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Testa. Cuore. Mentalità.
Testa. Cuore. Mentalità.
Nella testa di Alessandro vi erano solo queste tre parole, in loop.
Camminava avanti e indietro nello spogliatoio della sua squadra, provando a recuperare la concentrazione utile per giocare una delle partite più importanti della sua carriera.
Vero è che, vista la giovane età, di traguardi ne aveva già raggiunti parecchi.
Ma adesso si trovava di fronte all'ennesimo sogno di una vita: una finale olimpica.
E questa, per lui, non era una finale come le altre.
Lui e la squadra avrebbero giocato una delle partite più importanti della loro vita contro gli Stati Uniti.
E all'ansia di dover affrontare una squadra così forte, si era aggiunto il fatto che proprio in questa squadra giocava l'ormai non più suo, Matt Anderson.

Si erano incontrati per la prima volta un paio d'anni prima, tra gli spogliatoi di un torneo internazionale al quale entrambe le loro squadre avevano partecipato.
Alessandro, all'epoca quasi ventenne, era sempre stato un grande ammiratore del giocatore maggiore che, all'alba dei suoi 34 anni, aveva già molta esperienza alle spalle. E per il ragazzo fu un onore quando il maggiore si presentò dicendogli che lo aveva visto in campo e ammirava molto il suo gioco.
Poi successe che una sera si incontrarono in un locale, fuori dal campo di gioco, entrambi con le rispettive squadre.
Fu Matt ad avvicinarsi per primo, salutò tutti e poi chiese a lui di allontanarsi insieme per bere qualcosa.
"Posso offrirti da bere?" Gli aveva chiesto, e Alessandro aveva annuito semplicemente, incapace di dire qualsiasi cosa.
Un paio di drink dopo, anche il giovane aveva iniziato a rilassarsi. Si erano nel frattempo accomodati su un divanetto un po' appartato per parlare con più tranquillità. E, spinto forse dalla quantità di alcol in corpo, aveva abbandonato ogni freno inibitore.
"Ti sta molto bene questa camicia" e glielo aveva detto allungando una mano e toccando delicatamente i bottoni all'altezza dello stomaco, salendo piano.
Una mano di Matt si era bloccata sulla sua prima che potesse arrivare alla porzione di pelle scoperta del suo collo.
"Non qui, vieni con me" lo aveva preso per mano e se lo era tirato dietro, verso i bagni del locale dove, una volta entrati, si era avventato sulle labbra del più piccolo che, eccitato quanto lui, lo aveva accolto immediatamente.
Fu lì che si consumò il loro primo rapporto, il primo di tanti.
Per i successivi otto mesi, si erano visti dove e quando potevano.
Era capitato che Matt raggiungesse Alessandro dopo i suoi allenamenti, cenavano con qualcosa al volo e poi si chiudevano in qualche camera d'hotel, che diventava complice del consumo di quella passione segreta e travolgente.
Oppure, era Alessandro a raggiungere il maggiore, prendendo un aereo ogni volta che ne aveva la possibilità per passare insieme anche solo una giornata, lontani sempre da occhi indiscreti.
Era difficile, certo, ma erano felici. Entrambi.
Fu quando la stampa iniziò a sospettare, che l'atteggiamento di Matt cambiò repentinamente. Bastò un solo articolo nel quale veniva accennata ad una simpatia tra i due, per buttare all'aria tutto.
All'improvviso, nel loro rapporto, ci fu il gelo.
Gli incontri iniziarono ad essere sempre più rari, fino a finire del tutto.
E Alessandro soffrì tanto questa cosa, perché con Matt non ne aveva parlato.
Non si erano confrontati, non avevano provato a trovare una soluzione insieme. Il minore era a conoscenza del fatto che la loro era una situazione delicata, che nel mondo dello sport non era così facile dichiarare di essere omosessuale, ancor più difficile era dichiarare di avere una relazione con un compagno. Però sperava di aver raggiunto con l'altro un'intesa ed una complicità tali da poterne parlare, per valutare insieme. Aveva quindi provato a chiamarlo, a scrivergli. Ma Matt, troppo spaventato, aveva deciso per entrambi e si era semplicemente allontanato, mollandolo da solo.

Ed ora, dopo un anno e mezzo, ad Alessandro toccava non solo rivederlo ma addirittura sfidarlo in una competizione così importante come una finale olimpica.
Fu Daniele, suo compagno di squadra ed importante amico nella vita, ad avvicinarsi a lui e a fermarlo, posandogli una mano sulla spalla.
"Ale fermati, manca poco ci fai il buco qui in terra. Che c'è? Sei in ansia?" usò un tono dolce, che fece sorridere Alessandro.
"Un po' Dani, ma ci sta. È lui che non so come affrontare" non gli servì fare alcun tipo di nome, Daniele era a conoscenza di tutta la loro storia e capì da solo.
"Lui non lo devi affrontare, immagina di avere di fronte un giocatore come un altro da battere. Fine, non ti far distrarre e non pensare troppo. Svuota la testa e andiamo a prenderci questa medaglia"
Lo abbracciò velocemente e lo guidò dagli altri, per fare il loro ingresso in campo.
Il boato del pubblico che li accolse diede ad Alessandro la giusta dose di adrenalina di cui aveva bisogno.
L'altra squadra era già posizionata dall'altra parte della rete, ma il ragazzo fece attenzione a non guardare troppo di là.
In mezzo a mille paia di occhi, sentiva uno sguardo in particolare bruciare su di sè.
Ma, molto saggiamente, lo ignorò, caricandosi con i suoi compagni e mantenendo la concentrazione.

La partita iniziò e l'Italia subì molto, almeno all'inizio, arrivando a perdere il primo set con un paio di punti di scarto.
L'allenatore li spronò a dare il massimo, ma a poco servì perché anche il secondo set andò a favore degli americani.
Fu durante l'attesa di un servizio, che Alessandro buttò lo sguardo di là e trovò quello gemello di Matt che già lo stava guardando.
Alzò leggermente le labbra, in un sorriso quasi impercettibile, e il cuore di Alessandro prese a battere più velocemente nel suo petto.
Chiuse gli occhi per un attimo e trasformò questa forte emozione in forza che neanche sapeva di avere.
Iniziò a fare un punto dopo l'altro, schiacciando nell'altra metà campo con una potenza quasi sovrumana, tra l'euforia dei suoi compagni di squadra che fecero completo affidamento su di lui.
Ma purtroppo non bastò questo, perché gli americani ebbero la meglio anche in questo ultimo set, aggiudicandosi la vittoria del match e quindi la tanto desiderata medaglia di bronzo.

E, mentre la squadra vincitrice si godeva cori ed applausi, tra i ragazzi dell'italvolley si respirava tristezza, dispiacere, rammarico.
Si consolarono a vicenda, alcuni si lasciarono andare ad un pianto per sfogare lo stress accumulato.
Alessandro si buttò a terra e si coprì gli occhi con la maglia, e ancora una volta fu Daniele a tirarlo su.
Si avvicinò a lui, lo abbracciò e poi lo incitò ad alzarsi per andare a salutare gli avversari sotto rete.
E forse, per Alessandro, questa era la cosa ancora più difficile da fare.
In fila dietro ai suoi compagni, tenendo lo sguardo basso, diede distrattamente il cinque ad ogni componente della squadra avversaria.
Ma quando la sua mano ne incontrò una che conosceva fin troppo bene, una scarica elettrica percorse la sua spina dorsale e alzò gli occhi, incontrando dall'altra parte quelli di Matt che lo guardavano attentamente.
Fece per andare avanti, ma il maggiore lo trattenne, tirandolo un po' per avvicinarlo a se.
Matt non mollò la sua mano e se la portò sul fianco, portando poi le sue sui fianchi del minore, che aveva improvvisamente smesso di respirare.
Si avvicinò con le labbra al suo orecchio.
"Sei stato bravo, hai fatto un'ottima partita, mi dispiace molto per il risultato"
Alessandro non emise un suono, così Matt continuò.
"Mi manchi sai? Ti ho pensato tanto, ti penso sempre tanto. Vediamoci, per favore, ho bisogno di parlarti e ho bisogno di te."
Alessandro si allontanò quanto bastava per guardarlo negli occhi. Il suo sguardo era sincero e dispiaciuto, e gli venne da sorridere.
Fu lui a quel punto ad avvicinare le labbra all'orecchio del maggiore.
"Raggiungimi dopo, ti scrivo" glielo sussurrò, dopodiché allontanò le mani e proseguì a salutare gli altri.

Un paio d'ore più tardi, Matt si trovava nella sezione del villaggio olimpico dedicata alla nazionale italiana, silenziosa a quell'ora della notte, di fronte alla porta della stanza di Alessandro, che il giovane gli aveva indicato per messaggio.
Bussò lievemente e la porta fu aperta poco dopo dall'altro proprietario della stanza, Daniele, che lo salutò e lo fece entrare per poi uscire, lasciando ai due ragazzi un po' di privacy.
Matt fece un paio di passi al suo interno, e trovò Alessandro seduto sul letto a gambe incrociate.
"Ciao" disse titubante.
"Ciao, vieni accomodati" Alessandro diede un paio di colpi sul letto di fronte a lui e Matt non se lo fece ripetere due volte.
Si sedette e rivolse la sua attenzione al ragazzo che, con la testa bassa, era intento a giocare con le sue dita. Matt lo osservò in silenzio.
Poco dopo si fece coraggio e prese una delle due mani del minore tra le sue, interrompendo il suo gioco.
Alessandro alzò lo sguardo e lo incatenò al suo.
Le loro dita si intrecciarono automaticamente, e ad entrambi venne da sorridere.
Anche le altre due mani si agganciarono immediatamente, come se non si fossero mai perse. E non ci fu bisogno di tante parole, a Matt bastò allungarsi leggermente in avanti per trovare immediatamente le labbra del minore.
Fu un bacio disperato, un bacio pregno di scuse, di mi dispiace non detti, di orgoglio e di tanto amore da condividere.
E non parlarono nemmeno per le successive due ore, in cui i loro corpi si toccarono, si incastrarono e si amarono tanto, per recuperare tutto il tempo perso.

Che tanto loro due avevano sempre comunicato ogni cosa con gli sguardi.
E quella sera, i loro sguardi parlavano chiaro.
Mi sei mancato, mi manchi, e ti amo.
Mi sei mancato, mi manchi, ti amo e scusa se me ne sono andato. Sono pronto a non vivere più nell'ombra, perché io con te voglio solo il sole.

Ed è vero che Alessandro non aveva vinto nessuna medaglia in quella Olimpiade, ma l'amore della sua vita era tornato per lui ed era di nuovo suo.
E per lui, questo, valeva più di qualsiasi altra cosa.

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