Era grigia, buia, silenziosa come lo era sempre stato lui, la stanza in cui Simone viveva recluso da chissà quanto tempo. Dieci erano gli anni passati dalla nostra vita condivisa, prima che io mandassi tutto in malora fuggendomene da una Roma desolata di fine agosto. A lui dissi che era un viaggio on the road, che avrei lasciato il cellulare per allontanarmi da tutto e da tutti, avevo bisogno di respirare. Ma poteva stare tranquillo, gli avrei scritto una lettera ad ogni tappa raggiunta. Fu una bugia vigliacca, che gli colorò il volto di serenità e mi liberò da ogni possibile senso di colpa. Almeno per il tempo del viaggio. Lui, tanto abituato alla mia freddezza, si stupì a tal punto di quell'ultimo abbraccio che gli occhi gli si velarono di lacrime. Lo vidi farsi sempre più piccolo dal finestrino del treno, mentre nello sguardo si concretizzava la realizzazione del mio abbandono. Fu lì che mi disse addio sul serio, nel momento in cui il treno curvò e i nostri sguardi si interruppero, lasciando odio e rancore scivolare lungo le rotaie.
Più alto, spalle larghe e forti, capelli quasi rasati. Simone mi guardava oltrepassandomi, come se fossi solo uno dei tanti spettri tornati al focolare per tormentarlo.
Il suo indirizzo l'avevo trovato spulciando qualche contatto della rubrica, chiedendo in giro notizie sul mio Simone. Ed ora mi trovavo al suo cospetto, un'anima dannata pronta a ricevere una sentenza. Avrei avuto accesso al Paradiso, o sarei stato ributtato agli inferi di quel palazzo di trenta piani con un calcio in culo e tanti cari saluti?
Sbirciavo la stanza per evitare il suo sguardo, ma più evitavo e più mi parava di sentire la sua presenza fin dentro le ossa.
Un sospiro, un passo indietro verso la sua casa, la mano tesa ad indicarmi la strada.
"Manuel Ferro in persona alla mia porta, che sorpresa" disse atono, combattendo contro ogni tentativo di resistenza autoimposta.
Glielo lessi in volto, ma egoista quale ero me ne infischiai e con fin troppa spavalderia mi feci avanti, il mazzo di fiori in mano lasciato pendolare lunghi i fianchi.
"Questi sono per te" dissi come se niente fosse, come se non fossi sparito dalla circolazione per dieci anni.
Non li afferrò, non li degnò nemmeno di uno sguardo, mi fece solo cenno di lasciarli sul tavolo da tè del soggiorno.
Mi accorsi allora dell'arredamento improvvisato, dei mobili presi in chissà quale mercatino delle pulci, tarlati come scolapasta, tappezzati di adesivi ultras che non potevano essere di Simone. Mille colori sparati a caso, qualche foto di famiglia appesa alle pareti, Dante, la compianta nonna, gli amici, qualche viso nuovo. La sua storia senza me. Ma cosa ti aspettavi? mi dissi, Di trovare un altarino in tua memoria?
Mi accomodai sul divano rappezzato senza invito e mollai i fiori quasi fossero un'arma sul tavolino ai miei piedi.
Simone era sparito. Sentivo dei rumori in cucina, un frigo, cassetti che si aprivano e si chiudevano, posate scontrarsi, bicchieri, vetro, un apribottiglie, un colpo di tosse, un sospiro, un cassetto chiuso con non molta calma, un cellulare che squilla, ti chiamo dopo, sono in una situazione scomoda per parlare.
Riapparve dalla cucina con le birre in mano, un nuovo modo di camminare che non gli avevo mai visto addosso lo trascinò sofferente fino a dove mi trovavo.
Mi passò la birra ma rimase in piedi.
"Direi che è il momento di brindare, non credi?" chiese lui senza alcun entusiasmo.
"Ai ritorni" continuò.
Io annuii e allungai la bottiglia che si scontrò con la sua.
"Ai ritorni" risposi.
"Anche se credo che dopo dieci anni si possa parlare anche di resurrezione" apostrofò sarcastico.
Mi guardava dall'alto come un idolo antico, crudele e salvifico al contempo. Il sorriso così distorto si portava con sé tutta l'angoscia di un amore non ricambiato, e non fece che soppiantarmi di rimando.
Avvilito, gli chiesi di accomodarsi al mio fianco. Mi aspettavo un rifiuto, eppure si sedette quanto più lontano da me, ma sulla stessa poltrona distrutta.
"Non faremo finta che non sia successo nulla".
"Non desidero fingere".
"Sarà che dopo anni ti sarai stancato di farlo".
"Non essere crudele, Simone".
"Non potrò mai arrivare ad essere nemmeno la metà crudele di quanto lo sia stato tu".
Non mi servì guardarlo negli occhi per sentire l'odio smarrito che da quelle rotaie era finalmente arrivato a pugnalarmi.
Mi alzai in fretta e furia, pronto a correre incontro alla porta e alla mia vigliaccheria, ma lui ancora una volta mi afferrò per una mano.
"Manuel, ti prego, siedi".
Addomesticato al suo tocco, mi sedetti senza riuscire a proferire parola. Dinanzi a lui mi perdevo, la spavalderia si scioglieva tra le dita, la sentivo colare sul pavimento in gocce dense come sangue.
"Sono stato duro, non ci vediamo da molti anni, dopotutto ci siamo voluti bene un tempo, raccontami della tua vita, di cosa hai fatto in questi anni, in quali guai ti sei cacciato?".
Nel giro di una mezz'ora la tensione si era allentata, e ci eravamo impadroniti del divano dilatandoci fino a quasi sfiorarci. Lui rimaneva sulle sue, se provavo ad appoggiare una mano sulla spalla si ritraeva cordialmente e non mi guardava per più di qualche secondo in viso. Ogni corsa al frigo era tinteggiata da risate sempre più ebbre e così venni a conoscenza della sua laurea a pieni voti, della malattia della nonna, della sua prima vera volta con un ragazzo che non era andata poi chissà quanto bene. La stanza iniziò a perdere i confini, la spazialità si ridusse al solo divano su cui galleggiavamo pronti ad essere ribaltati in pieno oceano. I suoi occhi sempre più lucidi sembravano sorridermi e mi ricordavano della nostra giovinezza passata a darci cazzotti col solo desiderio di sfiorarci un'altra volta. Non so come mi trovai con una canna tra le dita, gliela passai e le nostre dita si sfiorarono per mezzo secondo,ma ciò bastò per sentire il cuore corrermi dal petto in gola e poi nuovamente in petto. Che incantesimo la sua presenza, il cuore che respirava, il cuore si dilatava d'amore per scoppiare, il mio cuore, il mio cuore spento morto pronto ad arrendersi ecco che prendeva vita, dopo tanto rocambolare dopo tanto sbagliare dopo tanto cancellarmi. Il mio cuore, il mio Simone.