«A Simò, ancora là seduto stai?» gli domandò, osservandolo seduto a gambe larghe sull'unica sedia che c'era in quella stanza d'albergo in cui erano stati obbligati a fermarsi dopo che un improvviso temporale aveva interrotto la corsa in moto che avrebbe dovuto riportarli a casa dalla villa in campagna nella quale si era tenuto il ricevimento dell'azienda di suo padre.«E non ho intenzione di muovermi, se per questo» gli rispedì indietro a sua volta il corvino, leccandosi rapidamente le labbra quando lo vide affacciarsi senza giacca e a braccia aperte agli stipiti della porta, la cravatta scura che dondolava sfrontatamente proprio in un punto specifico.
«Ah no?» chiese ancora, un sorriso allusivo che si dipingeva su tutto il viso nel mentre che dava voce al pensiero «Non te vuoi proprio alzà da lì?».
«Assolutamente».
«Assolutamente?» gli fece il verso come quel giorno di tanti mesi prima «Ma come parli ao?».
«Vuoi continuà a parlare o vieni qua?» lo sfidò il corvino, prendendo a fissarlo intensamente.
«Non mi tentare Simò» lo mise in guardia «Se vengo in là poi da quella sedia non ti alzi più per davvero».
«Addirittura... E sentiamo, come pensi di fare eh?» lo sfidò ancora, tentando di pungerlo sul vivo «Sono più forte di te. So rugbista, io».
«Che paura» mormorò avvicinandosi il maggiore, mettendo mano al nodo della cravatta per allentarlo piano piano.
«Chiudi sti trampoli che c'hai pe' gambe» gli intimò quando lo raggiunse, venendo obbedito nell'esatto momento in cui l'ultima parola lasciava la sua bocca.
A quel punto gli si sedette a cavalcioni sopra, scivolando volutamente piano sulle cosce fasciate ad arte dal pantalone di raso fino a che non vi fu più distanza alcuna fra il suo bacino e il prepotente desiderio che già si percepiva fra le gambe dell'altro.
«Giù le mani!» sibilò quando Simone gli pose le mani sui fianchi, le lunghe dita già a sfiorargli la pelle fra le asole e i bottoni, appena prima di avvicinare la bocca a quella del corvino e slegare definitivamente la cravatta dal collo.
Lo coinvolse in un bacio appassionato, stringendosi a lui fino a togliergli il fiato e mordendogli le labbra quando non ne potè più, lasciandolo disorientato e in affanno quando si separarono.
«Va bene, ora possiamo andare a letto» ebbe la forza di dire mentre le mani callose del maggiore gli si stringevano attorno ai polsi «Se mi lasci andare ti ci porto in braccio».
«Andare?» gli ridacchiò in faccia l'altro, il più perverso dei sorrisi dipinto sul viso «È troppo tardi per andare. Tu non andrai da nessuna parte».
«Tardi?» domandò confuso «Che intendi... Non capisco».
«Ti avevo detto che se fossi venuto qui non ti saresti alzato dalla sedia» sorrise con un'espressione che pareva promettere le cose più indicibili, sollevandogli le mani oltre la testa per poi farle ricadere sul retro della sedia, lasciandogli giusto la libertà di sistemarle in una posizione più comoda «Adesso capirai che sono una persona di parola».