Livia percorreva i suoi stessi passi da oramai dieci minuti.
Era nel panico più assoluto. Quelle parole pronunciate qualche ora prima le bombardavano la testa di domande.
E se lo avessero scoperto?
E se glielo dicessero?
E se non l'avessero capita?
Ed ogni interrogativo riconduceva sempre allo stesso dilemma
Cosa faccio?
In quel momento avrebbe giurato di odiare tutti, lei per prima, per essere stata stupida e non aver prestato attenzione a quel dettaglio, un piccolo dettaglio che però poteva distruggerla, anche con la sola forza di essere ricordato.
Una lametta.
Ne aveva viste tante nell'ultimo anno e mezzo, alcune più grandi altre più piccole, aveva sempre fatto attenzione anche al più minimo particolare per non farle vedere dai suoi professori, neanche a chi sapeva che ne faceva utilizzo.Ma era bastato un attimo, un piccolo attimo per farle crollare l'intero castello di lenzuola. Un castello di bugie collezionate una sopra l'altra posizionate con tale precisione da non fare venire il minimo dubbio.
Si fermò di colpo al centro della stanza, ai piedi del letto, e per la prima volta dall'inizio di quella giornata pianse.
Le lacrime le rigavano le guance senza nemmeno far sbattere le palpebre.
Aprì la bocca come per tirare fuori l'urlo più forte della sua vita, ma uscì solo un piccolo verso acuto.
Si sedette a terra, portò le ginocchia al petto e si rannicchiò a terra, come per proteggersi da una paura che non poteva affrontare. Non riusciva a respirare, i singhiozzi erano diventati troppi, non gli davano pace.
Sperava con tutte le sue forze ancora rimaste che qualcuno, chiunque, entrasse in stanza con uno xanax. Che glielo desse e che facesse effetto.
Trovò il coraggio di alzarsi e stendersi sul materasso del letto.
Iniziò di nuovo a respirare affannosamente, riprendendo a poco a poco tutta l'aria che le mancava.
Spalancò gli occhi. Di nuovo quel pensiero.
Lo avrebbero scoperto, lo avrebbe affrontato.
Non poteva, non voleva e non ci riusciva.Con lentezza si mise seduta e guardò la direzione dell porta di camera sua.
Io oggi devo morire
Fu un pensiero rapido, diretto, un ordine.
Si alzò dal letto come se avesse ripreso tutte le forze in un unico momento. Uscì dalla stanza per andare in bagno.
Le lacrime ricominciarono a scendere e rendere più tristi di quanto già non fossero i suoi occhi verdi.
Arrivata in bagno aprì il cassetto pieno di medicine.
Iniziò a rigirare tra le mani diverse scatoline di farmaci. Ne prese una e con l'altra mano afferrò una lametta, non perché non si fidasse delle pillole, confidava tutto in quello, ma iniziò a tagliarsi per trovare un po' di piacere.
I tagli erano profondi, più di quello che si aspettava. Il sangue scorreva rapido ma non si curò di ripulirsi. Godeva a quella vista.
Indietreggiò e nel farlo calpì la sua scatola con i trucchi dentro, ma non se ne curò.
Prese le pillole.
Una, due, tre, quattro, cinque...
In quel momento si bloccò come se si fosse appena risvegliata.