Catharsis

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Catharsis in darkness
When you can't seem to feel a thing
The absence that haunts you
Won't hurt much longer

Miw - Catharsis.


L'Inferno era l'Inferno.

Non c'erano altre parole per descriverlo, perchè l'Inferno non faceva altro che portarti nei più lugubri pensieri e nelle più assolute certezze che la tua anima era condannata a subire. Quei pensieri che di sera si incastravano nella mente, si ripetevano in loop come un girone simile a quello dello scrittore che Alastor conosceva, ma di cui non ricordava il nome: ora lui ci stava pensando, guardando quel cielo rosso scuro, sempre lo stesso, che variava in base al giorno e la notte e che in quel momento preannunciava - da tempo ormai - che fosse ora di dormire e di abbandonare quelle frasi che si ripeteva in continuazione nella mente.

Non sapeva neanche lui perchè fosse in quelle condizioni, forse andare da Rosie e svelare in parte il segreto del suo sorriso a Charlie lo aveva portato incosciamente a pensare cosa ci fosse oltre e questo lo aveva anche portato a estraniarsi da tutti, da tutto.

Ora se ne stava lì, sulla poltrona della sua radio, le gambe sul tavolo in cui si registrava o si facevano le cose che le radio fanno, eppure non vi era voglia di farlo: forse vi era rabbia, forse vi era delusione o forse vi era tristezza, ma non di certo la passione nel farlo.

Guardava quel cielo da ore, giorni, pensava; con i soliti pensieri e le solite paranoie che quei momenti gli davano.

Avrebbe voluto sfogare tutto pugnalando Vox, ma era convinto che neanche quella vendetta avrebbe aiutato. In fondo uccidere Vox significava anche - e gli dispiaceva ammetterlo - che non avrebbe più avuto un "compagno di gioco".

Sentì la porta aprirsi e non si mosse per vedere chi era, in realtà non gli interessava neanche vederlo, lui e quell'orripilante profumo angelico che si portava addosso.

Si costrinse a sorridere, si costrinse a far ruotare la sedia e mostrare quel minimo interesse nel guardarlo e incuriosirsi se nel bruciare avrebbe comunque emanato quel profumo disgustoso.

«Alastor... non sei in giro da parecchio... ti sei arreso?» lo stuzzica Lucifer.

«Ti piacerebbe, vero?!» ribatte con una risata delle sue.

«Non sono io che sono chiuso in questa stanza da giorni!»

Alastor si chiese quanto tempo fosse veramente passato, Lucifer aveva appena detto che fossero passati dei giorni, eppure non se ne era neanche accorto. Guarda i giorni passargli avanti, momento dopo momento, eppure non se ne accorgeva, oppure non voleva rendersene conto che ciò che stava vivendo era un problema che avrebbe dovuto affrontare.

Prima o poi... poi...

Il suo sorriso vacillò per un attimo, le orecchie si piegarono quel poco da far notare a Lucifer che qualcosa non andasse sul serio.

«Me lo dici perchè ti sono mancato? Che papà premuroso!» ribattè sarcastico.

«Alastor, cosa c'è che non va?» risponde più seriamente.

Si avvicina a lui, quel tanto da far sembrare alla gente che fossero solo due persone, amici che scambiavano quattro chiacchere, quando in realtà loro erano tutto tranne che amici. Quasi gli venne da ridere a pensarci, ma si trattenne per non rovinare la serietà della domanda.

«Va tutto bene.»

La risposta infastidita tradì Alastor e lo tradì anche il comportamento che ne venne dopo: roteò con la sedia e gli diete le spalle, coperto dalla sedia potè tornare a non sforzarsi di sorridere così tanto da sentire la pelle delle guance tirare.

«Alastor...» iniziò Lucifer cauto «Sai, essere un arcangelo mi da dei privilegi, privilegi che quel coglione di Adamo o ha smesso di usare o li ignora totalmente.»

«Vattene.» la voce di Alastor ora era ferma, roca e rabbiosa.

Lo avrebbe incenerito se solo fosse stato un briciolo forte quanto lui.

«Questi privilegi che abbiamo ci portano a capire quando l'anima di qualcuno sta male... e siccome sei all'Inferno e devo farti pagare ogni peccato tu abbia fatto - per quanto io capisca e approvi quel peccato - ora devi dirmi cosa c'è che non va!»

Lucifer fece quel discorso con un tono di voce calmo, paterno, perchè in fondo tutti quei demoni lì all'Inferno non erano altro che piccoli bambini in cerca di pace e quei bambini erano in qualche modo dei suoi parenti.

La risposta fu una risata fatta con il cuore o abbastanza scenografica da sembrarlo.

«Non ho nulla che non va, paparino!» rispose.

«Eppure ti sei voltato quando mi sono avvicinato... se tu stessi bene, non mi avresti dato modo di parlare! Ne quando sono entrato qui, ne quando ti ho provocato, ne ora che ti sono alle spalle... cazzo, devo iniziare a pensare di trovare qualcun altro con cui scopare?!»

Alastor gli si drizzarono le orecchie a ricordare quei vari episodi in cui lo avevano fatto in quella radio, ovunque e distruggendo ogni cosa, eppure anche quell'aspetto dei ricordi risultò vago e triste.

Abbassò il capo appena, un lieve sorriso sul volto per ricordare quegli avvenimenti che sparì quando Lucifer voltò la sedia e lo guardò per quello che era: un cucciolo di cervo impaurito e triste.

Si inginocchio per stare alla sua stessa altezza e alzò appena il capo con un tocco delicato sul mento, per guardarlo negli occhi.

«Con me non devi forzarti a sorridere sempre.»

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