Come i Santoro

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"Come i Santoro!"
Questa frase ha cominciato a risuonare a casa mia nell'ottobre del 1969. Avevo otto anni e la disgrazia di frequentare la terza A della Scuola elementare "Giosuè Carducci" di Cerignola. La stessa classe che, ahimè, frequentava Italo Santoro, penultimo
virgulto di una delle più importanti famiglie cerignolesi. Quasi una dinastia, si potrebbe dire, che affondava le sue radici in un leggendario mercante medievale il quale aveva investito la sua fortuna comprandosi chilometri e chilometri di Basso Tavoliere e si era messo a fare il proprietario terriero. Uno che aveva visto lungo andando controcorrente in un'epoca in cui dalla terra si cercava di scappare perché c'era tutto un mondo da scoprire dopo i secoli bui...

Scusate, ho il brutto vizio di divagare e alla mia età si comincia a perdere il filo del discorso... Dicevo - ah, sì! - di Italo, penultimo rampollo dei Santoro di Cerignola. L'ultimo, almeno per quella generazione, era Rodolfo Santoro, che allora aveva sei anni e
frequentava la prima elementare, sezione "A" naturalmente, la medesima, per sua sventura, di mia sorella Matilde.

Papà era stato trasferito prima dell'estate: finalmente il Ministero aveva accettato la sua domanda e si era potuto portare la famiglia nel paese natale dopo dieci anni di peregrinazioni nell'alta Italia.
Già... pure noi siamo cerignolesi. E pure mio padre e mia madre avevano dovuto confrontarsi coi Santoro loro coetanei. A Cerignola è una specie di consuetudine. I Santoro primeggiano. In tutto. E per me e mia sorella ebbe inizio un lungo incubo.

«Sì, Mariano è bravo ma potrebbe impegnarsi di più, come Santoro per esempio» - spiegava a mia madre il maestro Cafasso. Lo stesso la povera mamma si sentiva ripetere dalla maestra di Matilde, solo che lì il Santoro di turno era Rodolfo.

Italo e Rodolfo - che portavano innocentemente i nomi di Balbo e Graziani, governatori della Libia nella quale il loro fascistissimo nonno aveva fatto il bello e il cattivo tempo - erano due bambini perfetti. Tanto per cominciare, erano belli. Ma proprio belli, con evidenti tracce di qualche antenato di Svevia che li facevano immediatamente distinguere da noialtri bambini del paese, in cui invece predominava il sangue greco o saraceno.

Poi erano bravi, ben vestiti, ben nutriti, gentili con i maestri e con gli altri adulti, con i loro fiocchi bianchi sempre perfettamente in ordine sul colletto inamidato, mai un richiamo, mai un appunto, sempre al primo banco, sempre e solo elogi per il loro comportamento.

«Ma perché non siete come i Santoro!» ci rimproverava disperata mia madre quando tornavamo io con un occhio nero e il grembiule strappato o Matilde con un brutto voto.

I Santoro erano il metro col quale le mamme cerignolesi misuravano i loro figlioli. Ed era un metro esageratamente sproporzionato per tutti noi. Non c'era partita.

Alle medie, stessa sezione e stessa storia, sia per me che per Matilde. Vi risparmio i dettagli. Quando si trattò di scegliere la scuola superiore, Italo aveva fatto intendere la sua volontà di frequentare il "Federico II", il locale Liceo scientifico. Sognava già di fare l'architetto, come poi fu. A me, destinato da mio padre al Liceo classico "Nicola Zingarelli", non sembrava vero di non averlo in classe per altri cinque anni. Invece la sua famiglia si impose: da quando nel 1893 era stato istituito il regio Ginnasio di Cerignola non c'era stato un Santoro che non lo avesse frequentato. E così fu anche per Italo. E dunque, di nuovo, anche i miei anni adolescenziali furono misurati, da genitori e insegnanti, col metro dei Santoro. Mentre faticavo col latino e col greco, e gli altri compagni con me, Italo sembrava non fare alcuno sforzo. Era come se avesse conosciuto da sempre quelle due lingue così complicate. Si favoleggiava che lui e Rodolfo avessero precettori di rango, ma nessuno li aveva mai visti. Di certo potevano godere di una certa indulgenza da parte dei professori. Con quella loro fama di ragazzi perfetti, con quella famiglia alle spalle, nessun docente si sarebbe mai azzardato a scendere sotto il "sette" anche con un compito con qualche errore di troppo. Ogni tanto i due Santoro approfittavano della situazione, anche se non ne avrebbero avuto bisogno perché erano davvero bravi.

Nessun difetto? Come no! Italo per esempio, e Rodolfo a ruota, era una vera carogna quando c'erano i compiti in classe. Poteva essere quello di latino, di greco, di matematica, di italiano... non l'ho mai visto passare un compito. E sì che glielo chiedevamo in tutte le maniere, disperati come eravamo. Non era nella loro natura. Erano incorruttibili. E così la maggior parte di noi passava le estati sui libri per cercare di recuperare le insufficienze nella sessione di riparazione mentre loro si davano a vacanze favolose in luoghi lontanissimi e costosi. E quando si tornava a scuola, coi loro resoconti vacanzieri ci facevano sentire così miserabili, noi che al massimo avevamo potuto strappare qualche giorno di mare a Zapponeta. Li detestavo...

Ci fu un periodo, verso il Settantotto, in cui Rodolfo cominciò a corteggiare Matilde, che a quindici anni si era fatta proprio bella. Dentro di me, tremavo. Correvo il serissimo pericolo di ritrovarmelo come cognato perché nessuna ragazza, in tutta la provincia, si sarebbe mai sognata di rifiutare un partito tanto prestigioso. Quando mi immaginavo come sarebbero potuti essere gli anni a venire sudavo freddo. No, sarei fuggito, non ce l'avrei fatta, avrei lasciato il paese per qualsiasi luogo del pianeta che fosse stato ad almeno 5.000 chilometri da Cerignola. Invece Matilde tenne duro, perché anche lei detestava i Santoro almeno quanto me. In quegli anni gli echi del femminismo erano giunti anche a Cerignola e Matilde rifiutava, cortese ma decisa, il corteggiamento di Rodolfo. Mia madre stava uscendo pazza. Le faceva delle scenate quotidiane cercando di farle capire quanto quella corte avrebbe potuto essere per lei provvidenziale. Matilde ostinata resisteva. Mio padre rimaneva neutrale in quella guerra di logoramento, ma gli altri parenti, fino ai più lontani prozii, erano tutti schierati con mia madre e le pressioni erano davvero insopportabili. «Non diventerò una Santoro! Mai!!!» urlava Matilde quando non ne poteva più... Poi, a fine maggio, ebbe un colpo di genio partecipando alla festa che la minuscola sezione radicale di Cerignola aveva organizzato per l'approvazione della legge 194. Lo scandalo fu enorme. Per quanto di rango inferiore, anche la mia famiglia faceva parte della buona borghesia del paese, tutta schierata con gli antiabortisti. Così i genitori di Rodolfo cominciarono a dissuaderlo dai suoi propositi e Matilde si salvò.

Dopo la maturità, finalmente, il mio destino cominciò a separarsi da quello di Italo. Finimmo tutti e due a Napoli per l'Università ma io mi ero iscritto a legge e lui, fedele al suo proposito giovanile, ad architettura. Due anni dopo lo raggiunse Rodolfo mentre Matilde scelse di studiare medicina a Bologna mettendo così qualche centinaio di chilometri tra lei e il "suo" Santoro.

A Napoli ogni tanto li incrociavo, elegantissimi e rampanti, a passeggio per via Chiaia o in qualche discoteca. Ci salutavamo cordialmente ma nulla di più: ormai avevo un altro giro, per fortuna. Mi capitò però anche lì di sentir parlare di loro, precisamente da una ragazza che frequentavo e che, quando le avevo detto di essere di Cerignola, mi aveva subito associato ai due fratelli - che aveva conosciuto - e inevitabilmente anche lei li aveva utilizzati come unità di misura nei miei confronti. Quando le sfuggì di bocca «Se tu fossi almeno un po' come i Santoro...» la nostra storia finì...

La faccio breve: la laurea, il concorso, la professione, la carriera prima a Viterbo, poi a Treviso... Dei Santoro sentii parlare sempre meno. Erano diventati tutti e due architetti e avevano aperto uno studio lussuoso nella via principale di Cerignola che cominciò subito - c'era da dubitarne? - a lavorare alla grande con appalti sempre più importanti. Dopo la morte di mio padre, era mia madre a tenermi aggiornato quando scendevo a trovarla. Poi, quando anche mia madre morì, non tornai più in paese e sui Santoro calò, finalmente, il silenzio.

La vita è strana... fa seguire alle persone percorsi indecifrabili, misteriosamente contorti... Quando ci fu, l'anno scorso, l'opportunitàdi un trasferimento a Foggia ne parlai con mia moglie. La sede non era proprio delle migliori ma le prospettive erano buone ed era un ulteriore passo in carriera. Così sono tornato nel Tavoliere. Ed era quasi naturale che, prima o poi, la mia strada sarebbe tornata a incrociarsi con quella dei Santoro... Ma chi avrebbe mai immaginato che sarebbe avvenuto in questo modo...
Allora, dovete sapere che...

«Presidente, mi scusi, siamo pronti. Tenga...»

«Grazie, Cancelliere. Accomodiamoci in aula e cominciamo.»

Scusate, il resto della storia ve lo racconto un altro giorno. Ora il dovere mi chiama.

«In nome del popolo italiano il Tribunale di Foggia, visto l'articolo 530 del Codice di procedura penale, dichiara Santoro Italo e Santoro Rodolfo colpevoli dei reati di cui agli articoli 322, 322 bis, 640 bis del Codice penale e li condanna ad anni quattro e mesi sei di reclusione.»

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