CAPITOLO 1

3 1 1
                                    

Jimin fece roteare il liquido scarlatto all'interno del calice perfettamente trasparente e prima di portarselo alle labbra, se lo portò all'altezza degli occhi e lo scrutò attentamente, senza però quasi vederlo.

Non avrebbe dovuto, lo sapeva fin troppo bene. Ci era già andato giù troppo pesante, ed erano anni che non faceva una stronzata del genere.

Ubriacarsi. Già il solo suono della parola gli faceva venire il voltastomaco.

Pensandoci, che bisogno c'era di fare una cosa del genere? Che piacere se ne traeva?

Assolutamente nessuno, e questo poteva dirlo con certezza.

C'era stato un periodo, risalente a parecchi decenni prima, in cui comportamenti del genere erano stati per lui all'ordine del giorno.

Ma era stato appunto molto tempo prima, quando la noia, lo sconforto, la depressione, la non voglia di vivere, tendevano ad avere una pessima influenza sulle sue azioni. Oppure, ancora prima, quando lo faceva solo perché lo facevano tutti gli altri.

A dirla breve: stupidaggini.

E, in teoria, lui avrebbe dovuto ormai essere abbastanza grande per capire che non c'era nessun bisogno di farla, quella deficientata.

Ma fra il dire il fare ci stava di mezzo quella sua stupida mano che gli stava portando il calice alle labbra.

-Che idiota.- imprecò posandolo sul tavolo con tanta violenza che il gambo gli si spaccò e il vino si rovesciò sul piano di legno pregiato ed intarsiato.

-Che imbecille.- ribadì prima di soffiare sul disastro, facendone così scomparire ogni traccia.

Appoggiando i palmi sul bordo del piano, si alzò e spinse, con le gambe, all'indietro la sedia su cui era stato seduto a bere probabilmente per ore. Perché era entrato lì dentro, poi, non se lo ricorda neppure più; probabilmente era con qualcuno, che chissà poi dov'era finito, probabilmente più vicino al bancone per poter ottenere più velocemente bevande alcoliche o cos'altro.

-Che squallore.- concluse l'Angelo imboccando la porta dell'osteria.

Però, data l'ebbrezza, era distratto e si dimenticò di chinarsi, cosicché le ali gli si incastrarono nello stipite superiore. Dopotutto, era ovvio: le sue ali erano rinomate in tutta la città per la loro bellezza, lucentezza, sofficità e, ovviamente, grandezza. Lui ne era sempre andato fiero, ma in quel frangente ci mancò poco che le maledicesse, dal momento che ogni decimo di secondo in più trascorso in quel locale faceva crescere in lui la tentazione di ritornare al tavolo, risedersi su quella sedia, chiamare l'oste perché gli portasse magari qualcosa di più forte del vino e rimanere lì fino a che le luci dell'alba non avessero iniziato a farsi largo nelle finestre.

Tirò un sospiro di sollievo quando fu finalmente fuori di lì e, nel mezzo di due radi filari di pini marittimi che ante-cedevano quella, era proprio il caso di dirlo, dannata porta, lo investì una leggera corrente d'aria fresca che gli scompigliò capelli e piume, oltre che dargli l'impressione di riuscire a ragionare con un minimo di lucidità.

Ma, evidentemente, era solo un'impressione.

Infatti, invece di andare a casa, coricarsi e dormire fino a mezzogiorno del giorno dopo come avrebbe dovuto fare chiunque, come lui, si fosse appena preso una notevole sbornia, decise bene di farsi una passeggiata nella parte esterna alla città, arrampicarsi su una delle innumerevoli collinette che erano lì presenti, sedersi sulla cima e lasciare che, mentre osservava le stelle, la brezza notturna gli scompigliasse i capelli.

Be', d'altronde si era preso una notevole sbornia e non ragionava per niente lucidamente, quindi la percentuale di possibilità che facesse qualcosa che avrebbe fatto qualcuno che ragionava lucidamente era molto bassa, più o meno pari a quella del caso.

You've reached the end of published parts.

⏰ Last updated: 5 days ago ⏰

Add this story to your Library to get notified about new parts!

Jimin 222Where stories live. Discover now