Il senso di colpa stava cercando di distruggerlo, e più il tempo passava, più Andrea stava perdendo le forze adatte a combatterlo. Prima o poi lo avrebbe vinto, lo avrebbe schiacciato, reso un'anima dannata.
Ciò che lo feriva maggiormente era la consapevolezza del proprio egoismo. Dov'erano finiti tutti i suoi valori morali? Dov'era finito l'amore che sosteneva di provare nei confronti di Duccio?
Tante, troppe volte aveva ripetuto a se stesso che la cosa più importante al mondo per lui fosse la felicità di Duccio. Eppure, adesso, suonava tutto come una grande menzogna.
Lo aveva abbandonato, in balia dei propri rimorsi e delle presunte colpe. Non aveva semplicemente permesso alle emozioni negative di impossessarsi di lui, ma le aveva addirittura causate. Era l'artefice del dolore della persona che gli fosse più cara.
Si sentiva un mostro per questo. Desiderava avere abbastanza coraggio da poter risolvere tutto, ma sapeva di non possederlo. Non avrebbe potuto fare niente per lui.
Forse, in fondo, gli stava addirittura facendo del bene. Duccio avrebbe sofferto per un po', ma alla fine tutto sarebbe passato. Niente in confronto al male che avrebbe potuto provare rimanendo al fianco di Andrea.
Non poteva offrirgli alcun tipo di gioia. Nessun futuro roseo era in previsione per loro due. Come sarebbe potuto mai esserlo? Andrea era inadeguato. Era un fallimento come amico e come figlio, figurarsi come amante. Non sarebbe mai stato abbastanza per Duccio.
Non lo avrebbe lasciato entrare nella sua vita. Non avrebbe mai permesso che nascesse qualcosa tra loro due, per il bene di Duccio.
E non solo.
Continuava a essere dell'opinione che, un giorno, stando lontano dalla sua tentazione, sarebbe guarito. Sarebbe ritornato a essere il vecchio Andrea di sempre. Non sarebbe mai più stato una delusione per nessuno, compreso se stesso.
Sarebbe andato tutto bene. Sarebbe stato necessario soltanto fingere che non fosse mai successo nulla tra loro.
Era un'idea certamente valida, ma incoerente. Fino ad allora, Andrea aveva solamente messo in pratica l'esatto opposto, evitando il bunker allo scopo di evitare Duccio in persona. In quel momento, Andrea stava rendendosi conto di quanto fosse stata una scelta infantile e controproducente. Sicuramente, i ragazzi al bunker avevano già cominciato a porsi migliaia di domande. Non era stata un'idea geniale quella di scomparire per giorni senza fornire loro alcuna spiegazione.
Andrea si strofinò il viso con le mani, sospirando. Ogni occasione era quella giusta per lui per poter dimostrare la propria inettitudine. Gira e rigira, ogni mossa compiuta si rivelava errata. Andrea avrebbe dato la colpa, per l'ennesima volta, all'effetto che Duccio avesse su di lui, ma la verità era che Andrea riuscisse sempre a sbagliare a prescindere dall'influenza di Duccio.
Il suo cellulare squillò. Sullo schermo comparve un familiare volto incorniciato da capelli bianchi. Sarà stata la sua nona o decima chiamata nel corso di quel periodo di autoreclusione, e altrettante lo saranno state quelle di Dario, Jacopo e Pietro.
Ma ormai Andrea avrebbe smesso, e avrebbe preso in mano la situazione. Non sarebbe più scappato.
«Hey, Marco» rispose.
«"Hey Marco"?» gli fece eco l'amico, dall'altro capo della linea telefonica. «"Hey Marco" un cazzo. Ti chiamo da quanto? Quattro, cinque giorni, e tutto quello che hai da dire è "hey Marco"? Ma si può sapere dove cazzo sei?»
«Dove dovrei essere? A casa. Non sono scappato.»
«Sono venuto a citofonarti non so quante volte, puttana Eva! Dove cazzo stavi?»
«Non urlare, Marco. Mi dispiace.»
«Ti dispiace? Ci siamo preoccupati tutti per te! Sembravi morto!»
«Lo so. Mi dispiace» ripeté.
Andrea continuava a rispondere passivamente, senza mai alterarsi. Marco non era mai stato abituato a questo tipo di litigio unidirezionale, poiché solitamente Andrea alzava la voce il triplo di lui. Perciò, alla fine, anche Marco si calmò, capendo che qualcosa non andasse sul serio.
«Vieni subito qui, ti aspettiamo.»
«Va bene.»
«Sicuro? Ti vengo a prendere?»
Probabilmente Marco credeva che Andrea gli avrebbe mentito. Non sarebbe stata un'ipotesi così surreale. Nonostante fossero migliori amici da anni, Andrea gli aveva mentito innumerevoli volte, al punto di non essere sicuro di sapere di quale Andrea fosse a conoscenza Marco. Una delle sue tante versioni, probabilmente, in cui Andrea era un ideale Andrea Locci, un utopistico Faster. Non era certamente la sua versione reale - colei che in quell'esatto momento stava tremando all'idea di poter incrociare lo sguardo con quello di Duccio, o che aveva passato tutta la notte a piangere al pensiero delle sue labbra, che avrebbe voluto potersi godere maggiormente, ma che aveva dovuto respingere. Sicuramente, se l'avesse conosciuta, Marco l'avrebbe detestata.
«No. Dammi cinque minuti e sono lì.»
Chiuse la chiamata. Finì di vestirsi e uscì.
Entrare in contatto con la sua moto, dopo la serata con Duccio, era disturbante. La sua mente, per quanto provasse a impedirglielo, ritornava sempre a fissarsi sul ricordo di Duccio, in piedi sul marciapiede di fronte casa sua, che velocemente si allontanava alle sue spalle nel momento in cui Andrea aveva deciso di fuggire.
Se solo non l'avesse fatto, se solo fosse sceso da quella maledetta moto blu...
Non doveva pensarci. Le cose non sarebbero certamente migliorate. Andrea immaginava che, se anche fossero finiti a letto insieme quella notte, la mattina dopo sarebbe stato comunque tutto finito. Probabilmente si sarebbe pentito e avrebbe abbandonato Duccio ugualmente, ma facendolo soffrire più di quanto non stesse già facendo.
Alla fine, quasi miracolosamente, arrivò al bunker. I ragazzi lo accolsero con grande fermento.
«Ci hai fatto spaventare.»
«Perché non rispondevi alle chiamate?»
«Cos'è successo?»
«Ghera è incazzato nero con te.»
«Spero che tu ti sia riposato abbastanza perché adesso registriamo, e non voglio sentire scuse.»
«Dai Ja', non rompere il cazzo. Non vedi che non sta bene?»
Le loro voci si sovrapponevano l'una sull'altra, ma Andrea le percepiva a stento. Tutto ciò che riusciva a sentire era il battito del suo cuore, improvvisamente accelerato alla vista di Duccio. Non si era neppure alzato, ma era rimasto impassibile, appollaiato sulla sua sedia, con la matita in mano e il quaderno sulle ginocchia.
Non aveva un aspetto troppo sano.
Il suo sguardo, incorniciato da un filo di matita rossa sotto gli occhi, era fisso nel suo, e pareva accusarlo. Andrea percepì il suo odio, e lo incassò.
Se lo meritava.
«Andrea, ci sei?» lo scosse Dario. «Sei pallido.»
«Fatelo sedere» aggiunse Pietro.
Andrea non rispose a nessuno dei due. Riusciva solamente a pensare: "perché cazzo mi stanno trattando come un malato?"
Lo stavano reputando strano? Credevano ci fosse un problema in lui?
Andrea aveva passato un'intera vita facendo di tutto affinché loro non avessero modo di pensare ciò di lui. Eppure, evidentemente, aveva sbagliato qualcosa.
Sentì il tocco gentile di Marco su di lui. Lo guardava con apprensione, e stava cercando di guidarlo da qualche parte. Andrea si liberò bruscamente dalla sua presa. Non aveva bisogno della compassione di nessuno, per nessun motivo.
Voleva poter rimanere da solo con Duccio. Voleva potergli parlare. Aveva cambiato idea. Fanculo Marco e tutti gli altri. Fanculo ciò che la gente avrebbe pensato. Voleva Duccio e non c'era nessuna ragione buona a sufficienza affinché lui non potesse averlo.
Lo cercò con lo sguardo, ma non era più al suo posto. Aveva preso il suo zaino ed era passato oltre il gruppo davanti alla porta, diretto verso l'uscita.
Non poteva lasciarlo andare.
«Duccio, aspetta» esclamò, andandogli dietro.
Egli, inaspettatamente, si fermò.
«Dobbiamo parlare.»
Solo allora Duccio si voltò a guardarlo. «No, non credo.»
«E invece sì. Vieni con me.»
Andrea afferrò Duccio per il polso e lo trascinò fuori. Solo allora il ragazzo reagì, dimenandosi finché Andrea non lo ebbe lasciato.
«Cosa vuoi da me?»
«Parlare di ciò che è successo l'altra sera.»
«Cosa c'è da dire?» fece spallucce Duccio, visibilmente innervosito. «Credo di aver capito abbastanza la tua opinione in merito. So di aver sbagliato e non voglio essere umiliato da te di nuovo.»
«Non hai sbagliato, è questo il punto.»
Duccio sembrò bloccarsi. Poi domandò, cautamente: «che significa?»
«Possiamo parlarne in un posto più privato?» chiese Andrea, indicando vagamente la strada con un gesto della mano.
Duccio annuì. Poi lo seguì, salendo in moto.
«Non ho portato il secondo casco. Ti do il mio» disse Andrea.
«No, non fa niente» rispose. Si aggrappò volutamente al suo corpo, per la prima volta. Gli si strinse contro, appoggiando il volto sulla sua schiena. Andrea vedeva le sue mani, sentiva la pressione esercitata da Duccio su di lui. Capiva che lo stesse facendo di proposito. Si stava godendo la sensazione di poter abbracciare Andrea.
«Parti?»
Andrea sorrise tra sé. Partì.
In pochi minuti arrivarono a casa di Duccio. Scesero - stavolta entrambi. Andrea seguì il padrone di casa, lasciando la giacca, il casco e le chiavi all'ingresso. Poi finirono in soggiorno.
«Adesso puoi parlare liberamente, credo» proruppe Duccio. Lo guardava di sottecchi, come se avesse timore ad affrontarlo. Andrea si avvicinò a lui sino a sfiorargli i fianchi con le mani. Lentamente, la sua presa si fece più sicura e finì per attirare completamente Duccio a sé.
Lo baciò.
Le braccia di Duccio si avvolsero attorno al suo collo. Il bacio si moltiplicò, fino a divenire una serie infinita. Le loro lingue non erano intenzionate a staccarsi. Andrea sarebbe potuto anche morire in quel momento e sarebbe stato d'accordo.
Sembrava essere passata un'eternità, quando Duccio si staccò da lui. Era tremante, arrossato, spettinato. Le sue labbra erano lucide di saliva, gli occhi languidi.
«Andrea...» sussurrò.
«Cazzo, Duccio. Ti voglio, adesso.»
«Anche io.»
Era abbastanza. Andrea represse l'istinto di spingerlo sul primo mobile sotto tiro e possederlo lì, e lo condusse alla camera da letto. In un attimo furono sul materasso, travolti da una seconda ondata di baci, morsi, gemiti. Andrea aveva già sfilato e lanciato via il crop top di Duccio e stava armeggiando con il bottone dei suoi jeans, quando squillò il telefono. L'IPhone di Duccio rivelò il nome di Dario e l'emoji della fatina. Il proprietario non fece un minimo cenno che presupponesse la risposta a quella chiamata. Si limitò a constatare: «saranno preoccupati per noi.»
«Non mi interessa» rispose Andrea, estraendo il suo cellulare dalla tasca posteriore dei jeans. Lesse dalle notifiche un'anteprima di insulti e messaggi minatori da parte di Marco, poi attivò la modalità aereo e lo abbandonò con poca delicatezza sul comodino. Vide Duccio fare la medesima cosa.
«Come cazzo si permettono a interrompere un momento del genere?» sospirò Andrea lascivamente, baciando il collo di Duccio e tornando a slacciargli i pantaloni.
Duccio gemette in tutta risposta, provocando nel corpo di Andrea un'eccitazione sempre maggiore.
Gli istanti a seguire si persero in un buco nero nella memoria di Andrea. Si svolsero talmente tanto velocemente da risultare un'incognita. Andrea non fu padrone dei suoi gesti, tantomeno dei suoi pensieri. Non seppe neanche quando o come Duccio lo spogliò di tutti i suoi vestiti, ma semplicemente si ritrovarono nudi insieme. Un attimo prima Duccio aveva estratto il flacone di lubrificante dal cassetto del comodino, e l'attimo dopo Andrea ne aveva già le dita unte.
Ritornò sulla terra soltanto nel momento in cui fu dentro di lui. A stento, inspirando il profumo di Duccio, abbandonato a pochi millimetri dal suo volto, riusciva a spiegarsi come aveva fatto a trovarsi in quella posizione, in quel luogo, in quel momento.
«Cazzo, Andrea» mormorava Duccio. «Ti amo. Ti amo così tanto. Ti amo, Andrea» ripeteva.
"Anche io ti amo" pensava Andrea. "Non riuscirei mai ad amare qualcuno più di quanto adesso io ami te." Ma non aveva le forze per dirglielo, anche se non capiva se la mancanza riguardasse la voce o il coraggio.
Fecero l'amore per tutto il resto del pomeriggio. Mai una volta il dubbio sulla moralità di ciò che stesse facendo ebbe l'occasione di sfiorare la mente di Andrea. Era inebriato dal sapore, dall'odore, dalla voce, dal tocco delle dita di Duccio. Era totalmente perso nei suoi occhi verdi, che parevano brillare appositamente per lui. Lo teneva stretto tra le sue gambe, avvolgendogli le spalle con entrambe le braccia; sembrava che avesse paura che Andrea potesse lasciarlo da un momento all'altro. Ma quell'idea non gli apparteneva, non in quel momento. Tra le lenzuola di Duccio aveva trovato un luogo sicuro e confortevole. Sapeva di essere amato, e sapeva di amarlo a sua volta. Cos'avrebbe mai potuto spezzare questo equilibrio?
Rimase a coccolare il suo amante, finché questi non si addormentò tra le sue braccia. Andrea si godette la sensazione, godendosi la sua tanto meritata pace, rimanendo a fissare la luce rossastra del tramonto che filtrava dalla serranda e si insinuava tra i capelli di Duccio.
Alla fine, decise di prendere il cellulare dal comodino. Commise il grosso sbaglio di disattivare la modalità aereo.
Dopo qualche istante, iniziarono ad affiorare decine di messaggi WhatsApp e avvisi di chiamate perse. Sette chiamate senza risposta da Marco, due da Dario - probabilmente sempre Marco, sotto copertura. Pietro gli aveva scritto: "dove sei finito?" e "rispondi a Marco, per favore". Dario chiedeva di Duccio come se temesse che qualcuno lo avesse rapito. Fortunatamente, almeno Jacopo si era fatto i cazzi suoi.
Mentre scorreva le notifiche, Andrea ricevette un nuovo messaggio da Astrocaph, scritto proprio in quel momento.
"Adesso ti arrivano i messaggi, allora sei vivo".
Andrea gli rispose, ignorando la trentina di insulti precedenti. "Sì, eccomi" e poi aggiunse uno: "scusami".
"Dove cazzo siete finiti?"
"Non preoccuparti, siamo a casa sua. Non è successo niente".
"E che cazzo avete fatto di così importante da non poter rispondere? Avete scopato?"
Probabilmente Marco era ironico. Eppure, Andrea si bloccò comunque.
La risposta era sì, avevano veramente scopato. Solo ora Andrea riusciva a idealizzare ciò che fosse accaduto e a convertirlo, lentamente, in realtà.
Chi era la persona addormentata che teneva stretta a sé? Perché era un uomo? Perché era un suo amico?
Aveva veramente consumato un rapporto carnale con un uomo? Aveva veramente raggiunto più di un orgasmo dentro il corpo di un uomo?
Aveva veramente guardato un uomo negli occhi e aveva pensato: "cazzo, quanto lo amo"?
Mille domande, mille "perché?". Andrea aveva preso a tremare. Lentamente, si allontanò da Duccio, terrorizzato dall'idea di svegliarlo. Si liberò dalle coperte e si mise a sedere sul bordo del letto, ignorando il suono delle notifiche. Marco era ritornato all'attacco.
Si odiava. Si odiava così forte da desiderare una lama da infilarsi da qualche parte, per potersi punire.
Era un fallimento come persona. Un fallimento in tutto.
Quante volte si era promesso di non cedere? Quante volte aveva giurato sulla sua stessa vita di non cadere mai in tentazione?
E invece aveva mandato a puttane ogni ideale, ogni posizione che credeva di aver preso. Aveva deciso di strappare via la sua vita per nulla.
I suoi genitori lo avrebbero odiato. I suoi amici lo avrebbero odiato. Tutto ciò per cui aveva lottato, tutto il rispetto che a fatica era riuscito a ottenere, sarebbe stato gettato al vento. Per cosa? Per un paio di occhi verdi e per delle labbra rosee, appartenenti a qualcuno che non avrebbe mai dovuto desiderare. E Andrea era stato talmente stupido da cascarci comunque, nonostante avesse ricordato a se stesso più volte che di donne con degli occhi e delle labbra simili al mondo ce ne fossero tante.
Senza neanche accorgersene, aveva cominciato a piangere. Era un inetto. Un debole. Un incoerente. Incapace di seguire gli schemi che si era prefissato.
Era riuscito a tradire la sua stessa fiducia. Aveva dato piena dimostrazione a se stesso di essere un deviato, un errore, un essere talmente inutile da non aver mai potuto comprendere se preferisse le donne oppure gli uomini. Si era confermato essere ciò che Andrea odiasse più al mondo.
Non poteva accettare di convivere con questa versione di sé. Doveva ucciderla.
Non era questo l'Andrea Locci che desiderava essere.
Fanculo.
Si asciugò gli occhi col dorso della mano. Raccolse silenziosamente i suoi vestiti sparsi sul pavimento e si rivestì. Prese tutto ciò che gli appartenesse e uscì da quella casa. Fece nuovi giuramenti, nonostante i precedenti non si fossero rivelati granché utili. Si impose di non ritrovarsi mai più in una situazione simile. Da allora in avanti, sarebbe cambiato. Avrebbe smesso di provare quegli stupidi sentimenti per Duccio. Stavolta, sarebbe guarito sul serio.
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piccolo & faster | solo x
Fanfiction"Sto solo con me, vedo il Super Io e l'Es fare a pezzi la mia identità, ma io chi sono? Sono me o loro? O non esisto?" au incentrata due membri dei bnkr44. scritta ironicamente, non è mia intenzione sessualizzare delle persone reali. è presente anc...