𝕷a guardò per qualche secondo, poi decise di avvicinarsi alla piccola figura in fondo alla stanza.
«Allora? Mangi o no? Che c'è? Fai la schizzinosa?» Le sventolò davanti agli occhi il braccio umano con fare impaziente:«Sì, è d'obitorio, e allora? Il sangue è un po' rappreso, ma nulla che non si possa mangiare.» Parve offesa dal comportamento della bionda, che allungava la mano flebile verso la carne e la portava alla bocca.
« Noi qui non cacciamo. Io, perlomeno, non lo faccio. Il signor Ackerman nemmeno.»
Quel nome, pronunciato dalla giovane con così tanto rispetto, fece spalancare le palpebre e sollevare le sopracciglia chiare di Ellen. Ackerman! Come aveva potuto essere così sciocca da finire nelle mani del nemico più temuto da suo fratello? Per tutti i sangui! I suoi occhi verdi iniziarono a guardare intorno a sé con una certa disperazione: Cosa le avrebbe fatto ora? torturata? Uccisa? prima l'una e poi l'altra? Il suo sguardo cadde sulla giovane, carico di risentimento.
«Mi spiace, signorina Yeager. Io seguo soltanto gli ordini di chi è sopra di me.» Le asciugò in maniera rude la guancia:«Non ti farò alcun male almeno che il signor Ackerman me lo comandi, e non credo lo farà.» La vide scostarsi per allontanarsi dal suo tocco, e distolse la mano.
Udirono dei passi leggeri, poi il silenzio. La giovane parve sussultare e schizzò via dalla prigionera, gettandosi davanti alla porta e mormorando un nome. Al suono della voce rude, prese a accendere le candele intorno a lei, proiettando l'ombra di un uomo sul muro.
Ellen tremò. L'ombra rendeva la figura signor Ackerman, del quale ignorava il volto, sempre più imponente e funesta. Lo sentì avvicinarsi a lei finché non fu illuminato dalla luce della candela. Con sua sorpresa, si rivelò essere un ometto non sopra al metro e sessanta, con le braccia incrociate e lo sguardo puntato su di lei:« E' questa, allora Cosette?»
'Cosette' annuì frettolosamente, ponendosi dietro a colui che sembrava trattare come un padrone. L'uomo invece si avvicinò:«Bella merda in cui ti sei cacciata. Tuo fratello non sarà affatto contento.» Fece cenno a Cosette di liberarla, cosa che lei face immediatamente, aiutandola ad alzarsi in piedi.
«Mettile uno dei tuoi vestiti, rendila decorosa. Mostrale la tua stanza, poi vieni nella mia.» Con quest'ultimo ordine sparì nel nulla come era comparso.
La giovane prese Ellen sotto le spalle e si assicurò che le sue gambe pallide la sorreggessero, poi la condusse fuori da quella che pareva essere la cantina. Camminarono velocemente per i corridoi stretti della casa, con la carta da parati strappata in alcuni punti, i quadri appesi senza alcun equilibrio e i mobili scuri non più recenti del XIX secolo. Era più trasandata di casa Yeager, ma non per questo più piccola. Tutte le finestre erano sigillate con delle assi di legno martellate dall' esterno, poi coperte con lunghe tende simili a quelle di un letto a baldacchino.
<<Questa è la stanza.>> Le annunciò, spingendo la porta scrostata e cigolante per rivelare una sottospecie di ripostiglio semibuio con un letto e un armadio. Ellen sussultò: avrebbe potuto giurare di aver visto un topo schizzare da sotto il letto e fiondarsi in uno dei buchi nel muro. Nella sua mente comparvero l'immagine delle assi del letto consumate dalle termiti e i vestiti ridotti a brandelli.
<<Fai come se fosse casa tua. Puoi andare dove vuoi, a patto che sia l'ala est. - Cosette estrasse un baule non più largo di un metro - E non toccare questo.>> Fece girare una chiave nel lucchetto metallico, producendo un suono spiacevole. Si avvicinò poi all' armadio:<<Sei una di quelli?>>
<<Come?>>
<<Sei piccola. Sei una di quelli che cambia età?>> Sollevò un sopracciglio, estraendo un vestito blu scuro e bianco. Non ricevendo risposta, sospirò e le dette una cintura di raso:<<Se è grande stringilo in vita.>> Stese con cura la veste sul letto, poi lasciò la stanza, chiudendo la porta. Ellen fece per voltarsi per ricevere altre spiegazioni, ma udì lo scatto di un' altra chiave.
Sì guardò intorno, non trovando abbastanza coraggio per sedersi sul letto. Si prese il capo tra le mani, lasciando che i riccioli biondie scendessero sul viso. Perché aveva disubbidito a suo fratello, lasciando il giardino con una sconosciuta? Si pentiva di averlo considerato troppo protettivo o petulante, si pentiva di aver lasciato il giardino solo per attrarre a sé l'attenzione che lui non le rivolgeva mai, se non per un monito o un comando.
Dopo qualche minuto e lacrima asciugata con le mani diafane, udì dei passi verso la stanza non troppo lontana da quella in cui si trovava. L'udito di vampiro che si rispettasse non aveva alcuna difficoltà ad attraversare qualche muro o due, e la casa pareva essere stata costruita per degli umani. C'erano due persone, presumibilmente una di esse seduta su uno dei letti cigolanti che sembravano essere tipici della casa, l'altra in piedi e scalpicciante.
<<Quindi è una bambina? Abbiamo rapito una bimbetta?>>
<<No... Cioè, non lo so, Levi. Ma che differenza fa? Sarà in vita almeno da trecento anni.>>
Levi... Allora era questo il nome del signor Ackerman? E perché Cosette sembrava essergli tanto sottomessa, ma lo chiamava per nome?
<<Che significa? Io solo da ottocento. Non siamo tutti come te. Non abbiamo visto tutti la nascita di Nostro Signore.>>
<<Ti ripeto che ero in Gallia, a quel tempo. In Palestina non ho mai messo piede.>>
<<Era solo un modo di dire.>> Lo udì sospirare e alzarsi:<<Tutti questi millenni e non hai ancora acquisito certe basi della conversazione.>>
Dalle sue parole, il signor Ackerman non pareva affatto indulgente o gentile. Non fu sorpresa dal fatto che suo fratello lo odiasse con una passione così grande. Dopo ciò che era successo ad Eren, che si era tolto la vita solo perché si era innamorato di una rivale...! No, dovevano averci messo la propria zampa gli Ackerman. Strinse i pugni: se Mikasa fosse tornata nella casa in cui si trovava, giurò che non le avrebbe rivolto parola. Cosa poteva fare del resto, una prigioniera come lei?
<<Non la ucciderai comunque, vero? Anche se Zeke dovesse...?>> La voce di Cosette parve assumere un tono di preghiera.
<<No. Deve rimanere viva e vegeta, con tutti i capelli in testa.>> La voce profonda la rassicurò per un momento:<<Domani ho intenzione di parlarle, fai in modo che sia disposta.>>
<<Certamente.>>
Udì l'uomo fare un passo avanti, poi indietro:<<Riguardo... Alla promessa che ti ho fatto... Temo dovrai attendere, Cosette. A meno che tu non voglia lasciarla nelle mani di Kenny, perché io non ne ho la minima intenzione.>>
L'altra non parve contraddirlo. Ellen udì la porta aprirsi e realizzò di non essersi cambiata come le era stato comandato. Si gettò la veste addosso, cercando di spianare alla meglio le gale e annodare bene i fiocchi. Lasciò sul lenzuolo la cintura di raso e si voltò di scatto all' entrata di Cosette, che si limitò a guardarla con uno sguardo indescrivibile, stringendo i lembi della propria gonna.
<<Non... Non c'è stato bisogno della cintura.>> La informò con quello che pareva un mezzo sorriso d'indulgenza, cercando di decifrare la sua espressione criptica.
<<Vedo.>> Si limitò a dire, lanciando un occhiata all' orologio polveroso fuori dalla stanza:<< Qui non abbiamo le bare, mi spiace. Prova a coprirti il viso con le coperte. Io cercherò di non fare rumore.>>
La bionda fece scorrere di nuovo i suoi occhi smeraldo intorno alla stanza:<<C'è solo un letto...>>
<<Io sarò qui fuori, signorina Yeager. Non si alzi durante il giorno, o rischierà di calpestarmi.>> Detto questo, richiuse di nuovo la porta senza altre spiegazioni, rassicurazioni o quantomeno razionalità.
Ellen non dormì affatto durante il giorno.
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