Un amore proibito

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Erano due poli opposti, due universi paralleli, due stelle solitarie; eppure c’era qualcosa che li legava e non li permetteva di separarsi.
Era il loro passato, una donna crudele che mai avrebbe voluto vederli insieme, ad averli uniti per l’eternità. Era colpa sua se erano rotti, soli e incompresi. Era colpa sua se non erano mai stati normali e mai avrebbero potuto esserlo. Erano colpa sua gli incubi, le cicatrici e i demoni che li tormentavano.
I due ragazzi si guardarono negli occhi, ansimanti, e videro le proprie anime riflesse l’una nell’altra.
Era notte ed era buio, ma la luce in quel momento sarebbe stata di troppo.
Mille emozioni attraversavano i loro occhi ed era impossibile riconoscerne anche solo una.
Il ragazzo sapeva di essere egoista tenendola legata a sè. Avrebbe almeno dovuto provare ad allontanarla per il suo bene, ma non ci riusciva. Sapeva di non essere la scelta migliore, che le serviva qualcuno che attenuasse i suoi mostri, non che gliene desse altri. Sapeva che al sorgere del sole avrebbero dovuto far finta di nulla e rimanere distanti; perché il loro era un amore sporco e rosso di sangue. Era un amore sbagliato. Però gli sarebbe piaciuto poter prendere a pugni quei coglioni che le davano della troia e della puttana. Avrebbe evitato volentieri di dire che era un istinto di protezione fraterna; non poteva esserci definizione più sbagliata e falsa. La sua era una gelosia viscelare; di quelle che gonfiano le vene e fanno pulsare la tempia. Quella ragazza era Sua, Sua e solamente Sua. Quei coglioni non dovevano neanche nominarla. E lo sapeva bene di essere uno stronzo, egoista e tutto il resto. Ma ormai era troppo tardi. Le aveva permesso di vedere ogni sua più piccola sfaccettatura, di leggergli dentro con quei suoi occhi argentati, color cielo che piange. E lei non l’avrebbe lasciato mai più.
La ragazza lo fissava e pensava a quanto lo amava. A quanto amava stare seduta ad ascoltare i suoi demoni parlare. A quanto amava quegli occhi così scuri da bucare l’anima. Anche se tutti lo credevano, non erano neri; a guardarli bene, ammirandoli a lungo, erano il colore del mare in tempesta, dell’abisso. Erano di un blu così intenso, ma così intenso, da far paura a tutti, tranne che a lei. Avrebbe voluto raccontargli del bene che lui le faceva. Di come quando i loro demoni si tenevano per mano il passato facesse meno paura. Quando i loro cuori battevano all’unisono e i loro corpi si fondevano. Quando si sfioravano e divoravano con lo sguardo. In tutti questi momenti, e molti altri, lei si rendeva conto che non le importava se era tutto sbagliato, se quel ragazzo sarebbe stato in grado di disintegrarla in mille pezzi con uno sguardo. Più il tempo passava, più sentiva il bisogno di averlo vicino. Il suo cuore non smetteva di amarlo.
Lei odiava la luce perché li teneva lontani e non c’era niente di peggio di averlo affianco e dover far finta di nulla.
Neppure il suo era un amore puro e gentile, anzi tutto il contrario. Era un amore che ti strappava con violenza la pelle di dosso, che ti faceva soffrire in una lenta e dolce straziante agonia. Era un amore dannato.
Ma in fondo da due anime rotte come le loro non poteva che nascere qualcosa di struggente, rabbioso, stridente e maledetto. Nulla di puro e gentile poteva nascere da due cuori come i loro; due cuori sporchi e segnati a vita.
Se si fossero mostrati, se qualcuno avesse visto da fuori il loro rapporto, avrebbe pensato a un amore tossico, a un qualcosa di puramente fisico, ma come potevano capire gli altri…
La verità è che avevano paura della luce perché li faceva sentire esposti, vulnerabili e temevano che le persone che finalmente li stavano portando via da quell’orribile passato li allontanassero. La luce disintegrava tutte le loro certezze, tranne una, la più pericolosa: erano rotti insieme e non riuscivano a starsi lontani.
In quel silenzio, che urlava più di qualsiasi rumore, il ragazzo si girò piano verso il comodino, aprì un cassetto e ne fissò l’interno. Si disse che doveva farlo, doveva smettere di rimandare. Prese un oggetto, si girò verso la ragazza e, stringendo quel pezzo freddo, nascose la mano, tremante, dietro la schiena.
La ragazza lo fissava genuinamente curiosa come una bambina e lui le coprì gli occhi. Lei non fiatò e non sbirciò; era un momento importante e le parole l’avrebbero rovinato.
Il ragazzo fece scorrere il misterioso oggetto fra le dita e lo rimirò lentamente: era una catenina argentata da cui pendeva una farfalla di cristallo, che sembrava racchiudere un pezzo di cielo. Gliela mise al collo, sfiorandole piano la pelle e beandosi di ogni secondo di quel contatto. La ragazza sorrideva con gli occhi chiusi. Sapeva, intuiva che le stesse mettendo una collana e che si stesse prendendo i suoi tempi, non sarebbe stata certo lei a mettergli fretta.
Un respiro roco le soffio sulle labbra:” Guarda.” Lei aprì gli occhi e si ritrovo quelle iridi scure così vicine a suo viso e dentro ci lesse una muta preghiera:” Guarda, ti prego, dimmi che non sto rovinando tutto.” Il ragazzo si spostò con fatica, di lei non ne aveva mai abbastanza… No, si impose, lei doveva vedere e capire. La ragazza si concretò sul ciondolo adagiato nell’incavo dei suoi seni.
I loro occhi si incontrarono e il ragazzo vide che, ancora una volta, lei aveva capito tuto; proprio come quando erano piccoli. Quella volta però voleva dirle tutto, non coi silenzi, ma con le parole perché sapeva che moriva dalla voglia di sentirle, anche se non glielo avrebbe mai chiesto. Ancor di più era lui che sentiva la necessità di dirlo ad alta voce, per renderlo veramente reale. Piano, pensando bene a cosa dire, parlò:” È piccola, ma grande. Fragile, ma indistruttibile. Umile, ma regale. Magnifica nella sua semplicità, nelle sue imperfezioni. Nonostante tutto continua a lottare, battagliera fino alla fine. Proprio come te.”
Per tutta la durata del discorso i suoi occhi avevano viaggiato dagli occhi della ragazza al ciondolo. Proprio mentre lo stava osservando, sentì una mano stringere la sua e alzò lo sguardo stupito. Glielo aveva detto, non riusciva a crederci. Lei gli sorrise e il mondo si fermò. Non era un sorriso normale. Era uno di quei sorrisi più unici che rari, che le aveva visto solo 2 o 3 volte e li aveva sempre rivolti solo a lui, a lui e a nessun’altro.
Un sussurro spezzò il silenzio:” Come noi. È come noi. Non come me o come te perché ormai siamo un’unica cosa, quindi come noi.”
Il ragazzo sorrise e fu strano, lui non sorrideva mai, solo ghigni. Quello, invece, fu un sorriso spontaneo, un sorriso vero.
La ragazza avvicinò piano le loro fronti fino a farle toccare e a far sfiorare i loro nasi. Mentre i loro respiri si fondevano si fecero una promessa: non si sarebbero più nascosti dalla luce.
Decisero di fregarsene della gente, della legge che voleva renderli fratelli perché per loro due non poteva esistere niente di più sbagliato. Decisero di fregarsene di tutto e tutti. Niente cose ufficiali, decisero semplicemente di smettere di nascondersi.
A andava bene così, doveva essere così, perché loro erano come:
Vita e Morte
Brutalità e Dolcezza
Gioia e Dolore
Caldo e Freddo
Bianco e Nero
Inizio e Fine
Guerra e Pace
Inferno e Paradiso
Due opposti che non potevano esistere senza l’altro.
Lei era un demone, la più potente di tutti, la peggiore; una regima che reclamava il suo trono, ma non aveva le chiavi della sua reggia.
Lui era la chiave; a lungo non si era fatto trovare da nessuno perché solo lei era degna di entrare.
Erano due anime rotte, sporche, sbagliate; unite da un qualcosa di anche peggiore di loro che non li avrebbe fatti separare mai. Quando erano insieme le loro cicatrici, i loro spigoli, si incastravano perfettamente e i loro demoni trovavano conforto nell’altro.
Dannatamente perfetti in modo sbagliato, imperfetti in quello giusto.
Ecco cos’erano: erano loro, semplicemente loro.

Un amore proibito ~one shot fdl~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora