Stavo per superare Salvatore quando ho sentito mia sorella che urlava. Mi sono girato e l'ho vista sparire inghiottita dal grano che copriva la collina.
Non dovevo portarmela dietro, mamma me l'avrebbe fatta pagare cara.
Mi sono fermato. Ero sudato. Ho preso fiato e l'ho chiamata.
-Maria? Maria?
Mi ha risposto una vocina sofferente.
-Michele!
-Ti sei fatta male?
-Si, vieni.
-Dove ti sei fatta male?
-Alla gamba.
Faceva finta. Era stanca. Vado avanti, mi sono detto. E se si era fatta male davvero?
Dov'erano gli altri?
Vedevo le loro scie nel grano. Salivano piano, in fila parallele, come le dite di una mano, verso la cima della collina, lasciandosi dietro una coda di steli abbattuti.Quell'anno il grano era alto. A fine primavera aveva piovmuto tanto, e a metà giugno le piante erano più rigogliose che mai. Crescevano fatte, cariche di spighe, pronte per essere raccolte.
Quella maledetta estate del 1978 è rimasta famosa come una delle piu calde del secolo. Il calore entrava nelle pietre, sbriciolava la terra, infuocava le case.
Il sole ti levava il respiro, la forza la voglia di giocare, tutto. E la notte si schiattava uguale.
Ad Acqua Traverse gli adulti non uscivano di casa prima delle sei di sera. Si tappavano dentro con le tapparelle chiuse. Solo noi ci avventuravamo nella campagna rovente e abbandonata.
Mia sorella Maria aveva cinque anni e mi con l'ostunazione di un bastardino tirato fuori da un canile.
" Voglio fare quello che fa tu" diceva sempre.
Mamma le dava ragione.
"Sei o non sei il fratello maggiore?" E non c'erano santi, mi toccava portarmela dietro.
Nessuno si era fermato ad aiutarla.
Normale,era un gara.-Dritti su per la collina. Niente curve. È vietato stare uno dietro l'altro. È vietato fermarsi. Chi arrica ultimo paga penitenza-.
Aveva deciso il Teschio e mi aveva concesso: - Va bene, tua sorella non gareggia. È troppo piccola.
-Non sono troppo piccola!- aveva protestato Maria. -Voglio fare anch'io la gara! - E poi era caduta.
Peccato ero terzo.
Primo era Antonio come sempre.
Antonio Natale, detto il Teschio. Perchè ldo chiamavamo il teschio non me lo ricordo. Forse perchè una volta si era appiccicato sul braccio un teschio, una di quelle decalcomanie che si compravano dal tabaccaio e s attaccavano con l'acqua. Il teschio era il piu grande della banda. Dodici anni. Ed era il capo. Gli piaceva comandare e se non obbedivi diventava cattivo. Non era una cima, ma era grosso, forte e coraggioso. E si arrampicava su per quella collina come una dannata ruspa.
Secondo era Salvatore.
Salvatore Scardaccione aveva nove anni, la mia stessa età. Eravamo in classe insieme. Era il mio migliore amico. Salvatore era più alto di me. Era un ragazzino solitario. A volte veniva con noi ma spesso se ne stava per i fatti suoi. Era più sveglio del teschio, gli sarebbe stato facilissimo spodestarlo, ma non gli interessava diventare capo. Il padre, l'avvocato Emilio Scardaccione, era una persona importante a Roma. E aveva un sacco di soldi in Svizzera. Questo si diceva.
Poi c'ero io, Michele Amitrano. E anche quella volta ero terzo, stavo salendo bene, ma per colpa di mia sorella adesso ero fermo.
Stavo decidendo se tornare indietro o lasciarla là, quand mi sono ritrovato quarto. Dall'altra parte del crinale quella schiappa di Remo Marzano mia aveva superato. E se non mi rimettevo subito ad arrampicarmi mi sorpassava pure Barbara Mura.
Sarebbe stato orribile. Sorpassato da una femmina. Cicciona.
Barbara Mura saliva a quattro zampe come una scrofa inferocita. Tutta sudata e coperta di terra.
- Che fai, non vai dalla sorellina?Non l'hai sentita? Si è fatta male, poverina,- ha grugnito felice. Per una volta non sarebbe toccata a lei la penitenza.
-Ci vado, ci vado... E ti batto pure-. Non potevo dargliela vinta cosi.
Mi sono voltato e ho incominciato a scendere, agitando le braccia e urlando.
Non la vedevo. - Maria!Maria! Dove stai?
-Michele...
Eccola. Era lì. Piccola e infelice. Seduta sopra un cerchio di steli spezzati. Con una mano si massaggiava la caviglia e con l'altra di teneva gli occhiali.
Quando mi ha visto ha storto la bocca e si è gonfiata come un tacchino.
-Michele...?
- Maria mi hai fatto perdere la gara! Te l'avevo detto di non venire, mannaggia a te- Mi sono seduto.
- Che ti sei fatta?
- Sono inciampata. Mi sono fatta male al piede e gli occhiali! Gli occhiali si sono rotti!
Le avrei mollato uno schiaffone. Era la terza che rompeva gli occhiali da quando era finita la scuola. E ogni volta cn chi se la prendeva mamma?
" Devi stare attento a tua sorella, sei il fratello maggiore".
"Mamma, io..."
" Niente mamma io. Tu non hai ancora capito, ma io i soldi non li trovo nell'orto. La prossima volta che rompete gli occhiali ti prendi una di quelle punizioni che..."
Si erano spezzati al centro, dove erano stati gia incollati. Erano da buttare.
Mia sorella intanto continuava a piangere.
-Mamma...Si arrabbia... Come si fa?
- E come si fa? Ci mettiamo lo scotch. Alzati, su.
- Sono brutti con lo scotch. Sono bruttissimi. Non mi piacciono.
- Non fa niente alzati.
- Mi fa male in piede.
-Dove? Dove ti fa male?
-Qua.- Mi ha mostrato la caviglia.
-Una storta. Non è niente. Passa subito.
Le ho slacciato la scarpa da ginnastica e l'ho sfilata con molta attenzione. Cme avrebbe fatto un dottore.
-Ora va meglio?
- Un po. Torniamo a casa? Ho sete da morire. E mamma...
Aveva ragione. Ci eravamo allontanati troppo. E da troppo tempo.
Lo vedevo male il ritorno a casa. Ma chi se lo immaginava poche ore prima.
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IO NON HO PAURA
ChickLitL'estate più calde del secolo. Quattro case sperdute nel grano. I grandi sono tappati in casa. Sei bambini, sulle loro biciclette, si avventurarono nella campagna rovente e abbandonata. In mezzo a quel mare di spighe c'è un segreto pauroso, un segre...