Parte 1

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Do I wanna know?
If this feeling flows both ways
Sad to see you go 
Baby we both know
That the nights were mainly made for saying 
Things that you can't say  tomorrow day. 

**

Giorno della sentenza: 27 giugno 2015.
Giudice: FK.
Difesa: Avvocato Northon.
Accusa: Avvocato Preston.
Tribunale: Tribunal of Portland, Maine



«Signorina Jauregui, sa per quale motivo lei è qua?»

Tic, toc.
Tic, toc.
Il suono delle lancette pareva rimbombare per tutta la stanza, a tratti il frastuono era insopportabile. Ma era solo uno stupido oggetto di plastica, non avrebbe dovuto darmi tanto fastidio. Ormai avevo imparato a memoria le trame del banco di legno, che aveva di fronte. L'aria sapeva da vecchi sigari, anche se ero del tutto certa che lì non si potesse fumare, così come riuscivo a vedere i strati di polvere attaccati alle sedie di velluto, che rendevano il tutto più vecchio e soffocante. Il sole fuori era pallido, i raggi arrivavano flebili ad illuminare l'aula, lanciando ombre sinistre sulle pareti spoglie. A volte avevo l'impressione che quella stanza avesse una vita passata – magari negli anni venti al posto mio c'era qualche ricco imprenditore, indagato per traffico di armi illegale e si fumava un sigaro, mentre rispondeva alle domande degli avvocati. Considerazioni, considerazioni. Avrei potuto farne tante io, a partire dall'odore pungente di ammoniaca che dovevo sentire ogni giorno, mentre attraversavo l'immenso corridoio, per arrivare al bagno comune del carcere, fino ai lunghi baffi grigi del mio avvocato, il signor Northon, che avrei voluto strappare uno a uno con le mie stesse mani. Lui non era mio amico, nessuno lo era lì, soprattutto non con quei loro sguardi compassionevoli addosso. Non avevo bisogno della loro pietà.
«Signorina Jauregui...» basta. Non avrei sopportato di sentire quella frase una volta di più e considerando che sarei rimasta rinchiusa lì dentro, fino alla consumazione del mio ultimo secondo di vita, tanto valeva parlare.
«È cominciato tutto con una schifosissima conferenza sulle ragazze madri.»
«Prego?»

Stavo malissimo quel giorno, mi sentivo uno straccio. Ero percorsa da brividi di freddo e coniati di vomito, vedevo tutto sfuocato e veramente credevo che niente sarebbe potuto andare peggio di così. Proprio quel giorno, proprio il giorno in cui avrei dimostrato che valevo qualcosa, che non ero quella Lauren che tutti credevano di conoscere – quella frivola, senza cervello, no io non ero così.
Quattordici aprile, conferenza sulle ragazze madri, direttamente nell'aula magna dell' Evan Brit High e io dovevo tenere il discorso rappresentativo della mia classe. Provai ad alzarmi dal letto, con pessimi risultati. Caddi a terra e quasi sbattei la faccia sul pavimento, un altro brivido mi attraversò la schiena. All'epoca tendevo molto al melodrammatico e all'esagerazione, mi stavo chiedendo perché quella disgrazia fosse capitata proprio a me, uno stupido virus. Ripensando però a come poi gli avvenimenti si svolsero successivamente, credo non avessi tutti i torti ad essere così pessimista.
Mi preparai velocemente una spremuta, cercai di mangiare una mela senza dare di stomaco e dopo aver preso tutti gli antidolorifici, pastiglie per il mal di testa, per la febbre e dolori vari, andai a vestirmi. Pescai la prima cosa che trovai nell'armadio, mi feci una treccia veloce con le mani tremanti e uscii di casa – avevo due occhiaie mostruose, ma non me ne importava. Mi bastava arrivare fino alle 14.00 di quel pomeriggio, ero determinata a fare bella figura, ma non solo, quella riunione si sarebbe andata ad aggiungere al mio curriculum come credito e mi sarebbe servito per la borsa di studio, di cui avevo un disperato bisogno. Certo, questo problema non ci sarebbe stato se mio padre non avesse lasciato me e mia madre nel fango, per risposarsi con una ventenne bionda e psicopatica. Dire che poteva essere mia sorella.
Quando arrivai a scuola, cercai con tutte le mie forze di non farmi assalire dal panico, di fronte a tutti quei tailleur, giacche e cravatte, gente ricca che poteva permettersi i migliori college d'America. Io non appartenevo più a quel mondo da circa un anno e le persone amano chiacchierare, dire cattiverie gratuite, come se fosse colpa dei figli se si ritrovano ad avere dei genitori inadatti ad essere tali.
"Mi chiamo Lauren Jauregui e sono qui oggi non solo per confrontarmi con voi, ma anche per aprire gli occhi alle tante diciassettenni come me che..." uno stormo di applausi, parole di compiacimento, sguardi orgogliosi...
«Signorina Jauregui? Signorina Jauregui, mi sente? » fu la professoressa Nicoli a sollecitarmi a raggiungere il palco e, devo dire, anche lei aveva questa insopportabile mania di chiamarmi "signorina Jauregui", avvocato Preston.

Preston mi guardò con cipiglio, credo non avesse apprezzato la mia frecciatina.
«Prego, continui.»
Guardai le penne che tutta la giuria teneva in mano a mezz'asta, pronte a toccare il foglio ancora una volta, per segnare instancabile ogni dettaglio della mia sciatta esistenza passata. Continuai, provando a non sentirmi nauseata dall'uomo che mi stava davanti. Dovevo parlare per me stessa.


Attraversai tutta la pedana con lo sguardo fisso davanti a me, trattenendo il respiro, era arrivato il momento, in fin dei conti mi era sempre piaciuto parlare in pubblico. Inspirai ed espirai, contai mentalmente i passi mentre ripetevo tra me e me quel discorso che ormai conoscevo a memoria, ma continuavo a stare male. Salii sul palco e mi avvicinai al microfono. Non ricordo in quale frangente la mia mente andò in tilt, vidi tanti occhi puntati su di me, occhi pieni di disappunto, di disapprovazione, di chi voleva testare la mia capacità espressiva, di chi era malizioso. Feci un profondo respiro e pregai che mi uscisse la voce, se non un tono fermo, almeno un flebile suono.
«Salve a tutti, mi chiamo Lauren Jauregui e...» mi bloccai, non riuscivo a trovare le parole giuste, la mia mente cancellò completamente quell'elaborato discorso su cui lavoravo da mesi. Notai che infondo all'aula vi erano anche studenti che frequentavano i miei stessi corsi, sulle loro labbra comparve un sorriso beffardo. La nausea della mattina mi aveva assalita di nuovo. Nel panico reagii d'impulso, facendo l'unica cosa che conoscevo: scappai, ero sempre scappata dalla "vera me" e avevo sempre preferito costruirmi quella facciata di frivolezza e totale disinteresse per la vita, che però arrivata a quel punto non mi stava più bene. Corsi senza voltarmi indietro, finché non raggiunsi il Vecchio Porto, senza accorgermi che una figura mi aveva inseguita.
«Certo che sei veloce per essere una ragazza.» mi voltai verso il ragazzo che aveva parlato, non lo conoscevo, anche se quei tratti delicati, regolari, gli occhi scurissimi come i capelli scarmigliati mi erano familiari.
«Perché le ragazze non possono correre velocemente?» lui mi fissò divertito e cominciò a ridere.
«Oh sì, possono eccome, ma di solito lo fanno solo quando si sono cacciate nei guai e hanno gli sbirri alle calcagna.» e rise ancora, anche di fronte alla mia espressione seria e impassibile, io non mi stavo per niente divertendo.
«Devi frequentare proprio della bella gente.»
«Quel tipo di persone che tu disprezzi, magari.» all'epoca non l'avevo capito, ma l'aveva detto solo per provocarmi. Solo allora notai che era vestito di tutto punto, elegantemente e pensai che anche lui doveva essere in aula magna, altrimenti non avrebbe avuto senso essermelo trovato lì.
Sollevai un sopracciglio, «Scusa e tu chi saresti per dire ciò che disprezzo e cosa no? Non sono venuta io da te, anzi, nemmeno ti conosco e per quanto mi riguarda potresti essere un assassino. Quindi che vuoi?» quella volta rimase serio, si tolse la giacca e se la buttò sulle spalle.
«Un assassino in pieno giorno, che prima si fa una chiacchierata con te e poi ti uccide? Nah, non sono il tipo, a me piace agire con classe.» io non risposi, tenevo le braccia conserte e non avevo nessuna intenzione di dargli corda. Anzi, avrei solo voluto tornarmene a casa, nel mio letto e maledirmi per aver perso dei crediti scolastici tanto preziosi, così stupidamente. «Ero in aula maga, in realtà. Frequento anche io la Evan Brit High e più di una volta ti ho vista per i corridoi, sono il fratello di Safiah, mi chiamo Zayn.» ah, ecco perché ero sicura di averlo già visto, Safiah era anche con me a biochimica.
Gli strinsi la mano che mi stava porgendo, «Lauren e continuo a non capire perché mi hai seguito fino a qua.»
Zayn alzò le spalle, «Volevo solo controllare che stessi bene.»
«Con tutto il rispetto, Zayn, sei gentile, ma non mi sembri il tipo che si prenderebbe la briga di correre sotto al sole semplicemente per chiedere a una perfetta sconosciuta come sta. E comunque, per rispondere alla tua domanda, male. »
«Lo sapevo che eri una sveglia.» sogghignò, «No infatti, non volevo solo sapere questo. Ho una proposta da farti, piuttosto.» sollevai un sopracciglio, perché non avevo la minima idea di quello che potesse chiedermi, così lo lasciai continuare, palesemente incuriosita. «Un viaggio per gli Stati Uniti, solo io e te, Coast to Coast, rendiamo fieri il vecchio Jack Kerouac.»
Tra tutto quello che avrebbe potuto chiedermi, quella era l'ultima cosa che mi sarei aspettata. Inizialmente credevo scherzasse e invece era al cento per cento serio - mi sembrava una follia. 
« E perché chiedi proprio a me? Non ci conosciamo neanche. » nemmeno ebbi la forza per protestare. Sapevo solo che mi stava girando la testa vorticosamente, avevo bisogno di sedermi all'isante e quel ragazzo doveva essere certamente pazzo.
«Ti ho vista un pomeriggio fuori da scuola, seduta sui gradini d'ingresso e stavi leggendo Vanità di Duluoz. Così ho iniziato a pensare e ripensare e non riuscivo a togliermi quell'immagine dalla testa - avevi un'espressione così concentrata, ma allo stesso tempo rilassata, si vedeva che ti piaceva ciò che stavi leggendo. E allora ho capito che solo tu, in mezzo a tutta questa marmaglia di ragazzini ricchi e viziati, solo tu potevi seguirmi in un'impresa simile.»
«N-no, è fuori discussione. Sei completamente fuori di testa.» ma non feci nemmeno in tempo a voltarmi, che mi sentii cadere a terra e poi vidi tutto buio.

Bad decisions make a good story.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora