Mi ritrovai a barcollare tra le stradine di quel quartiere tranquillo, mentre la musica proveniente dalla casa di Bill risuonava nell'aria. Ogni passo era un'impresa, la mia visione doppia e confusa, ma una luce accesa in lontananza attirò la mia attenzione. Nonostante gli effetti dell'alcol, riuscii a riconoscere la casa di Ethan Mitchell, l'uomo che aveva occupato i miei pensieri da quando ero arrivata a New York.

La sua figura riservata, il suo atteggiamento misterioso e distante mi avevano sempre intrigata, ma anche irritata. Era un uomo arrogante, freddo, eppure qualcosa in lui mi aveva attratta, mi aveva catturata nonostante le mie migliori intenzioni. Ma era tutto sbagliato, era impossibile che provassi qualcosa per lui. Non potevo permettere di farmi piacere un uomo così distante, così fuori dalla mia portata.

Nonostante la mia mente confusa, mi ritrovai davanti al suo portone, senza capire come fossi arrivata lì. Cosa stavo facendo? Avevo perso il controllo, la mia ragione annebbiata dalla droga e dalla confusione. Riuscii a suonare il campanello, ma non ebbi risposta. Guardai di sfuggita il telefono, e mi resi conto che era quasi l'una di notte. Forse dormiva, forse era meglio andarsene e dimenticare tutto.

Ma proprio mentre stavo per voltarmi e allontanarmi, sentii la porta aprirsi. Il cuore iniziò a battere più forte nel petto mentre la sua voce, profonda e magnetica, raggiungeva le mie orecchie.

"Ava?" disse, il tono profondo e stupito.

Era lui, Ethan Mitchell, davanti a me. Il mio tormento, ma anche l'uomo che, in qualche modo, mi aveva smosso dentro.

"Ava, che ci fai qui?" La voce di Ethan risuonò intorno a me, tagliente come un rasoio. Sentii il suo sguardo penetrante scrutarmi da capo a piedi, carico di irritazione ma anche di una sottile traccia di preoccupazione.

Tentai di rispondere, ma la confusione che permeava la mia mente rendeva ogni parola un labirinto da attraversare. La vista si annebbiò ancora di più, e il terreno sotto i miei piedi sembrava cedere, facendomi barcollare verso il vuoto. Fortunatamente, prima che potessi cadere, una mano solida e ferma mi afferrò, trattenendomi.

Quando riaprii lentamente gli occhi, il mondo intorno a me sembrava un dipinto sfocato. Ero distesa su un morbido divano, il calore del tessuto avvolgeva il mio corpo, ma la mente era ancora intrappolata in un turbinio di confusione. Il salone del professor Mitchell si stagliava intorno a me, un mix di dettagli noti e misteriosi, che si fondevano insieme in un'atmosfera surreale.

Il respiro affannoso riempiva il silenzio, e il cuore batteva con violenza nel petto, come un tamburo che suonava una sinfonia di paura e incertezza. Sollevai lo sguardo e lo vidi seduto ai miei piedi, un'ombra imponente nel chiarore della stanza. Il suo volto, di solito così impenetrabile, era ora solcato da una tensione palpabile, i suoi lineamenti rigidi come la pietra, ma i suoi occhi... I suoi occhi raccontavano una storia diversa, una miscela di preoccupazione e interrogativi che danzavano tra le fiamme dell'incertezza.

"Ava, sei drogata?" La sua voce, tagliente come una lama, fendeva l'aria carica di tensione. Sentii il suo sguardo perforare la mia corazza, scrutando l'abisso della mia anima in cerca di risposte. Annuii debolmente, cercando di far emergere una voce dal caos che dominava la mia mente. "Non sono stata io... Qualcuno ha messo qualcosa nel mio bicchiere," sussurrai, le parole frammentate che si infrangevano contro le pareti della mia mente annebbiata.

Mi porse un bicchiere con una pillola, e la sua voce tagliente mi ordinò di prenderla con fermezza, come se fossi un soldato sotto il suo comando. Il suo tono dominante mi fece rabbrividire, ma senza esitare presi la pillola e la inghiottii, sentendo un leggero senso di sollievo diffondersi dentro di me. Era strano, quasi come se il suo comando avesse un effetto calmante su di me, nonostante la mia confusione e la mia paura.

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