Libro primo

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PARTE PRIMA

1


Jacksonville, Florida
25 maggio 2020, h 06,30 pm

Il negro entrò nella tabaccheria con cappuccio abbassato e la mascherina sul volto. Il negro aveva una felpa a maniche lunghe e i pantaloni della tuta larghi. Il negro teneva una mano in tasca.
Sembrava indifferente ai quasi trenta gradi.
Lo guardarono entrare.
Lasciarono dieci secondi.
Si avvicinarono.
La vetrina offriva una visuale perfetta.
Il cinese tremava. Sbagliò la sequenza per aprire il registratore di cassa.
Il negro lo colpì con un pugno. Scavalcò il bancone. Prese il cinese per il collo. Gli urlò qualcosa. Ottenne una risposta. Digitò la sequenza. Il registratore di cassa si aprì.
Lasciò cadere a terra il cinese e ammucchiò il denaro. Gli diede un calcio sullo stomaco. Il cinese sputò grumi verdi misti a sangue.
Il negro si voltò e uscì di corsa.
L'agente Daniel Dunhill calcolò il momento. Diede una gomitata al negro appena mise il naso fuori dalla porta. Si udì il naso che si rompeva. Il sangue uscì copioso. Il naso era andato. Il negro respirava dalla bocca. Era caduto a terra supino. Tre agenti gli furono sopra. Uno gli scalciò la mano, la pistola del rapinatore fini sotto un furgone parcheggiato lì davanti.
Daniel Dunhill pesava più di cento chili. Passava più tempo in palestra che in casa. Venti metri quadrati in un condominio sul fiume, dalla parte sbagliata della città. Aveva passato le selezioni col minimo nelle prove teoriche. Nel corpo a corpo era un Dio.
Il negro sputava sangue dagli occhi, mentre l'agente Dunhill lo teneva immobile col suo peso. Sotto i pantaloni elasticizzati della divisa sentiva il cuore del negro battere sullo sterno.
Arrivarono due pattuglie.
Gli agenti scesero e circondarono la zona.
Gli altoparlanti invitavano i curiosi ad allontanarsi. Per chi esitava esibirono gli sfollagente.
Il cinese uscì dal negozio sventolando un asciugamano rosso di sangue.
Sputava insulti in mandarino e bestemmie in inglese.
"Figlio di puttana d'un negro, ridammi i miei soldi, pezzo di merda lurida", gridava mentre un agente lo teneva a distanza.
Dieci persone almeno riprendevano la scena col cellulare. Se a Dallas ci fossero stati i cellulari, la Commissione Warren avrebbe chiuso in una settimana.
Arrivò l'ambulanza.
I paramedici scesero di corsa, rallentarono quando videro il negro. Si informarono con uno dei capipattuglia.
"Ha rapinato quel cinese con una pistola. Ehi Danny, dov'è la pistola?"
Dunhill guardò il sergente. Allargò le braccia. So un cazzo dov'è finita.
Il negro non scalciava più. Una pozza verde e rossa si era formata a lato. Sulla bocca c'era schiuma gialla.
Il paramedico si avvicinò. Prese il polso del negro. Guardò Danhill.
"E' andato", disse.
Lo caricarono sulla barella e lo misero nell'ambulanza.
Partirono a sirene spiegate.
Dunhill si avvicinò al cinese.
"I miei soldi?" gli chiese in inglese e in mandarino.
"In Centrale", rispose Danny e gli diede il foglio con l'indirizzo.
Applausi si alzarono dalla folla.
Il furgone partì, lasciando scoperta la pistola.
Il sergente la prese infilando una penna nella canna.
La guardò e la portò a Danny.
Danny vide il volto di Topolino stampato sul calcio.

I social trasmettevano da due ore il video dell'intervento. Si vedeva Danny seduto sul negro. Si vedeva il sangue e il vomito. Si vedeva che il personale medico se la prendeva comoda. Non si vedeva: il negro che entrava nella tabaccheria; il negro che puntava una pistola; il negro che colpiva il cinese e svuotava il registratore di cassa.
Danny era stato riportato alla stazione del JBPD dai colleghi. Era stato strappato agli applausi dei bianchi. Era nell'ufficio del sergente.
Dalla finestra vedeva un cordone di auto con i lampeggianti accesi circondare la stazione e tenere a distanza un centinaio di persone. I suoi colleghi facevano fatica a trattenerle. I vetri spessi impedivano di sentire cosa gridavano.
Il capo Gene Paul N. Smith entrò. Fece segno a Danny di rimanere comodo e si sedette al su fianco.
"Mi dispiace, Signore", cominciò Danny.
"Non dire niente, Danny. Parla con un avvocato e risparmia le parole per gli affari interni. Da questo momento sei sospeso. Consegna pistola e distintivo".
Un sasso colpì la finestra, facendo un rumore sordo.
La calca all'esterno era aumentata. Erano arrivati i giornalisti, con telecamere e furgoni per trasmissioni in diretta.
Volarono altri sassi. Il bersaglio erano prima le auto delle pattuglie, poi gli agenti, costretti a ritirarsi.
I fumogeni non disperdevano. Una bottiglia molotov incendiò un'auto. Gli agenti si organizzarono e caricarono verso i più facinorosi. I manganelli cominciarono a spezzare braccia. La folla retrocedeva. Arrivarono rinforzi. La folla si disperse. Mentre ripiegava sfogava la rabbia contro le auto parcheggiate e spaccando le vetrine dei negozi. Entravano e prendevano quello che volevano, e ciò che non prendevano lo rompevano. Si sviluppò qualche rissa.
I vigili del fuoco scaricavano gli idranti contro i gruppi più animosi, scaraventando a terra chi si trovava sul getto.
La gente correva, le macchine andavano a marcia indietro per allontanarsi dalla zona. Cominciarono a sentirsi gli spari. Colpi di avvertimento in aria.
Gli altoparlanti invitavano alla calma. Molti non conoscevano la ragione degli scontri. Molti ne approfittarono.
Le ambulanze provavano a farsi largo nella calca per recuperare i feriti.
Danny si affacciò alla finestra ammaccata. Vide un'auto blindata girare sul retro. Immaginò che erano venuti ad arrestarlo.
Sganciò la fondina e la mise sul tavolo del sergente con il distintivo. Il capo Smith li prese in consegna e uscì. Danny si prese la testa tra le mani.
Aveva venticinque anni. Da cinque era in servizio. I genitori erano morti l'anno prima in un incidente stradale. Tre balordi ubriachi alle tre di pomeriggio li avevano investiti mentre attraversavano la strada. I testimoni avevano fornito il numero di targa. La macchina risultò rubata. I tre non furono mai individuati.
La porta si aprì. Entrarono due uomini in abito scuro.
"Agente Daniel Dunhill?", chiese quello più alto.
"Sì, Signore. Siete della procura distrettuale?", domandò.
"Ci segua", tagliò corto l'altro.
Gli fecero segno di precederli verso l'uscita nel retro.
La porta blindata si aprì sul cortile interno. Sembrava un'oasi di silenzio circondata dalle eco degli scontri.
L'autista aprì le portiere. I tre entrarono nel sedile posteriore, Danny era in mezzo.
Mise una mano sul ginocchio per impedirsi di tremare. Provò a dire qualcosa ma non uscì niente.

Vedeva la città sfilare lungo i finestrini. Avevano preso la 90/W. Beaver St., che tagliava la città verso occidente, superarono lo svincolo di Hart Haven e poi Baldwin. La strada proseguiva tra i campi, verso Macclenny e Glen St. Mary. Girarono verso sud, e raggiunsero quello che sembrava uno stabilimento industriale. Attraversarono un cancello piantonato da personale armato. Poi la macchina entrò in una specie di hangar. In tutto quasi un'ora di strada.
Lo fecero scendere e lo accompagnarono verso l'ala est dell'edificio. Un lungo corridoio procedeva per decine di metri. Sul lato destro si affacciavano porte blindate. Danny pensò che non sembrava un carcere, né un altro luogo di detenzione.
Ragionò.
Non lo avevano ammanettato. Non lo avevano dichiarato in arresto. Non gli avevano letto i Miranda. Avevano approfittato del suo stato di shock. Avevano contato sulla sua collaborazione. Sapevano che non avrebbe fatto storie pur di allontanarsi dall'occhio del ciclone. Sentiva il cellulare nella tasca interna della giacca.
Quello che lo precedeva si fermò. Aprì la porta con una tessera magnetica. Il secondo gli prese la giacca e gli fece cenno di togliersi le scarpe e la cinta dei pantaloni. Resto in calzoni aderenti e camicia a maniche corte. Lo fecero entrare. La stanza era vuota, tranne che per un letto singolo, una sedia, un tavolo e un monitor. Dalla porta sulla parete opposta si poteva vedere quello che era il bagno. Non peggio di tanti residence o alberghi di provincia.
Aveva accumulato un po' di sicurezza.
"Quando servono il pranzo?".
I due non risposero.
"Non potete tenermi qui", insistette.
I due uscirono e chiusero la porta, priva di maniglia o altro. Totalmente elettronica. Senti il rumore delle serrature che si chiudevano. La stanza era illuminata da una luce al neon che si accese non appena si chiuse la porta. Non c'erano finestre.

Perse il senso del tempo. Passarono tre giorni. Lui ne aveva stimati quattro. I pasti erano irregolari. Non volevano che si orientasse.
Il monitor si accese. Il monitor era guidato dall'esterno.
Apparve un telegiornale della CNN.
Il suo nome nel sottopancia. Agente di polizia di Jacksonville espulso dal JVPD. Sarà incriminato per omicidio. I repubblicani chiedono un processo equo. I democratici chiedono la pena di morte.
Corse al bagno. Vomitò. Tornò.
Aveva schizzi di vomito sulla camicia. Non si cambiava da tre giorni. Lui riteneva quattro.
Altra notizia.
Scontri in molte città americane. Los Angeles, Seattle, Portland. Black lives matter. Dichiarazioni di sportivi. Di scrittori. Stephen King su twitter aveva dato la colpa Trump. Don Winslow su twitter aveva dato la colpa all'amministrazione Trump. Jonathan Franzen l'aveva scritto nel suo diario.
Immagini di scontri. Negri che urlavano. Negri che issavano bandiere. Negri che uscivano dai negozi dati alle fiamme con i televisori a schermo piatto in mano.
Il sindaco di New York cancella i fondi alla Polizia cittadina. A Park Avenue i wasp incaricano vigilantes privati. Detti vigilantes sono negri o messicani.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 04 ⏰

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