01.Tabacco e vaniglia

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𝐀𝐋𝐄𝐂
New York, 15 novembre

ERO NATO per giocare a basket.
Ancora prima di avere un nome, i miei genitori avevano già deciso quale sarebbe stato il mio futuro.

Non importava come, quando o perché; l'unica cosa che contava davvero era che io diventassi qualcuno e che fossi degno di portare il cognome che mio padre aveva tramandato.

Daniel North, stella indiscussa dei Dallas Mavericks dal 1997.
Nove anni di gloria, lealtà da parte dei tifosi e di tutto lo stato del Texas.
Il cavallo d'oro.
Colui che nel 2006 aveva portato la squadra alla finale di campionato per la prima volta dalla sua fondazione.

A soli cinque anni avevo già iniziato a palleggiare nel cortile di casa sotto la sua ala.
A sette facevo parte della squadra del collegio privato che frequentavo e a dieci ero stato selezionato come capitano.
Che fosse dovuto al nepotismo dilagante era un'opzione plausibile, ma mai del tutto confermata.

Non c'erano mai stati dubbi sull'università o sul mio futuro; studiare alla Baylor University e giocare a pallacanestro per la loro squadra era il regalo più grande che avessi potuto fare ai miei genitori.

Era andato tutto secondo i piani.
L'esperimento di laboratorio alla quale avevano minuziosamente lavorato era uscito alla perfezione.

All'età di venticinque anni avrei firmato per il terzo anno di fila il contratto con i Brooklyn Nets, indossando ancora una volta la divisa nera e il mio dannato ottantanove sulla schiena.

Era filato tutto liscio come l'olio.
Alec North, figlio del leggendario Daniel North, si stava rivelando degno del nome che portava.

Eppure, quel cognome del cazzo pesava sulla mia schiena più di ogni altra cosa.

«Tanti auguri, campione!»
Urlò l'ennesima voce senza volto al mio passaggio.
Alzai una mano in aria in segno di gratitudine, proseguendo indifferente tra la calca.

Non sapevo di chi si trattasse, tanto meno del perché fosse presente alla mia festa di compleanno.
Era stata solo una voce in mezzo alla confusione generale, la mattina dopo il mio appartamento sarebbe tornato vuoto e silenzioso.

Le luci stroboscopiche illuminavano le pareti mentre la musica veniva pompata alla massima potenza attraverso le casse.
Sentivo l'alcol scorrermi nelle vene e il cuore rincorrere un ritmo insostenibile.

Il corpo mi vibrava e io mi sentivo maledettamente vivo.

L'alcol in corpo aiutava più del dovuto.

«North, dove stai andando? Siamo solo al secondo tempo!»
Henry si sporse dal grande divano in pelle, richiamandomi alla postazione gioco.

Luke aveva abbandonato la partita per riportare a casa la fidanzata, mentre Evan era sparito quasi mezz'ora prima quando non aveva più visto tornare Kathlyn fottutissima Hall dal bagno.

«Devo pisciare! Puoi cavartela da solo»

Festeggiavo venticinque anni, ma mi ritrovavo a fare da babysitter a quattro ragazzi poco più che ventenni.
Da quando ero diventato il nonno della squadra?

Si, c'erano sempre Evan, Luke, Simon o Knight, ma come detto prima, nessuno di essi aveva resistito alla mia destra per più di due secondi.
I primi due avevano rubato l'aria delle loro ragazze tutta la sera, gli ultimi due non si erano nemmeno presentati alla mia terza festa di compleanno.

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