era messo a correre come un deficiente e aveva preso il treno precedente al suo solito con lo scopo preciso di rivedere il pianista.

Simone non poté fare a meno di pensare a quante coincidenze lo avevano portato lì in quella piazza il giorno prima.

Numero uno, non aveva la Vespa perché aveva bucato e non aveva ancora avuto il tempo di cambiare la gomma. Numero due, suo padre, professore di filosofia nella sua stessa scuola, aveva avuto un collegio docenti non programmato e non era potuto andare a ritirare le medicine per la nonna di persona, mandandoci invece lui.

Numero tre, non trovava più gli auricolari - dispersi nel marasma della sua camera - e non stava ascoltando la musica a palla come suo solito per isolarsi dal mondo, cosa che aveva permesso alla voce di Manuel di raggiungere le sue orecchie e da lì cervello e cuore.

Simone si accorse di essersi imbambolato a guardare il pianista da lontano quando una ragazza lo urtò, apostrofandolo in maniera indelicata dandogli del morto di sonno.

Lo scossone lo risvegliò dal momentaneo torpore e, sulle note classiche di Chopin magistralmente eseguite dal misterioso pianista, si voltò e se ne andò di corsa.

Ebony and Ivory (Il Pianista)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora