37.Sofia

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Scesi le scale del tribunale con il cuore a pezzi, cercando inutilmente di trattenere le lacrime che continuavano a scendere sul mio viso. Ogni passo sembrava un macigno, e la realtà di ciò che era appena successo mi schiacciava.
Da lontano vidi Amanda venire di corsa, con Theo al suo fianco. Il loro volto preoccupato mi fece capire che sapevano quanto fosse importante quel giorno per me.
«Ti prego, dimmi che non abbiamo fatto tardi! Ce lo siamo perso, vero? Maledetto traffico!» esclamò Amanda con il fiato corto, fermandosi davanti a me.
Crollai, incapace di mantenere il controllo. Un pianto quasi disperato uscì dal profondo del mio petto, e mi lasciai andare.
«Amore, no... cosa è successo? Hanno rifiutato l'adozione?» chiese Amanda, in modo apprensivo.
Mi abbracciarono entrambi forte, cercando di calmarmi, ma le parole sembravano rimanere bloccate in gola. Finalmente, riuscii a tirare su con il naso e mormorare: «Hanno accettato...» Amanda mi guardò sorpresa, confusa. «Ma allora perché piangi? È una bella notizia!» disse Theo, stringendomi le mani tra le sue per cercare di darmi forza.
Scossi la testa, incapace di smettere di piangere. «Gabriel ha chiuso con me.» sussurrai, la voce spezzata. «Prima ancora che tra noi potesse iniziare qualcosa.»
Le lacrime ripresero a scorrere, e mi rifugiai tra le braccia di Theo. Lui mi strinse forte, passando una mano sui miei capelli nel tentativo di calmarmi.
«Sofia, mi dispiace... so quanto ci tenevi.» disse Amanda. Theo mi tenne stretta senza dire nulla, lasciandomi il tempo di sfogarmi. Il peso di quelle parole mi schiacciava, ma il loro supporto era tutto ciò di cui avevo bisogno in quel momento.
«Portatemi via, vi prego.» mormorai, asciugandomi le lacrime con la manica della giacca. Non volevo restare lì un minuto di più.
Amanda annuì senza dire nulla, mentre Theo mi osservava con un'espressione preoccupata. Mi diressi verso l'auto di Amanda e mi infilai nel sedile posteriore, chiudendo la portiera con un gesto deciso. Mi accasciai contro il finestrino, cercando di nascondermi, ma le lacrime continuavano a scendere senza sosta.
Amanda e Theo salirono davanti, lasciandomi il mio spazio. Sentivo i loro sguardi attraverso lo specchietto retrovisore, ma nessuno dei due disse nulla. Il silenzio nell'auto era rotto solo dai miei singhiozzi soffocati e dal suono delle lacrime che cadevano.
Amanda mise in moto l'auto con delicatezza, quasi avesse paura di disturbarmi, mentre Theo si girava leggermente verso di me. «Sofia, se hai bisogno di parlare, noi siamo qui.» disse con voce calma e rassicurante.
Non risposi, stringendo le braccia attorno a me stessa nel tentativo di contenere il dolore. Guardavo fuori dal finestrino, osservando il mondo andare avanti, come se nulla fosse successo. Ma dentro di me, tutto si era fermato.

Finalmente tornammo a casa. Amanda mi lanciò uno sguardo pieno di preoccupazione, mentre Theo mi sfiorò la spalla in segno di conforto prima di salutarmi. Non dissi nulla, limitandomi a un cenno appena percettibile con la testa, poi chiusi la porta alle mie spalle.
Mi tolsi le scarpe senza curarmi di sistemarle e salii le scale lentamente, ogni passo più pesante del precedente.
Entrai nella mia stanza e chiusi la porta, appoggiando la mia schiena per un istante, come se il peso della giornata fosse stato troppo da sopportare. Poi mi diressi verso il letto, lasciandomi cadere tra le lenzuola.
Mi infilai sotto le coperte, stringendole al petto come se potessero proteggermi dal dolore che mi stava consumando. Appoggiai il capo sul cuscino, sentendo la stoffa fredda contro la mia guancia. Le lacrime, che non avevano mai smesso di scendere, continuarono a bagnare il cuscino. Chiusi gli occhi, sperando di trovare sollievo, ma il dolore era troppo intenso, troppo reale. Mi sentivo spezzata, come se una parte di me fosse stata strappata via ma dovevo reagire, non ero quel tipo di ragazza che smetteva di vivere per un ragazzo anche se quel ragazzo lo avrei visto per il resto della mia vita. Mentre cercavo di calmarmi, sentii la porta d'ingresso aprirsi. Erano tornati. Mi asciugai in fretta le lacrime e cercai di rendermi presentabile. Non volevo che nessuno vedesse quanto stavo soffrendo.
La porta della mia camera si spalancò all'improvviso, rivelando una Marlene visibilmente arrabbiata.
«Ti sembra il modo di sparire così? Siamo diventati finalmente una famiglia e tu ti chiudi in camera? Non è quello che volevi?» Mi alzai dal letto e andai verso di lei. «Sì, hai ragione. Mi dispiace. Certo che sono felice, ma... sono stata sopraffatta da tutte queste emozioni. Non ero preparata a tutto questo. Scusami.» La strinsi a me, sperando che il mio abbraccio bastasse a farle capire quanto ci tenessi.
Marlene sospirò e mi accarezzò il viso. «Va bene, ma adesso andiamo a festeggiare. Ho prenotato un pranzo fuori. È un'occasione speciale, Sofia. Devi esserci.»
Sforzai un sorriso, ignorando quella voglia di piangere che continuava a tormentarmi. «Certo. Dammi solo un momento per sistemarmi.» Mi pettinai velocemente e scesi al piano di sotto con lei. Quando arrivai, trovai Gabriel ad aspettarci nel soggiorno. Ma non era solo. Accanto a lui c'era Ginevra. Il mio sguardo si bloccò sulle loro mani intrecciate. Un nodo mi serrò la gola. Ecco perché aveva chiuso con me. Era per lei.
Il cuore mi si fermò per un istante, come se il tempo si fosse congelato attorno a quella scena.
Feci un respiro profondo, cercando di mantenere la calma, ma dentro di me la rabbia cresceva sempre di più.Mi voltai verso Marlene, che sembrava ignara della tensione che si era appena creata.
«Sei pronta?» chiese con un sorriso, stringendomi la mano. Annuii, cercando di mascherare i miei sentimenti. «Sì, certo. Pronta.» Gabriel si voltò verso di noi, il suo sguardo incontrò il mio solo per un attimo. Nei suoi occhi c'era qualcosa, una scintilla di colpa o forse di esitazione, ma fu troppo veloce per capirlo davvero.
«Ginevra voleva festeggiare con noi.» disse con una calma che mi fece venire voglia di prenderlo a schiaffi.
«Che idea carina.» commentò Marlene, completamente inconsapevole del mio disagio.
«Già, fantastico.» risposi con un tono forzatamente allegro, mentre dentro di me sentivo il peso di quella scena schiacciarmi. Gabriel rimase in silenzio, ma il suo sguardo mi seguiva mentre uscivamo di casa per raggiungere l'auto. Ero certa che quel pranzo sarebbe stato una tortura.

Arrivati al ristorante, ci dirigemmo verso il tavolo che Marlene aveva prenotato. Gabriel e Ginevra si sedettero esattamente di fronte a me, come se la situazione non fosse già abbastanza insopportabile. Cercai di mantenere un'espressione neutra, ma la vista delle loro mani che si sfioravano e delle loro risate complici mi faceva ribollire il sangue.
Durante il pranzo, feci del mio meglio per ignorarli, concentrandomi sul mio piatto e rispondendo distrattamente ai discorsi di Marlene. Tuttavia, ogni volta che quella gallina parlava, sentivo crescere in me una gelosia che tradiva ogni tentativo di sembrare indifferente.
Poi arrivò quella frase.
«Ho deciso di accettare quello stage a New York.» disse Gabriel, quasi con il timore di farmelo sapere.
Mi fermai, alzando lo sguardo verso di lui. «N-New York?» domandai, sentendo un nodo formarsi in gola, tanto forte da bloccarmi il respiro.
Gabriel annuì senza esitazione. «Sì, parto domani.»
Quelle parole mi colpirono come un pugno nello stomaco. Sorrisi debolmente, cercando di mantenere la calma. «Bene, felice per te.» Mentii con voce tremante.
Prima che qualcuno potesse aggiungere altro, mi alzai in fretta. «Scusatemi, vado un attimo in bagno.»
Mi allontanai dal tavolo sentendo le lacrime minacciare di scendere. Appena raggiunsi il bagno, mi chiusi dentro una cabina.
«Sofia, possiamo parlare?» sentii la sua voce poco distante dalla porta del bagno. Mi irrigidii per un istante, asciugandomi le lacrime in fretta, e aprii la porta della cabina con uno scatto.
«Che diavolo vuoi?» sbottai, fissandolo con rabbia mentre stringevo i denti. Lui chiuse la porta del bagno dietro di sé, accorciando la distanza tra noi. Sembrava indeciso, come se stesse cercando le parole giuste. Ma il solo vederlo lì, dopo tutto quello che era successo, fece esplodere tutta la frustrazione che stavo trattenendo.
«Hai già detto tutto quello che dovevi, Gabriel. Vuoi aggiungere altro o sei qui solo per peggiorare la situazione?» aggiunsi, incrociando le braccia.
Lui sospirò, passando una mano tra i capelli, visibilmente a disagio. «Non volevo ferirti... davvero.» Scoppiai a ridere, una risata amara e carica di dolore. «Non volevi ferirmi? Eppure, hai fatto un lavoro impeccabile.» Lo fissai con occhi lucidi. «E ora, cosa vuoi? Giustificarti? Farmi credere che tutto questo è per il mio bene?»
Gabriel abbassò lo sguardo per un momento, poi fece un passo verso di me. «Non posso stare con te, Sofia. Ma questo non significa che non mi importi di te.»
«Smettila.» scossi la testa, allontanandomi. «Se davvero ti importasse, non saresti qui con lei. Non stringeresti le sue mani mentre guardi me negli occhi.» Lui non disse nulla, il suo silenzio parlava più di mille parole. Ma io non avevo intenzione di lasciarlo vincere.
«Se hai scelto Ginevra, allora torna da lei e lasciami in pace.» Lo guardai con fermezza, anche se dentro di me mi sentivo a pezzi.
«Sofia,non è così semplice...» mormorò infine, con il tono della voce basso.
«Semplice? Semplice?» ripetei, incredula. «Sai cos'è davvero complicato, Gabriel? Cercare di dimenticare qualcuno che ti ha fatto credere che ci fosse una possibilità, solo per poi buttarti via come se non contassi nulla. Questo è complicato.» Lui abbassò lo sguardo, evitando il mio, e io ne approfittai per continuare.
«Sai cosa ferisce di più? Non è che tu abbia scelto Ginevra. È che non hai mai avuto il coraggio di essere onesto con me. Mi hai tenuta a distanza, mi hai spinta via quando avevi bisogno di qualcuno e, alla fine, hai deciso tutto per entrambi. Come se io non avessi voce in capitolo.» Mi guardò finalmente, con gli occhi che brillavano di qualcosa che sembrava rimpianto. «Stavo solo cercando di proteggerti.»
«Proteggermi? Da cosa, Gabriel? Da te stesso? Beh, congratulazioni, ci sei riuscito. Sei riuscito a farmi capire che non posso fidarmi di te, che non ho mai contato davvero per te. Sei bravo a proteggere le persone, ma non sai come amarle.» Lui fece un passo avanti, ma io alzai una mano per fermarlo. «No. Non provare neanche a dirmi che mi ami, perché l'amore non fa così male. E se per te è questa l'idea di amore, allora non lo voglio.» Ci fu un lungo silenzio. Gabriel mi fissava come se volesse dire qualcosa, ma sapeva che non avrebbe potuto cambiare nulla. Io trattenni a stento le lacrime, cercando di rimanere forte, almeno per me stessa.
«Esci.» dissi infine, la voce calma ma ferma. «Esci da questa stanza e dalla mia vita, vai a New York, fai quello che ti pare.» Lui rimase immobile per un istante, poi fece un passo indietro. «Senza di me sarai più felice.» mormorò, prima di girarsi e uscire. Appena la porta si richiuse, mi appoggiai al lavandino, le lacrime finalmente libere di scendere. Mi sentivo svuotata, ma anche più leggera. Forse, era davvero il momento di andare avanti. E questa volta, l'avrei fatto per me.

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