Che ore sono?

46 5 0
                                    

Sono le 2 di notte e sei stesa sul tuo letto.

Con gli occhi rivolti verso il soffitto, i tuoi capelli rossi si spalmano sul cuscino, aggregandosi a formare quella che sembra una corona di spine sulla tua testa.

Sei indecisa.
Non fa troppo freddo per la coperta, ma non fa neanche troppo caldo da voler stare senza.

Guazzando nella titubanza, decidi infine di celare il tuo corpo - che tanto non ti è mai piaciuto - dietro a quel tessuto. È morbido, sembra quasi una carezza. Non che tu sia familiare con le carezze, conosci meglio le botte.

Provi a chiudere gli occhi.

Inspiri.

Espiri.

Lentamente.

I tuoi polmoni ballano un valzer flemmatico, lento, romantico.

Il tuo cuore - percussione della colonna sonora della tua vita - si arrende a un meno veemente fragore, senza peccare di ritmo e intensità, in vista del bene ultimo - la tua temporanea inerzia rispetto al furioso concatenarsi di eventi che è la storia umana, collettiva ma anche individuale. Il vostro ristoro.

I tuoi arti, improvvisamente, sembrano immuni alla gravità. Inizi a fonderti col materasso, in un tacito amplesso di forma e dispercezione, di torpore e acquiescenza alla forma di tardità che il tuo essere sta prendendo.

Per qualche istante non pensi a niente.

Non pensi a tua mamma, non pensi alla tua professoressa di italiano alle medie, non pensi al tuo cane d'infanzia, non pensi a cosa dovrai cucinare domani, a quanti capitoli ti tocca studiare.

Se esiste una beatitudine, pensi, deve essere proprio questa.

Ti sbagli.

L'aria che inali, lentamente, inizia a lasciarti un retrogusto strano sul fondo della gola.
Al posto delle note di ammorbidente per capi delicati che usi ad ogni lavaggio, iniziano a farsi strada esalazioni mefitiche. Poco a poco, con una placidità esemplare.

Per i primi secondi sembra quasi andare a ritmo del valzer dei tuoi polmoni. Non ci vuole molto, però, prima che diventi alacre nelle sue intenzioni, celere nel suo decorso.

La tua presa di coscienza è tanto subitanea quanto amara.

Tu, quella puzza, la conosci bene.

È il tanfo che emanano tutte le cose che hai deciso di lasciare chiuse in qualche cassetto remoto delle tue reminiscenze, che, tuo malgrado, stanno iniziando a decomporsi. È il miasma dei cadaveri di chi sei stata, di chi saresti potuta diventare, di chi non hai voluto essere, di tutte le persone che - sempre e solo di passaggio - hanno calpestato il giardino di potenzialità, sogni e talenti di cui tanto hai provato a prenderti cura.
L'erba calpestata, diceva qualcuno, diventa sentiero. Per te, invece, è diventata superstrada verso l'autodistruzione.

Gli arti, improvvisamente, ti iniziano a formicolare. Stai tornando a prendere coscienza del tuo corpo. Sai di nuovo che esisti, stavolta in modo più inclemente. Senti ogni cellula del tuo corpo vibrare. È il tatto con le tue percezioni a crearti tutta questa nausea. Essere al mondo, in questo momento, ti dà il voltastomaco.

L'amplesso col tuo materasso diventa violenza carnale, la coperta è il tuo boia.

Vorresti liberartene, vorresti cambiare posizione, ma non riesci. Sei paralizzata.
Come un cervo davanti ai fari di un'auto che sta per investirlo, sei immobile.
Non riesci a muovere un solo singolo muscolo.

Il silenzio della tua camera da letto, intervallato da qualche istante di rumore che giunge a te sbieco, ovattato dal vetro, diventa un concerto di stridori dissonanti e voci cacofoniche che ti urlano contro.

L'ultima notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora