-CAP 19

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Donne. Uomini. Sesso. Vodka. E ancora sesso. Tanto sesso. E nessun piacere. I miei orgasmi vanno avanti, si susseguono come mero atto meccanico. Ma il piacere implode piuttosto che esplodere. E' angosciante, soprattutto perché non riesco a restare lucido. Riesco solo a ricordare frammenti di quello che faccio, annebbiato dall'alcol. E a questi frammenti vanno a sommarsi altri frammenti, questa volta di ricordi. Ricordi di Louis, della sua bellissima pelle, della sua chioma lucente. Ma ancora di più del suo sorriso. Della sensazione sublime della mia pelle che vibra ad ogni suo tocco. Il solo pensiero di immergermi in un'altra persona, di sentire altre voci, altri gemiti, mi innervosisce, mi spinge ad essere brutale. Ma a loro piace. Pur di avermi farebbero di tutto. Questa sensazione, che fino a ieri mi avrebbe fatto sentire un dio, ora mi fa sentire un povero stronzo. Non voglio essere un dio. Voglio essere il suo dio. Suo. Solo di Louis.

Non so per quanto vado avanti. Di una cosa sono certo. Non ne lascio una. Nessuna. Sono tutti alla mia mercé. L'unica persona che non tocco con un dito è Coral. Ricordo vagamente di averla spedita in camera ad aspettarmi. Ricordo che Taylor me ne ha parlato in uno dei suoi odiosi intervalli in cui ha deciso di comportarsi da mamma chioccia acida ed è venuta a far uscire la puttana di turno che mi stavo scopando. Oddio, non posso dire puttana. Sono escort. Escort di classe, per i clienti migliori. Ho detto a Taylor di mandarla via. Di cacciarla da questo posto. E credo l'abbia fatto con moltissima soddisfazione. Ma alla fine scaccio via anche lei. Le sue carezze sono troppo lascive. E io non le voglio. Le sue carezze portano dolore. Male. Faranno morire qualcun'altro. Rido sguaiatamente quando esce furiosa dal mio studio. abbandonandomi alla bolgia che mi circonda e sperando di dimenticare tutta la mia vita. Dopo quest'ultimo evento non ricordo nulla. Assolutamente nulla.




Quando mi sveglio, nel mio letto, faccio fatica ad abituarmi alla luce del sole che penetra prepotente dalla vetrata della mia suite al Maniero. Mi sento stordito e intorpidito. Esattamente come mi sento ogni volta che mi abbandono all'alcool. Non ricordo assolutamente niente delle ultime....quante ore? Mi volto a guardare il comodino, alla ricerca del telefono. Allungo la mano per prenderlo. Sono le due del pomeriggio. Ed è sabato. Ci metto un po' per elaborare il fatto che ho iniziato a bere martedì. Non ho la minima idea di quello che è successo negli ultimi giorni. La testa mi fa un male cane, mi sembra di sentire dei colpo di cannone che mi vengono sparati direttamente nel cervello.

La porta si spalanca all'improvviso ed entra John. Quando mi vede sveglio inizia a ridere come un coglione e sul suo viso enorme si dipinge un ghigno che mi fa capire che pensa la stessa cosa di me. Un coglione. Una testa di cazzo. Ecco cosa sono. E forse ha ragione.

«Il principino ha aperto gli occhi» mi dice a voce troppo alta.

«Non urlare, cazzo!» strepito, accasciandomi tra le lenzuola.

Mi rendo conto solo ora che indosso solo i boxer. E che non ricordo di essere salito in camera.

«Non sto urlando, figlio di puttana. Sono i tuoi timpani ubriachi che ti giocano brutti scherzi» continua John.

Afferra il telefono e si volta verso la vetrata che affaccia in giardino.

«Pete, sono John. Porta di sopra qualcosa per Harry» dice, senza abbandonare il suo cipiglio divertito.

Sospiro, abbandonandomi completamente sul materasso. Solo in quel momento mi viene in mente Coral. Ho vaghi ricordi di lei, di quello che le ho detto di fare.

«Dov'è Coral?» chiedo con la voce arrochita dalla sete.

John si avvicina al minibar ed estrae una bottiglia d'acqua fresca. Riempie un grosso bicchiere e torna da me a porgermelo.

The Lord. [Larry Stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora