NON È MAI TROPPO TARDI PER UN INFANZIA FELICE.
A bordo della sua Kawasaki, fermo al passaggio al livello, Enrico vedeva tutti i giorni quella scritta sul muro, al mattino quando partiva e alla sera, mentre rincasava. Le parole scritte con uno spray rosa porpora risaltavano sullo sfondo giallo sbiadito della vecchia stazione.
Voleva tanto poter credere a quella frase. Non per lui, è chiaro. Non nutriva alcuna nostalgia per i tempi andati. Era per sua figlia Sonia. La notte lei era sveglia e la sentiva agitarsi nella sua stanza. Urlava forte, urlava a qualcuno di andarsene via, di lasciarla in pace, ma quando i genitori accorrevano per vedere cosa tormentasse la bambina non videro altri che lei, seduta nel lettino con le ginocchia raccolte al petto, che abbracciava il suo cuscino, in preda all'agonia. Mani e piedi tremavano e nel suo viso si leggeva un'espressione di profonda paura.
All'inizio pensavano si trattasse solo di brutti sogni. Ma episodi come questo, non di rado, si ripetevano in pieno giorno. Come la volta della gita allo zoo, nella quale in mezzo alla baraonda di passanti si era rannicchiata a terra, a urlare, la testa tra le mani.
"Lasciami stare! Perché io?! Perché hai scelto me?! Vattene via!"
E una folla di persone si era radunata attorno a lei, in cerchio, a osservare una bambina strillare per conto suo.
"Tesoro, cosa stai facendo? Non c'è nessuno!"
Maddalena, sua madre, si era fatta largo a gomitate tra la folla che mormorava frasi confuse, la prese sottobraccio e la portò a prendere un gelato. Dopo qualche minuto riuscì a farla calmare.
Al ricordo di quegli eventi le sbarre si alzarono e la Kawasaki rossa di Enrico rombò muovendosi agile tra le strette vie del paesino campagnolo. Sollevò un polverone procedendo per un angusto sentiero in ghiaino che separava la periferia del paese dalla sua abitazione. Si fermò arrivando all'ultima casa in fondo, dove oltre c'erano solo campi di granturco. Parcheggiò la Kawasaki accanto alla Renault grigia della moglie, sotto una tettoia in legno che Enrico stesso aveva costruito, quando ancora gestiva la piccola falegnameria di famiglia assieme al padre. Purtroppo la 'falegnameria da Fabio e figli' – così si chiamava – lottava tutti gli anni per sbarcare il lunario e, con la nascita di nuovi colossi dell'arredamento che potevano contare su innovativi sistemi per velocizzare il processo di produzione e distribuzione, fu costretta a chiudere i battenti, dopo oltre quarant'anni di attività. Per Enrico gli anni novanta furono un terribile periodo a livello finanziario. Non aveva idea di come avrebbe fatto a pagare la prossima rata d'affitto di quel minuscolo monolocale in cui viveva. E poi un giorno ricevette una telefonata da suo padre.
"Non ti preoccupare per me Enri" gli disse dopo i soliti convenevoli. "Tra un paio di mesi io me ne andrò in pensione e riuscirò a vivere più che
dignitosamente. Dobbiamo pensare a salvare il tuo culo adesso."
Lo raccomandò a un suo vecchio compagno di scuola che gestiva un acciaieria nella zona industriale del paese. Dopo un veloce colloquio, Enrico venne assunto e così, passando le giornate a sollevare pesanti lastre d'acciaio per metterle in una calda fornace dove venivano trattate, riuscì finalmente a estinguere i suoi debiti.
Una domenica d'estate conobbe Maddalena, all'epoca un'allegra ragazza dai vispi capelli rossi e profondi occhi azzurro cielo. Era con due dei suoi migliori amici al bar della spiaggia, quando la vide svenire per un colpo di calore. Velocissimo si precipitò subito a soccorrerla, la afferrò prima che il suo capo battesse contro la passerella in cemento che si affacciava alla spiaggia. I suoi amici le tenevano alte le gambe, mentre lui le asciugava la fronte con un panno bagnato.
"Stai bene?" le chiese vedendola aprire gli occhi.
"Ora sì, molto. Grazie per quello che hai fatto" rispose lei con un filo di voce. Tra i due ci fu uno scambio di sguardi molto intenso. Dopo un quarto d'ora Maddalena tornò da Enrico con un foglietto rosa piegato tra le mani.
"Un messaggio per il mio salvatore. Chiamami qualche volta" disse con un sorriso raggiante e lui la guardò ammaliato mentre raggiungeva le amiche. All'interno del foglietto c'era un numero di telefono con un cuoricino finale e sotto scritto il nome Maddalena.
Da quel giorno uscirono assieme sempre più spesso, si sposarono dopo diversi anni di convivenza ed ebbero due figlie: Teresa, la maggiore e Sonia, la minore.
Enrico entrò in cucina dove la moglie e le figlie lo stavano già aspettando a tavola per la cena. L'odore del polpettone e delle patate al forno aleggiava sovrano in cucina.
"Sembra squisito" disse lui sedendosi.
"Il polpettone di mamma è sempre ottimo. Ti conviene dire così se non vuoi passare le notti sul divano. Lo sai quanto ci tiene ad essere una buona cuoca, no?"
"Teresa, guarda che ti sento!"
Sonia abozzò un sorriso divertito. Maddalena, che si stava lavando le mani unte di olio del polpettone, si sedette anche lei a tavola. Ora tutta la famiglia era riunita per cena.
"Di che avete parlato oggi a scuola?" chiese Enrico rivolto alle sue due figlie.
"Oh beh... un po' di matematica, storia, i babilonesi, gli egizi... cose noiose insomma."
Teresa frequentava la seconda liceo e per lei lo studio e la noia erano la medesima cosa. Non le importava la materia e quale argomento, lo avrebbe sempre trovato noioso. Così era e così sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni il suo approccio allo studio: incredibilmente noioso.
"Abbiamo parlato di Dio" disse la piccola Sonia.
"Padre Giorgio è venuto da noi dal convento e ci ha chiesto di definire chi è Dio secondo noi."
"E chi è Dio per te?"
Dopo qualche secondo di silenzio pensoso Sonia azzardò con voce timida la sua ipotesi.
"Nessuno... io non gli credo... io non credo in Dio."
Il padre, che si stava portando in bocca un pezzo di carne, si bloccò fissando Sonia con occhi sgranati. Anche Maddalena, che rimase incredula, voltò di scatto lo sguardo verso la figlia. I genitori si aspettavano una risposta diversa da quella che aveva dato Sonia. Un 'non lo so', oppure un classico 'Dio è dentro di noi' sarebbe stato accettabile in una famiglia cattolica. Ma una risposta così secca e concreta data da una bambina di dieci anni li aveva lasciati sgomenti.
"Come sarebbe tesoro? E secondo te chi ha creato tutto? L'universo, la natura, gli animali, le piante..."
"Sono nati e basta, così come sono nata io. È stato un puro incidente. Come posso credere in un Dio che permetta la guerra? Che permetta la sofferenza? Che crei persone menomate e le faccia vivere normalmente tra noi? Come può un Dio creare un mondo ingiusto dove ci sono persone che muoiono di fame ogni giorno, mentre chi è ricco non muove un dito per aiutarle? Che mi dici delle persone malate, loro non meritano una vita migliore?
Come può un Dio restare indifferente di fronte alle tante disgrazie che accadono in questo mondo?"
Maddalena la guardò con amore e un velo di preoccupazione, i suoi occhi erano lucidi.
"Tesoro, io non la so la risposta a tante delle tue domande. Ma sei sicura che tutta la tua vita sia uno sbaglio, un 'incidente' come lo chiami tu? Magari non hai considerato che Dio ha i suoi piani..."
"Dio non esiste" la voce di Sonia si fece sommessa "e io non sono sua figlia. E se ci fosse un Dio, lui non avrebbe spazio per me."
"Smettila, non dire queste cose!"
"Sonia" fece il padre "chi ti ha detto questa cosa? Chi ti ha detto che Dio non ha spazio per te?"
La bambina chinò il capo verso terra, sotto la tavola le mani tremavano fredde, lo sguardo perso nel vuoto. Il suo labbro superiore si alzò mostrando i piccoli denti bianchi.
"L'uomo cattivo che c'è nella mia stanza."
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La killer di 10 anni
HorrorSonia è affetta da una grave malattia mentale che non le permette di socializzare e relazionarsi con i suoi coetanei. Voci nella sua testa la minacciano, le dicono di fare cose orribili, impensabili per una bambina di dieci anni. Giorno e notte cont...