Il giorno dopo...
Quella mattina mi svegliai con un peso sul petto. Anche se sarebbero state solo due settimane, sentivo che sarebbero state infinite lontano da lei. Non volevo lasciarla così, non dopo come ci eravamo trattati ieri. Ma Ginevra aveva saputo giocare le sue carte, incastrandomi in un modo che solo lei poteva fare.
Mi alzai dal letto, stiracchiandomi e indossai una maglia prima di scendere in cucina. Entrando, trovai Sofia seduta al tavolo insieme a mia madre, che stava bevendo il suo caffè.
«Buongiorno.» salutai, dando un bacio sulla testa a mia madre.
Sofia mi lanciò un'occhiata di sfuggita, senza degnarmi di una parola. Era ancora arrabbiata, e non la biasimavo. La osservai mentre si alzava per mettere la sua tazza vuota nel lavello. Mi avvicinai a lei, senza badare alla tensione che aleggiava tra di noi. «Buongiorno, Rapunzel.» le dissi con un mezzo sorriso, rubandole un bacio sulla guancia.
Lei si voltò subito, pulendosi la guancia con rabbia. «Per te sono solo Sofia.» Le sue parole erano dure più di quanto mi aspettavo.
Uscì dalla cucina senza aggiungere altro, lasciandomi lì con mia madre che mi guardava con aria inquisitoria.
Mi sedetti a tavola e iniziai a bere il mio caffè, cercando di ignorare il nodo che si stringeva sempre di più nel petto.
«Mi spiegate cosa succede? C'è una tensione affilata come un coltello. Avete litigato?» chiese mia madre, posando la tazza con fare preoccupato.
«Ma no, solite cose tra fratelli.» mentii con una scrollata di spalle. «Dopo chiarisco con lei, le passerà.» mi guardò ancora per un attimo, come se non fosse del tutto convinta, ma non disse altro.
Dopo aver finito il caffè, salii in camera mia. Feci una doccia veloce e, una volta vestito, presi una grande valigia nera, posandola sul letto. Iniziai a riempirla con i miei vestiti, cercando di concentrarmi solo su quello.
«Allora te ne vai sul serio.» La sua voce mi fece bloccare. Alzai lo sguardo, trovandola sulla porta della mia stanza.
«Devo.» risposi distaccato, continuando a piegare i vestiti. «Ho un lavoro da svolgere.»
«Provi davvero qualcosa per Ginevra?» mi chiese, avanzando di qualche passo. «È per lei che hai rinunciato a me? A noi?» Sentii un nodo stringersi alla gola. Come avrei potuto dirle la verità? Ginevra mi aveva in pugno , e quel maledetto ricatto era l'unica cosa che mi costringeva a comportarmi così.
«Sofia, non rendere le cose più difficili di quanto già siano.» dissi cercando di mantenere la calma.
«Rispondimi.» insistette, fermando le mie mani che stavano posando un altro capo nella valigia.
Sospirai, evitando il suo sguardo. «È per l'adozione. Non possiamo stare insieme, Sofia, e prima lo accetti, meglio sarà per te.»
Scosse leggermente la testa, le sue guance rigate da una lacrima. «Baciami per l'ultima volta, ti prego.» Quelle parole mi spezzarono. Mi avvicinai a lei, unendo le nostre labbra in un bacio che avrebbe dovuto essere l'ultimo. Ma appena le sentii contro le mie, morbide e delicate, desiderai che non finisse mai. Era un addio, e lo sapevo, ma avrei voluto fermare il tempo in quel momento.
Mi staccai a malincuore, schiarendomi la voce ormai rotta. «Meglio che vada, farò tardi.»
Chiusi la valigia e mi avviai verso la porta, ignorando i suoi passi che mi seguivano. Scesi al piano di sotto
«Sicuro di aver preso tutto?» chiese mia madre, mentre sistemava il colletto della mia camicia.
«Sì, mamma, ho preso tutto. Non preoccuparti.»
Le diedi un bacio sulla guancia e, senza voltarmi, uscii di casa.
Prima di salire in auto, i miei occhi si posarono su Sofia, ferma vicino alla finestra. Non riuscivo a guardarla senza sentire il cuore spezzarsi. Sforzai un sorriso che non arrivò mai ai miei occhi.
La amavo più di quanto amassi me stesso, ma dovevo lasciarla andare.
Entrai in auto, chiusi lo sportello e feci un respiro profondo. Avviai il motore e mi diressi verso l'aeroporto, consapevole che quello era solo l'inizio di un dolore che non sarebbe passato tanto facilmente.Arrivato all'aeroporto, parcheggiai l'auto e guardai l'orologio, il volo stava per partire.
Mi fermai di fronte al banco del check-in, senza nemmeno accorgermi che la fila si stava muovendo. L'idea di salire su quell'aereo mi faceva sentire come se stessi fuggendo, ma non avevo altra scelta. Dovevo farlo per lei, per me, per tutto quello che non potevamo essere.
«Signore, il suo volo sta per partire.» mi disse l'assistente al banco, guardandomi con un sorriso che sembrava finto, come se avesse notato il mio stato d'animo.
Annuii senza rispondere, prendendo il biglietto e dirigendomi verso il gate. Ogni passo che facevo sembrava più pesante del precedente. Arrivato alla porta d'imbarco, mi fermai un istante, osservando i viaggiatori intorno a me, sembravano così sereni e felici.
A farmi tornare alla realtà fu il mio telefono che vibrava nella mia tasca, il cuore perse un battito. Era un messaggio di Sofia. L'aprii senza esitazioni, ma quando lessi le sue parole, un groppo mi si formò in gola."Fai buon viaggio, sono fiera di te."
Mi staccai immediatamente dal telefono, come se averlo in mano fosse troppo doloroso. Mi girai, pronto a tornare indietro, ma il richiamo della voce dell'assistente mi fece voltare.
«Signore, è il suo momento.» Sospirai, guardai l'ingresso dell'aereo e feci il passo successivo. La decisione era stata presa, ma dentro di me c'era solo confusione, paura, e la consapevolezza che forse avevo appena distrutto l'unica cosa bella della mia vita.Sedendomi sul sedile dell'aereo, guardai fuori dal finestrino, il paesaggio che lentamente diventava più piccolo, mentre il mio cuore si stringeva sempre di più. Lì, tra le nuvole, non c'era più nulla che potesse consolarmi. Avevo scelto di sacrificare il mio amore per lei, per un futuro che non sapevo nemmeno se avrebbe avuto senso senza di lei al mio fianco.
Il volo sembrava interminabile, le ore che passavano lentamente senza che riuscissi a trovare pace. La voce dell'altoparlante mi svegliò dai miei pensieri: "Gentili passeggeri, il nostro volo sta per atterrare."
Mi alzai dal sedile, ma non sentivo alcuna emozione di gioia. Solo una solitudine che mi avvolgeva. L'idea di trovarmi in una città lontana, lontano da tutto ciò che conoscevo, mi faceva sentire ancora più perso.Quando l'aereo toccò terra, il rumore dei freni mi fece sobbalzare, come un colpo al cuore. Eppure, sapevo che il mio corpo era lì, ma la mia mente era da un'altra parte.
Dopo aver effettuato il check-out dall'aeroporto, chiamai un Uber per farmi accompagnare al mio appartamento. Era l'appartamento che mio padre aveva lasciato a me, essendo l'unico suo erede. Il tragitto fu silenzioso, l'unica cosa che si sentiva era il rumore dei clacson e delle voci della città. Osservai New York dal finestrino dell'auto, cercando di abituarmi all'idea che avrei passato lì le prossime settimane.Quando arrivai, ringraziai l'autista ed entrai nel portone del palazzo. Salii le scale e mi fermai davanti alla porta di casa. Inserii le chiavi nella serratura e con un clic la porta si aprì.
Entrai, appoggiando la valigia nell'ingresso, e osservai l'ambiente intorno a me. Tutto era rimasto esattamente come l'avevo lasciato l'ultima volta: le fotografie mie e di mio padre appese ai muri, i libri ordinati sugli scaffali, la luce soffusa che avvolgeva la stanza. Nonostante il dolore per la sua assenza, era confortante essere lì.
Mi diressi nella mia stanza per disfare le valigie. Riposi i vestiti nell'armadio con calma, ogni tanto soffermandomi a osservare una foto o un oggetto che mi ricordava momenti passati. Ero immerso nei ricordi, ma la fame mi riportò alla realtà.
Essendo ormai sera, decisi di ordinare una pizza. Presi il telefono, scorrendo rapidamente tra le opzioni disponibili, e completai l'ordine. Poi mi cambiai, indossando una maglia nera a maniche corte e un pantalone della tuta per stare più comodo. Mi buttai sul divano, cercando un film da guardare mentre aspettavo.Mentre facevo zapping tra i vari film, il campanello suonò prima del previsto. Mi alzai dal divano, un po' sorpreso dalla velocità della consegna. Aprii la porta e trovai il fattorino con la pizza in mano e un sorriso cordiale.
«Pizza per Gabriel?»
«Sì, sono io.» dissi, tirando fuori il portafoglio per pagare.
«Grazie e buona serata!» rispose lui allontanandosi subito verso l'ascensore.
Chiusi la porta e portai la pizza sul tavolino del soggiorno. L'odore era invitante e senza perdere altro tempo, presi un trancio e lo addentai mentre scorrevo ancora tra i film.
Scelsi un thriller a caso, qualcosa che probabilmente avrei finito per guardare distrattamente. I miei pensieri tornavano sempre lì, a Sofia. Alle cose che le avevo detto, a come mi guardava con quegli occhi pieni di emozioni contrastanti.
Masticai lentamente, con lo sguardo fisso sullo schermo ma la mente altrove. Il silenzio dell'appartamento sembrava quasi soffocante, come se ogni stanza avesse assorbito i miei dubbi e i miei desideri inespressi.
Mi appoggiai allo schienale del divano e chiusi gli occhi per un momento. Mi sembrava di rivederla, di sentire la sua risata cristallina, il suo profumo che ormai riconoscevo tra mille.
«Devo smetterla di pensare a lei.» borbottai a me stesso, prendendo un altro morso di pizza.
Eppure, sapevo che sarebbe stato impossibile. Perché lei non era solo un pensiero passeggero. Era tutto.

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𝐄𝐍𝐃𝐋𝐄𝐒𝐒 𝟏
RomanceSofia García è una ragazza di soli 17 anni , stata abbandonata in tenera età davanti alla fondazione "Casa de los Sueños" ha vissuto la sua intera infanzia circondata da persone che la facevano sentire costantemente fuori posto. Fino a quando una fa...