Capitolo 4

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<<siamo chiusi>> urlo dallo sgabuzzino mentre indosso la giacca.

Se sulla porta c'è scritto "chiuso", perchè le persone devono essere così stupide da entrare?

Sbuffo, e con i nervi a fior di pelle esco in sala pronta a riversare tutta la stanchezza sul deficiente che ha deciso di entrare anche se il locale è chiuso.

<<ma non ha letto la scritta sulla porta scusi?>> lo raggiungo al centro della sala. Lui alto, di spalle, imponente, fissa il vuoto. O meglio, la città avvolta dal buio. Con piccole stelle luminose che sferrano velocemente sulla strada. Con i passanti coperti dai famosi long padding per ripararsi dal freddo autunnale illuminati dai lampioni sulle strade dalla luce fioca.

<<non pensavo che trattassi così i clienti>> parla in coreano, ma la sua voce mi è così familiare. <<mi sarei aspettato un lato più dolce di Ainsley, almeno sul lavoro>> si gira, rivelandosi sotto la luce calda e bassa delle lampade del locale. <<O-Oliver?>> sono così presa alla sprovvista che a malapena ci credo.

A malapena credo di avere il mio fratellino di fronte ai miei occhi. <<in persona, Ley-Ley>>

Si, è decisamente lui. E' l'unica persona al mondo a chiamami così.

Allarga le braccia, ed io mi ci fiondo in mezzo.

Lo stringo forte forte, per quanto sia possibile. Il suo metro e ottanta è una sconfitta in partenza, in confronto al mio scarso metro e settanta.

<<non ci credo>> mi stacco improvvisamente e lo guardo. <<quando sei arrivato? E soprattutto da quanto? Perchè non mi hai avvisato? Sarei passata a prenderti in aeroporto..>> continuo a blaterare afferrando le sue guance e stringendole forte, tanto da far diventare il suo bel viso anglo-coreano quello di un cucciolo impaurito.

<<ecco, non ti ho detto che sarei venuto appunto per evitare l'interrogatorio di terzo grado a cui nemmeno zia Betty mi avrebbe sottoposto>> ridacchia.

<<ahahahahah, simpatico>> rispondo acida e sarcastica. <<dai, lo sai che scherzo, mi sei mancata...noona>> mi da una spallata amichevole. <<pff>> sussurro, cercando di mostrarmi indifferente. <<mi sei mancato anche tu>> sibilo così piano che dubito l'abbia sentito, ma non appena mi allontano per preparare due caffè, lui urla <<guarda che l'ho sentito!>>

<<tieni>> gli porgo la tazza fumante di caffè. <<thank you>> risponde lui soffiandoci sopra.

<<allora? Da quanto sei qui?>> sono così curiosa che per poco non ricomincio con il terzo grado alla zia Betty.

<<da più di quanto tu possa credere>>

<<tipo?>>

<<due settimane>>

Sputo tutto il caffè con il quale mi ero riempita la bocca poco prima. <<COSA? DUE SETTIMANE?>> sbotto furiosa e stupefatta.

Due settimane che io e mio fratello viviamo nella stessa città e non ci siamo mai puramente incontrati...nemmeno per caso.

Ma come biasimarci, in fondo Seul è una megalopoli. Impossibile anche se lo avessimo pianificato.

<<perchè non me lo hai detto?>> riprendo di nuovo, perchè ho bisogno di capire.

<<insomma, sapevi che c'ero io qui. Sapevi che ti avrei benissimo ospitato, aiutato e dato tutto ciò di cui avevi bisogno>>

<<non te l'ho detto appunto per questo. Avevo nostalgia della Corea, dei bei ricordi che abbiamo qui. Della gente, e dei magnifici posti che offre>> fa una pausa, bevendo un sorso di caffè. <<ho deciso di trasferirmi qui perchè è l'unico posto dove potevo sentirmi a casa, ma al tempo stesso essere indipendente e libero>> adesso mi guarda dritto negli occhi. <<non fraintendermi, non mi sono mai sentito imprigionato a casa, ma nemmeno totalmente indipendente. Avere te qui e dirti tutto ciò che avrei voluto fare, sapevo che avrebbe implicato "l'interrogatorio". Avresti voluto ospitarmi, avermi vicino, preoccuparti per me e tenermi sotto controllo, anche se avresti fatto tutto ciò a fin di bene. E non potevo permetterlo>> beve un altro sorso di caffè.

The secret taste of love - Lee JunhoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora