Hypocrisy

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Il cerchietto di cotone bagnato passava sulla sua pelle, dissolvendo quel trucco che dipingeva la sua pelle, mentre i suoi occhi erano vuoti e licidi come stelle che puntellavano il manto notturno.
Si osservò attraverso quella superficie trasparente, un po' sporca, che deformava la sua bellezza.
Lasciò cadere il braccio lungo il suo corpo e osservò il rossetto sbavato, mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo e gli bagnava la guancia, inumidendola di quel dolore che lo stava logorando dentro da ormai troppo tempo.
Si guardò, sentendosi disgustato di se stesso e solo al mondo. Si portò una mano davanti alla bocca, mentre si piegava in due e tentava di trattenere i singhiozzi; i capelli gli caddero davanti, come una cascata di fiamme.
Li prese e li tirò, facendosi del male e poi li lasciò, mentre quelle parole di disgusto riecheggiavano nella sua testa e pianse, pianse, fino a cadere da quello sgabello. Si sentiva un verme, un fuoco spento che nemmeno le ceneri potevano tenere acceso, distrutto da quella sua stessa natura a cui non riusciva a sopprimere, che faceva parte di lui.
Si sentiva mostro, si sentiva sbagliato; eppure non era un essere umano?
Lasciò che il suo dolore si riversasse sul mondo, bagnandolo con quelle provi trasparenti che presto sarebbero evaporate e che nessuno avrebbe mai potuto vedere, mentre le ferite sarebbero rimaste.
Perché? Perché tutti lo credevano sbagliato? Che cosa poteva farci se si sentiva più donna che uomo? Cosa c'era di errato in tutto questo?
Tentò di rialzarsi, barcollando e cadendo di nuovo, mentre tutto gli vorticava attorno e la nausea saliva.
Si aggrappò allo sgabello, si fece forza rialzandosi, strisciando, mentre si sentiva trascinare verso il fondo da quell'odio che aveva iniziato a provare per se stesso.
Si guardò intorno, disperato, mentre non riusciva più a comprendere chi fosse, cosa dovesse essere.
Era uomo o era donna? Era essere umano o mostro?
Era ormai solo un'ombra, un fantasma distrutto dall'ipocrisia di chi non capiva, di chi non avrebbe mai potuto aiutarlo a farlo sentire giusto in quel mondo che lo vedeva sbagliato, abominio.
Era una crisalide, destinata a non diventare mai farfalla.
Si guardò di nuovo allo specchio, si sentì disgustato di se stesso, mentre vedeva l'odio e l'orrore dei suoi genitori, di quell'uomo che aveva amato e che lo aveva lasciato non appena aveva scoperto che era uomo.
Percepì la rabbia accendersi nelle sue vene. Urlò, disperato, come la nera notte.
Si rialzò, buttò tutti i suoi trucchi e i profumi per terra, rompendoli, lasciando che tutta quella vita che mai avrebbe potuto avere, ma che desiderava andasse in pezzi.
Le gambe gli cedettero di nuovo, si ritrovò inginocchiato, mentre il corpo gli tremava.
Si sentiva all'interno di una gabbia troppo stretta, impossibilitato a respirare. Avrebbe desiderato solo la morte, ma non ne trovava il coraggio, anche se si sentiva sbagliato, corrotto, immondo, fango del mondo.
I suoi occhi si posarono poi su quella forbice che era rimasta in bilico, che brillava argentea al chiarore della luna che la investiva, entrando dalla finestra.
L'afferrò e sentì quel glaciale rumore metallico, mentre i suoi fili rossi come il fuoco cadevano come piume a terra.
La principessa era ormai morta; a essere rimasto era solo quel principe fantasma che moriva dentro, incapace di camminare come avrebbe voluto davvero.

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