giro 1

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La sveglia suonava e tremava sul comodino totalmente in disordine, un paio di calze caddero a terra. La luca della candela che mi ero dimenticata accesa prima di addormentarmi le illuminava appena e mi pare che il loro colore fosse grigio. Non metto di solito calze grigie, chissà da quanto tempo erano li.

Altro giorno altro giro, o meglio altra notte.

Mi drizzai a fatica sul bordo del letto, mi massaggiai il collo e il calore della mia mano sulla mia stessa pelle mi fece trasalire, ero a pezzi, il lavoro mi distruggeva e mi stava trascinando sempre più giù.

Ma fermarmi non era una opzione.

Puntai le mani sul materasso molle e con uno slancio lasciai che le mi gambe si irrigidissero da sole, ero in piedi e barcollavo verso il bagno senza neanche piegare le ginocchia. L'orologio segnava le tre del mattino con un Led rosso sul davanzale in vetro sotto lo specchio. Dalla piccola finestra del mio appartamento entrava una luce malata, fredda e soffusa, erano il misto dei bagliori dei lampioni con l'umidità della notte che creava quell'atmosfera soffocante, quella in cui mi ritrovavo tutti i giorni.

Mi lavai i denti, presi tutti i vestiti di cui necessitavo da una pila lasciata sul bordo della vasca da bagno, dovevo coprirmi a dovere, reggiseno sportivo, canottiera, maglia termica, felpa e bomber. Tutto rigorosamente nero, poi pantaloni cargo in cui nascondevo la refurtiva costosa, o i 'medicinali pesanti', come piaceva chiamarli al capo.

Infilavo la roba più costosa all'interno dei pantaloni e poi dentro gli stivali così che se dovessi iniziare a correre era impossibile seminare qualcosa in giro.

Correre.

Andai in camera di mio padre, lo guardai rapidamente dormire rigido nel suo letto, 'almeno lui dormiva', pensai egoisticamente chiudendomi la porta alle spalle.

Era questa la strada che avevo scelto, non si tornava indietro.

In cucina, sotto il tavolo, in un cassetto scardinato e che si apriva a fatica, custodivo gli appuntamenti della giornata, tutti i clienti che avrei dovuto visitare e che il capo settimanalmente mi inviava nome e indirizzo. Letteralmente un vero giro di visite però.

Mi vergognavo a vendermi per una persona che non ero, tutte le mattine un nodo alla gola mi faceva venie il voltastomaco alla sola vista di quelle pagine scritte a matita che tenevo di nascosto, come se fosse un vero diario segreto da teenager. Allo stesso tempo procedevo con una routine maniacale senza che il mio corpo rispondesse a questa mia repulsione mentale, con il pensiero rigido e infrangibile che mio padre non sapesse cosa facevo per mantenerci, per estinguere i debiti e permetterci una vita dignitosa. Ma mancava poco, il saldo era stato estinto e a breve mi sarei riuscita a permettere un appartamento nella parte alta della città, piccolo, solo per me e lasciare questo a lui, l'affitto poteva pagarselo dopo aver estinto i debiti con lo strozzino che gli aveva procurato il lavoro come artista negli ultimi quarant'anni.

E io sarei stata libera.

Scesi di sotto svelta, a volte prendevo la bici, a volte camminavo, bardata come un ladro che nascondeva il mio corpo e mi faceva sembrare una sagoma nera informe su un marciapiede pozzo e con uno zaino con una croce rossa sopra le spalle.

Ero 'l'infermiera'.

Così venivo chiamata dai maggiordomi che aprivano le case illuminate in maniera soffusa, di notte, quando mi introducevano ai ricchi padroni seduti su sontuose poltrone in pelle, velluto, divani con pellicce sopra, vasche da bagno incastrate in pavimenti di marmo e circondati da ragazze bellissime e con occhi da gatto.

A quel nome abbassavo lo sguardo, tiravo su la sciarpa e nascondevo il volto.

Non una parola, non uno sguardo di simpatia, niente più sorrisi, niente più parole gentili.

Non era iniziata così. E non l'avevo presa neanche così male.

Doveva essere una lavoretto semplice e di poche ore ma remunerato a dovere, con qualche piccolo rischio, ovvio. Essere beccata dalla polizia.

"Tu entri, fai due moine, ti fingi l'infermiera perché 'avanti chi se la può prendere con chi aiuta il prossimo', consegni la roba e poi esci senza dare nell'occhio" Poi il capo mi guardò da capo a piedi con i suoi occhi iniettati costantemente di sangue, nei miei ricordi erano rossi, non marroni come di solito venivano fotografati alle vene esclusive dell'alta società, e quel ghigno che mi gelava il sangue nelle vene. "Poi se vuoi ti concedi a loro ma questo è solo un suggerimento. Fine. Quando so che il cliente ha ricevuto tutto ti lascio lo stipendio nella cassetta delle lettere."

Questo era tutto, il mero galoppino che vedeva decine e decine di uomini diversi a notte. Ricevere i soldi e pagavo i debiti.

Ma era tutto diverso una volta. Era difficile ma tutto scorreva, tutto andava avanti e non riesco neanche a dire di preciso quando le cose hanno iniziato a incagliarsi, o meglio, riesco ma raccontarlo fa ancora male, e penso che mai lo farò.

Perché sei una vigliacca, spaurita, debole, ingenua bambina...

Scrollai la testa mentre ancora camminavo senza una meta per strada. Era momento di concentrarsi e non perdere tempo. Bene, quel giorno avevo solo tre appuntamenti. Per le 6 del mattino sarei tornata a casa sana e salva e mi sarei dedicata al mio passatempo preferito.

Si spera sempre.

La nebbia rendeva la strada una tavola grigia e uniforme, vedevo solo le luci delle auto che ogni tanto mi passavano accanto e mi rendevano difficile la lettura dei miei appunti presi a matita, una matita che tra l'altro costava un patrimonio perché era quella che usavo per disegnare le mie tavole.

Il primo nome della lista era scritto in stampatello, con la mia calligrafia storta e appuntita.

TOJI FUSHIGURO.

Non conoscevo quel nome, non riuscivo ad accostarlo a un viso, quindi, iniziai a digitare l'indirizzo del luogo di consegna sul navigatore del cellulare che usavo per lavorare.

Il mio personale restava silenziato in fondo allo zaino, nessuno mi avrebbe cercato a quelle ore della notte.

Il puntino rosso sbucò al centro dello schermo mostrandomi una zona molto altolocata della città non molto lontano da dove mi trovavo.

Infilai le mani in tasca dopo aver controllato velocemente la strada ed essermi affidata al mio infallibile senso dell'orientamento.

'Speriamo solo di trovare un uomo buono'. Fù il mio unico augurio.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 09 ⏰

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