1• Come Dorian Gray

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«Ultima chiamata per il volo FR465 per Chicago.»

La voce metallica, proveniente dall'altoparlante, fece scattare in piedi l'uomo seduto alla mia destra nei tavolini del punto ristoro. Una serie di maledizioni sibilanti sfuggì dalle sue labbra mentre i suoi occhi, imbarazzati, incontravano i miei per la seconda volta. Con una rabbia contenuta afferrò delle salviette di carta, consapevole che sarebbero state inutili, nel tentativo vano di riparare alla macchia sulla sua camicia, immacolata fino a poco prima.

Gli sorrisi per rassicurarlo e sfoderai il sorriso più angelico del mio repertorio. Tranquillo tesoro, io e le imprecazioni siamo un tutt'uno.

I suoi occhi si fissarono su di me, sollevati, come se avesse incrociato lo sguardo di una madonna rinascimentale che lo assolveva dai suoi peccati più oscuri. Un rapido sorriso giocoso apparve sulle sue labbra, illuminando il suo volto nel modo più seducente possibile e subito dopo, senza indugi, si precipitò verso il suo gate.

Quanto è buffa la mente umana, pensai mentre mi dedicavo a spiluccare, annoiata, il croissant sul piattino davanti a me.
Integrale al miele, come sempre. Poi lasciai vagare lo sguardo tra la folla. Come formiche laboriose, ogni persona presente era intenta in qualcosa. Alcuni parlavano al telefono in toni sommessi, come se custodissero segreti inconfessabili, mentre altri si rifugiavano tra le pagine di un quotidiano. Sguardi nervosi, fissi sui polsi, testimoniavano l'impazienza e il desiderio di poter controllare lo scorrere del tempo. Nel frattempo una famiglia cercava di riportare all'ordine i loro bambini che si divertivano sul pavimento lucente, trasformato in una pista di pattinaggio per i loro giochi.

Fu in quel preciso istante che il mio sguardo incrociò il suo. I suoi occhi, dal colore intenso come l'ambra, erano fissi su di me e ci siamo trovati intrappolati in un incontro di sguardi magnetico. La bellezza di Dorian Gray. Una fitta di delusione mi attraversò quando osservai l'orologio e mi resi conto che erano in procinto di aprire i gate per l'imbarco per il mio volo. Quel breve istante di connessione, purtroppo, non avrebbe avuto un seguito.

Ero certa che quando lui sarebbe arrivato a destinazione, delle mani avrebbero accarezzato quei riccioli castani, e non sarebbero state le mie.

Con eleganza svitò il tappo di una bottiglia d'acqua e la portò alle labbra, sorseggiandola con una sensualità che mi provocava come un demone tentatore, senza mai distogliere lo sguardo dal mio. Una goccia percorse lasciva il contorno della sua mascella, scese verso il collo e si perse, assorbita dalla maglia che indossava.

Per un istante mi ritrovai a osservarlo da una prospettiva diversa. Lo analizzai mettendo da parte i sensi. Era consapevole del suo fascino e dell'effetto che aveva sulle donne. Di certo era abituato ad avere un seguito di ragazze innamorate, disposte ad adorarlo e a farsi calpestare come tappetini ai suoi piedi. Sorrisi al pensiero del suo ego ferito da me, come una dominatrice sui tacchi a spillo sottomette il suo schiavo.

Decisi di stare al gioco; in fondo dovevo pur passare quei minuti di noiosa attesa prima dell'imbarco. Con le mani strappai un piccolo pezzo di croissant sporcandomi, come previsto, le dita. Portai l'indice alla bocca e lo ripulii leccandolo senza mai distogliere lo sguardo dal suo. Per un momento mi parve di vederlo vacillare.

Tranquillo, ricciolino, tutto questo non avrà un seguito.

Finii con calma di mangiare e mi alzai con movimenti lenti e studiati, col suo sguardo sempre addosso. Lo sentivo che mi fissava e lasciava scorrere gli occhi sul culo mentre sistemavo la gonna che indossavo. Mi voltai e gli sorrisi, diabolica. Gli sfilai davanti, ondeggiando sui miei stivali, il cui tessuto mi sfregava il retro del ginocchio, tirando dietro di me l'inseparabile piccolo trolley rosso.

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