27. Sofia

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Le lacrime scivolavano inarrestabili lungo il mio viso. Non riuscivo a fermarle. Perché piangevo per lui? Non aveva senso. Non aveva mai avuto senso.
Mi appoggiai al muro, cercando di calmare i singhiozzi che non mi permettevano di respirare.. Perché mi importava così tanto? Non eravamo niente. Lui non mi doveva spiegazioni, e io non avevo motivo di stare così male. Ma quando l'avevo visto sul ring, sotto i pugni di quel tipo, la paura mi aveva paralizzata. Una parte di me aveva temuto il peggio.
«Sofia...» La voce di Amanda mi fece alzare lo sguardo. I suoi occhi azzurri erano pieni di comprensione.
«Provi qualcosa per  Gabriel?» mi chiese con delicatezza. Quella domanda mi colpì come un fulmine. «Non lo so, Amanda.» risposi, la voce rotta dal pianto. «Ma quando l'ho visto lì, mentre veniva colpito... ho avuto paura. Paura che gli potesse succedere qualcosa.» Amanda non disse nulla. Mi tirò semplicemente in un abbraccio, stringendomi forte, cercando di consolarmi. Mi staccai lentamente da Amanda, asciugandomi le lacrime in fretta quando sentii la sua voce.
«Non devi avere paura per me.» Mi girai di scatto e lo vidi, Gabriel, a pochi passi da me. Lo sguardo serio, quasi preoccupato. Non volevo che mi vedesse in quello stato, così vulnerabile. Ma lui si avvicinò, senza esitazioni, fino a rompere la distanza tra noi. Prima che potessi dire qualcosa, mi strinse forte, come se volesse rassicurarmi con la sola forza del suo abbraccio.
«Non ti mentirò più, te lo prometto. Non mi piace vederti così.» Le sue parole, sussurrate contro i miei capelli, mi sciolsero qualcosa dentro. Istintivamente, senza pensare, presi il suo viso tra le mani e unii le nostre labbra in un bacio. Avevo bisogno di sentirlo vicino, di sapere che stava bene. Gabriel mi strinse ancora di più, le sue mani scivolarono sui miei fianchi, trattenendomi come se temesse che potessi scappare. Quando ci staccammo per un attimo, cercai di riprendere fiato. «Ti prenderei a schiaffi per tutto quello che mi hai fatto passare.» dissi colpendolo leggermente al petto. Un sorriso esasperato si formò sulle sue labbra. «Baciami e stai zitta.»
Lo guardai, sfidandolo. «Zittiscimi allora.» E non esitò. Le sue labbra tornarono sulle mie con più decisione, più desiderio. Sentii la punta della sua lingua chiedere accesso, e socchiusi le labbra senza opporre resistenza. Lo desideravo come non avevo mai desiderato nessuno prima. Ma all'improvviso, come una doccia fredda, il pensiero di Alex mi travolse. Mi staccai da Gabriel, il cuore che batteva all'impazzata.
«N-non possiamo.» balbettai, cercando di ritrovare un po' di lucidità. Lo sguardo di Gabriel si fece più scuro. «Per Alex, vero?» Non risposi, ma il silenzio fu abbastanza.
«Bene.» disse freddamente, allontanandosi di qualche passo. «Anche io mi sono stancato di questo giochetto.» La sua freddezza mi fece male, ma non potevo biasimarlo. Mi sentivo in colpa, un casino vivente. «Andiamo, ti accompagno a casa.» disse Amanda guidandomi verso la sua auto, avvolgendo un braccio sulle mie spalle.
Quando arrivammo sotto casa, salutai Amanda con un mezzo sorriso, ringraziandola , e scesi dall'auto. Entrai in casa senza fare rumore, ma il mio cuore ebbe un sobbalzo quando vidi Marlene appoggiata allo stipite della porta della cucina, con le braccia incrociate e un'espressione furiosa.
«Mi spieghi cosa ci fai in giro a quest'ora?» Iniziai a balbettare, cercando di inventare una scusa plausibile. «I-io... sono uscita con Alex. Abbiamo litigato e Amanda mi è venuta a prendere.» Marlene scosse la testa, tornando in cucina per posare la sua tazza di tè. «Sei in punizione.» disse senza esitazione.
«Cosa? Perché? Sono solo le undici!» protestai.
«Non si avvisa più quando si esce? E se ti fosse successo qualcosa?» Mi avvicinai a lei, sentendomi terribilmente in colpa. Le avvolsi le spalle con un abbraccio da dietro. «Non mi succederà mai niente, te lo prometto.»
Le diedi un bacio sulla guancia, ma la sua voce si incrinò. «Non voglio perdere anche te.»Quelle parole mi colpirono al cuore. La strinsi più forte. «Non accadrà mai.»
Quando finalmente mi lasciai andare e mi diressi verso le scale, mi voltai per aggiungere: «Accetto la punizione. Hai ragione, avrei dovuto avvisarti.» Sapevo di aver mentito, ma non potevo dirle la verità. Salii in camera mia, infilai il pigiama e mi nascosi sotto le coperte. Lo sguardo fisso sul soffitto, la mente che correva senza sosta. Quella sera avevo avuto la conferma. Avevo provato a ignorare quel sentimento, a convincermi che non era vero, che non poteva esserlo. Ma era inutile negarlo. Mi ero innamorata perdutamente di Gabriel.. Nonostante tutto.
Ero consapevole che fosse sbagliato, che non sarebbe dovuto succedere. Ma ormai era troppo tardi. Il mio cuore non mi aveva dato scelta. Mentre cercavo di trovare pace per addormentarmi, sentii un rumore secco contro il vetro della finestra. Mi alzai dal letto, incuriosita, e mi avvicinai alla finestra. Abbassai lo sguardo e lo vidi: Alex.
Non sembrava affatto contento. Deglutii, il cuore prese a battermi più forte. Mi infilai una vestaglia e scesi le scale in silenzio, attenta a non svegliare Marlene e Rafael.Aprii la porta sul retro e uscii, stringendomi le braccia al petto per il freddo.
«Pensi che io sia scemo, Sofia?» sbottò Alex, il tono tagliente.
Corrugai la fronte, confusa. « Cosa ti urli? Di cosa stai parlando?» Non rispose subito. Con uno scatto rabbioso, tirò fuori il telefono e mi mostrò una foto. Una foto di me e Gabriel che ci baciavamo. Sentii il sangue gelarsi nelle vene. Cazzo!
Sentii improvvisamente un bruciore lancinante sul lato del viso. Mi aveva colpito. Rimasi immobile, terrorizzata, la mia guancia pulsava per lo schiaffo ricevuto.
«Avevi detto che non lo avresti fatto più ma sei rimasto il solito stronzo.» risposi con un filo di voce, spingendolo con forza per la rabbia che sentivo. Non fece una piega. Mi afferrò per il braccio, stringendomi forte, e poi la mano salì al mio collo. Sentii il respiro bloccarsi mentre stringeva, il suo volto distorto dalla rabbia.
«Ascoltami bene, Sofia. Me la pagherai cara, te lo assicuro. Nessuno si prende gioco di me ne tanto meno quel coglione del tuo fidanzatino. » Mi lasciò andare con uno strattone, e caddi quasi a terra, tossendo e cercando di riprendere fiato. Le lacrime scendevano calde sul mio viso arrossato. Lo guardai mentre si allontanava, senza dire una parola, paralizzata dalla paura. Appena la sua figura scomparve, rientrai in casa barcollando. Le mie mani tremavano, e non riuscivo a fermarle. Mi diressi in cucina per prepararmi una camomilla, qualcosa che potesse calmarmi. Ma mi bloccai quando sentii il rumore della serratura.
Gabriel.Era tornato.Rimasi immobile, di spalle, vicino al bancone, trattenendo il fiato mentre lui entrava. Non avevo la forza di girarmi né di affrontarlo. I miei occhi fissavano il piano della cucina, sperando che non notasse quanto fossi scossa. Sentii i passi di Gabriel avvicinarsi, il rumore della porta che si chiudeva dietro di lui. Il cuore mi batteva all'impazzata, e le mani tremavano ancora mentre fissavo il bancone della cucina, cercando di non farmi vedere in quello stato.
«Sofia?» La sua voce era calma, ma avvertii una leggera nota di preoccupazione. Non mi voltai, stringendo la tazza di camomilla che non ero ancora riuscita a preparare.
«Che ci fai ancora sveglia?» chiese, avvicinandosi.
Deglutii a fatica. «Non riuscivo a dormire.» sussurrai, cercando di mantenere la voce stabile.
Sentii il suo sguardo perforarmi la schiena. «Stai bene?»
Le sue parole mi fecero male. Non sapevo come rispondergli senza scoppiare a piangere di nuovo. Finalmente trovai il coraggio di voltarmi, stringendo la vestaglia intorno al mio corpo. Gabriel mi osservò attentamente, il suo sguardo si fermò sul mio viso.
«Che ti è successo?» La sua voce si fece più dura, e il suo corpo si irrigidì. Scossi la testa, cercando di minimizzare. «Non è niente.»
«Non è niente?» ripeté, avvicinandosi di più. «Hai il viso rosso, Sofia. Chi ti ha fatto questo?» Non riuscii a reggere il suo sguardo. Le lacrime tornarono a scendere silenziosamente. Gabriel si avvicinò ancora, prendendomi delicatamente il mento tra le dita, obbligandomi a guardarlo.
«Chi. Ti. Ha. Fatto. Questo?» scandì ogni parola con rabbia trattenuta. Non potevo mentirgli, non in quel momento. «Alex.» sussurrai infine, abbassando lo sguardo.
Gabriel lasciò il mio viso, stringendo i pugni con così tanta forza che le nocche diventarono bianche. Lo vidi inspirare profondamente, come se cercasse di mantenere il controllo.
«Quel pezzo di merda ti ha messo le mani addosso?» ringhiò, la sua voce colma di rabbia.
«Gabriel, lascia perdere. Non voglio che ti metta nei guai per colpa mia.»
«Non è colpa tua!» esplose, facendo un passo indietro e passando una mano tra i capelli. «È colpa sua. E fidati, non la passerà liscia.»
«Ti prego.» lo supplicai, afferrandogli il braccio. «Non voglio che tu faccia qualcosa di cui potresti pentirti.»
Mi guardò, il suo sguardo pieno di furia, ma anche di preoccupazione. Dopo qualche secondo di silenzio, scosse la testa. «Non posso ignorarlo, Sofia. Non posso.»
«Puoi farlo per me?» La mia voce tremava, e sentii le lacrime scendere di nuovo. Rimase in silenzio per un momento, poi annuì lentamente, anche se il fuoco nei suoi occhi non si spense. «Va bene.» disse a bassa voce. «Ma se si avvicina di nuovo a te, Sofia, giuro che lo distruggo.»
Non risposi, ma gli gettai le braccia al collo, stringendolo forte. Lui ricambiò l'abbraccio, accarezzandomi la schiena. Per un attimo, il mio cuore smise di tremare, trovando pace nella sua presenza. Ma sapevo che non era finita lì.

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