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ILYAS

Quattordici anni prima.

𝓕in da piccolo, amava far ridere la gente, vedere le loro labbra incurvarsi in un sorriso gli riempiva il cuore di gioia. Sua madre, però, di rado l'aveva vista felice; le uniche volte in cui sembrava serena erano quando il papà del bambino tornava a casa sano e salvo da luoghi che preferiva mantenere segreti.

Ilyas si era chiesto talvolta che lavoro bizzarro dovesse fare suo padre viste le continue assenze prolungate da casa, ma nessuno gli aveva mai dato una risposta completa. I suoi genitori tendevano infatti a deviare il discorso non appena lui iniziava a fare domande a riguardo. Era così raro vedere suo papà che ricordava a stento com'era fatto.

Ma ora che ce lo aveva davanti, tornato dopo lunghi mesi, (o forse anni? Ilyas aveva perso la cognizione del tempo), il cuore prese a battergli più veloce del normale. Osservò in silenzio la figura alta e robusta che si stagliava sulla soglia di casa. Il viso di suo padre era privo di rughe, al contrario della maggior parte degli uomini che vedeva di solito al mercato. Gli occhi erano di un bruno scuro, così come i capelli, che teneva legati in un piccolo codino sulla testa.

«Joe!» urlò incredula la madre di Ilyas, senza esitare a lanciarsi tra le braccia di suo marito. Quest'ultimo sollevò la moglie e la fece girare in aria, ridendo. Quando sorrideva, notò il bambino, le sopracciglia folte si incurvavano all'insù e sulle guance, nascoste in parte dalla barba, apparivano due fossette uguali alle sue.

«Oh, Sophye, solo gli Dei sanno quanto mi sei mancata». «Sei stato via fin troppo tempo» lo rimproverò lei, dandogli un lieve pugno sul petto. Joe le cinse la vita e la attirò a sé con forza.

«Ora sono qui». Asciugò con il pollice le lacrime che continuavano a scorrere sul viso di Sophye. «Spero per me che queste siano lacrime di gioia» disse l'uomo, tirando le labbra in un sorriso. Sua moglie annuì più volte.

«Non ero sicura che...»

«Tornassi? Non ti nascondo che ho rischiato la vita contro un fae durante il mio viaggio a Mytara. Queste creature sono selvagge, ma come vedi, sono tornato intero» affermò ammiccando. Il bambino trattenne il respiro.

"I fae devono fare paura" pensò. In realtà non aveva la minima idea di che aspetto avessero, ma era abbastanza sicuro del fatto che fossero creature magiche, e sua madre gli aveva insegnato che chiunque possedesse la magia era pericoloso.

Sophye inclinò la testa all'indietro ed emise un piccolo sospiro di sollievo, seguito da una risata melodiosa, la più bella che Ilyas avesse mai ascoltato. Era come se quel suono irradiasse la stanza di una luce nuova, colmando ogni angolo di calore e serenità. Il bambino chiuse gli occhi e sorrise a sua volta, assaporando ogni istante di quella risata.

«Sono troppo sollevata che tu sia ancora vivo per riuscire ad arrabbiarmi» ammise la donna. Joe, però, rimase stranamente in silenzio. Ilyas riaprì gli occhi di scatto e si accorse che i suoi genitori lo stavano fissando con aria sconcertata.

«Ciao papà» si costrinse a pronunciare. Il padre si avvicinò al figlio con occhi sgranati.

«Sei cresciuto parecchio, eh? Sei alto quasi quanto tua madre ormai» notò, cercando di sembrare interessato. Sophye fece un cenno con le mani al bambino per incoraggiarlo a proseguire la conversazione. «Ehm, com'è andato il lavoro?» domandò Ilyas, grattandosi la testa con fare pensieroso. D'un tratto provò un improvviso interesse per le punte delle sue scarpe.

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