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Quello che nostra nonna non ci raccontava, però, era la storia della matta del villaggio.

Scoprimmo la sua storia tramite altri ragazzi; in famiglia sembravano parlarne molto, da noi non si accennava spesso. Eppure era stata amica della mamma.

Suppongo sia stato per rispetto.

Guardandola da lontano a me non era mai sembrata malata. Solo una persona triste e sola.

Ma non tutti la vedevamo così.

Qualcuno pensava a lei come una sconfitta.

Nannarella

Enea bussò alla porta dell'unica casa lontana dal resto del paese.

Aspettò quella che sembrò essere un'eternità, poi essa si aprì. Ad affacciarsi fu una signora anziana dalla pelle segnata da ragnatele di rughe; gli occhi socchiusi che cercavano di metterlo a fuoco e la postura ingobbita. «Sì?» chiese con un filo di voce. Si passò la lingua sul labbro inferiore, poi sgranò lo sguardo nel riconoscere colui che aveva battuto prima ancora che avesse potuto rispondere. «Non ho tempo da perdere con le storie» asserì, mentre richiudeva la porta.

Enea corrugò la fronte nell'ascoltare quella frase, ma mise una mano in avanti prima che potesse sbatterlo fuori dall'uscio. «Signora Gianna, le giuro che non la disturberò a lungo.»

L'altra si fermò. «Non ricordo l'ultima volta che mi hanno chiamata così...» Lo osservò. «Dai piccolo Enea, entra. Come stanno i tuoi genitori?»

Ebbe un tuffo al cuore. «Bene, suppongo...»

«La sparizione del piccolo Nevio deve averli addolorati molto...» Si lasciò guidare all'interno da una casa che odorava di muffa, con un mobilio vecchio; gli sembrò di entrare nella casa di sua nonna. Antica e dimenticata dal tempo. «Era un bambino così bello, e allegro. Un vero principino. Ma purtroppo sono le sue prede preferite.»

Enea accettò con garbo l'invito a sedersi sul divano, colpito da quell'ultima affermazione.

Dietro il bancone che divideva l'ambiente dalla cucina, con mani tremanti, la donna prese un paio di tazzine e controllò la temperatura dell'acqua nella teiera sulla stufa accesa. «Ti preparo un thè, caro. Fuori fa freddo e un ragazzino come te non può rischiare di ammalarsi.»

Nell'accorgersi di quelle premure, gli venne da sorridere, sebbene non fosse un bambino da un paio di decenni già. «Vi riferite all'Orsante?» chiese poi, riportando la conversazione verso l'argomento che l'aveva spinto fino a lì.

L'anziana si fermò di botto. La vide sospirare. «Anche tu credi che io sia pazza?»

«No. Comincio a credere che siamo noi gli stolti a non avervi mai creduto.»

Gianna si girò verso di lui, con sguardo spento. «Sei un giovane molto sveglio, Enea. Ma come potevate farlo?» La voce le si incrinò. «Non avete mai visto quello a cui ho assistito.»

Enea mandò giù il groppo che gli si era formato in gola. «Dovete aiutarmi, Gianna. Devo salvarlo.»

«È tardi» fu la sua sentenza. Mise gli infusi nelle tazze, poi vi versò l'acqua calda. Quando fece per prendere con il vassoio, in modo da portarle fino a lui, il ragazzo si alzò e prese il suo posto.

Lo ringraziò, anche se per lei non era necessario: era solo un ragazzino, non era suo compito essere così affabile. «Non sono ancora vecchia decrepita.»

A ogni frase, il suo cuore si stringeva sempre più. «Se anche per lui fosse tardi, aiutatemi comunque a fermarla.»

«Continuo a dire a tutti i bambini che passano di qui di fare attenzione. Di più non possiamo fare.»

«Ci dev'essere un modo!»

L'anziana bevve un sorso dalla tazza tra le sue mani. «Mia madre mi raccomandava spesso: "Nannarella, non andare per i boschi. L'Orsante è sempre in agguato". Ma io non le davo mai peso, per questo forse mi ha abbandonata qui un paio di mesi fa.»

Enea mandò giù del thè, poi poggiò la tazzina sul tavolino di fronte. «Perché avrebbe dovuto abbandonarvi?» chiese, sebbene sapesse con certezza che i suoi genitori erano morti quando lui era piccolo.

Gianna era stata compagna di sua madre, a scuola, prima che accadesse l'incidente. La conoscevano tutti la storia: Gianna, per tutti Nannarella, un giorno era tornata urlando dal bosco e aveva affermato che l'Orsante aveva provato a catturarla. Da allora non era stata più la stessa.

«Perché cedette alle storie della mia pazzia.»

«Cosa successe quel giorno?»

La donna fece un lungo sospiro. «Il ricordo di quel pomeriggio, sebbene siano passati mesi, infesta ancora la mia mente.» Poggiò anche lei la tazzina sul tavolo, poi spostò lo sguardo su un punto indefinito. «Quel giorno nessuno voleva venire a giocare con me, così andai da sola nel bosco. Seguì il cinguettio degli uccelli, cercando di vederne uno, finché un improvviso silenzio non mi investì.» Si fermò, riprendendo fiato. «Danzava silenziosa tra gli alberi e io non me ne accorsi. Poi, una mano si sbucò di fronte, palesando la sua presenza. Mi porgeva una mela.» Un altro sospiro. «Ma non l'accettai.»

Enea rimase stregato da quel racconto. «Perciò lei l'ha vista.»

«So solo che aveva una maschera e capelli lucenti che ricordavano l'oro.»

Quindi, la sua identità continuava a rimanere un mistero. Non riusciva a capire se poteva fidarsi o meno delle sue parole: lo vedeva con i suoi occhi che la memoria della donna faceva brutti scherzi, e quindi anche i suoi ricordi potevano essere alterati. Ma rammentava i loro nomi; cosa impediva alla sua mente di ricordare alla perfezione gli eventi che più l'avevano traumatizzata?

Evitò di chiederle se sapesse dove dimorava. Lo sapeva già: come per l'identità, non avrebbe saputo dargli una risposta precisa.

Si alzò. «Come promesso, non le ho rubato molto tempo.»

«Te ne vai, di già?» chiese la donna, con fare sconsolato nel vederlo avanzare.

«Tornerò a farle visita volentieri, se me lo consente.» Le sorrise, poggiandole una mano sulla spalla. Non aveva avuto mai modo di parlare con lei, tantomeno di conoscerla davvero, e adesso, più di prima, si chiese perché mai l'avessero sempre tenuta ai margini del villaggio. Chiamata pazza, strega, o peggio, più nessuno l'aveva aiutata o le aveva fatto compagnia.

«Puoi giocare nel mio cortile quando vuoi, Enea.» Gli sorrise; il primo sorriso che vide sul suo volto da quando aveva varcato la soglia di casa. Ma non c'era vivacità in quel gesto.

Se ne andò con una strana sensazione addosso, ma adesso aveva una missione da portare a termine, prima di potersene andare verso quella che adesso chiamava casa, dalla sua nuova famiglia.

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