Mi sentivo soffocare. Un pezzo di morte senza fiato. Il fiato che ho sempre donato a te. Che ho creato per te. Voglio privarmi del mio respiro, regalandolo a te. Te che adesso ti stai facendo schiacciare da dolore e dalla insoddisfazione che ti sto dando. Neanche volessi farlo apposta. La morte è spaventosa. Arriva quando non te la spetti. Tu eri lontano dalla morte. Non che una cosa coì brutta si possa innamorare di te, una cosa così bella. Le combinazioni perfette sono rare in un mondo imperfetto, non impossibili. Come io e te. Come te e la morte. Ma la morte non voleva rubarmi il colore dei tuoi occhi diventandosi bianchi. Non voleva rubare il tuo fiato. Voleva il mio. O forse lo volevo io. Tutto è così confuso quando sei rinchiuso in una bara. L'unica sensazione è il buio intorno a te. Ed il freddo. E' difficile ricordarsi il passato. Non che io abbia un passato. O forse sì. Il passato e il futuro non sono la stessa cosa? No, non lo sono. Ma hanno un legame, come noi due. Hanno bisogno l'uno dell'altro per esistere. Senza passato, che cos'è il futuro? Senza di te, chi sono io? Il carro funebre mi sta portando via da te. Me ne sono già andato. Me ne sono andato dall'unica casa sicura. Ma prima o poi ognuno incontra questa nuova strada. Non è che abbiamo scelta. E' così e basta. E dobbiamo accettarlo. Tu devi accettarlo. Perché me ne sono andato. Ma ti prego, non avere paura. Perché tanto torneremo a casa. Voleremo via insieme. Un giorno seguirai il mio cammino, come io ho seguito quelli di molti altri. Il carro si ferma, senza benzina. La morte mi aveva già strappato da te e adesso la mia bara non sarà sotterrata insieme a tutte le altre persone. I miei compagni. I miei compagni di morte. Come farò adesso a dormire in pace? E sognare tutti i nostri preziosi ricordi? Quei piccoli ricordi che brillano come le stelle nel mio cielo stellato. Nel mio cielo stellato che una volta era solo una grande distesa nera. Ma ora vagano tutte quelle piccole scintille che abbiamo creato insieme. Quanto vorrei tornare indietro. Mi spiace che abbia preso questa decisione. Mi spiace se ho cercato la morte prima che lei cercasse me. Ero felice. Lo giuro. Forse sono le persone più felici le prime ad andarsene. Quelle che tengono il dolore dentro perché sanno che non potrebbero reggerlo. Io. Io non riuscivo a reggerlo. Non che fossi debole. Ma non volevo soffrire. Tutto qua. Non volevo farti soffrire. Perché ammettiamolo. Tu eri perfetto. Avevi un'anima perfetta. La mia anima è divisa. Ho un'anima divisa. Come se le due parti si fossero allontanate per paura. Voglio urlare. Voglio che il mondo sappia che ho un'anima divisa. Ma come faccio ad urlare se non ho più fiato nel polmoni? Mi sento soffocare. La mia bara, adesso dentro un taxi, continuava ad essere silenziosa. A volte il silenzio è proprio assordante. Quel taxi era meravigliosamente semplice. La semplicità in quel momento era come una ancora. Mi teneva ancora appigliato al mondo dei vivi. Mi teneva ancora appigliato al tuo mondo. Al mondo che una volta era nostro. Che adesso non è più mio. Ma sarebbe stato di molte altre vite che meritavano di vivere. Come la tua. Sul taxi contavo tre uomini. Erano lontani ma comunque così vicini. Non mi sono sentito solo per un piccolo e unico momento. Poi uno di loro parlò e la sua voce buttò giù quel muro di silenzio che si era creato intorno a me. "So che la notte diventerà grigia. So che le stelle inizieranno a svanire. Dovevamo strapparlo al suo destino. Così avrebbe potuto vedere un altro giorno". Era divertente al fatto che non avesse detto "vivere" ma "vedere". Cosa voleva dire vedere un altro giorno? Forse un giorno che si sarebbe trasformato nella lunga e odiosa notte che la morte voleva farmi vivere. Era quasi una contraddizione l'uso della parola vita in una frase con la parola morte. Ma alla fine era il mio destino. Che stupida parola. Destino. Chi crede più al destino? Io non ci voglio credere. Voglio credere che la mia vita l'abbia vissuta io senza che nessuno l'avesse stabilita per me. Sono io che decido le cose. A parte quando sei morto. Vedevo una piccola e fioca luce. La luce. Perché la luce era sempre abbinata alla vita? Perché non potevo godermela anche se ero morto? La luce quasi mi investì. Illuminò il punto dove le mie unghie avevano lottato. Sì. Ho lottato. Per te. Per me. Per noi. Il sangue gocciola. Insieme alle lacrime che non ho mai buttato fuori. Il dolore era così forte. Così ingiusto. Ma avevo imparato a rintanarlo dentro di me. In un piccolo punto dentro. Nessuno aveva accesso a quell'area. Neanche tu. Non mi piaceva quella parte di me. Ho provato a ridurla, a farla diventare piccola e impotente. Ma lei è diventata tutt'altro. E' cresciuta e si è nutrita di me. E ha vinto. Adesso sono seduto sul pavimento e davanti a me ci sono i tre uomini di spalle. Sono anche loro illuminata dalla luce. Vedo le loro grandi spalle. Un rivolo di fiato mi fu regalato da quelle presenze misteriose e io posi la domanda che più mi tormentava in quel momento. "Sono vivo e vegeto o sto sognando la morte?". Era una domanda inutile. Non era una domanda. Era ancora la speranza. Speranza che stavo perdendo. Un uomo si voltò e mi rispose. "Stiamo guidando verso il sole del mattino. Dove tutto il tuo sangue viene lavato via. E tutto quello che hai fatto verrà annullato."
Ti vedo piangere. Ti vedo soffrire. Non ho mai voluto questo. Volevo solo che fossimo felici. Ti prego, non avere paura.