Capitolo 3

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Llaru le stava preparando la colazione, un evento più unico che raro, considerando la sua incapacità di distinguere il giorno dalla notte. Davanti a Ofelia, sopra una graziosa tovaglietta gialla che poteva giurare di non aver mai visto, comparvero pancake allo sciroppo d'acero, una ciotola di mirtilli e un intruglio di frutti che emanava un forte quanto sospettoso odore di erbe.

Guardò sua zia con aria scettica, ignorando il batticuore che l'aveva invasa dalla sera prima, quando si era decisa a preparare lo zaino con l'occorrente per tornare all'università. «Devi mangiare, o ci sparirai davanti agli occhi.» La zia le rivolse un occhiolino malizioso, e Ofelia riuscì a pensare solo "oh, no!", prima di lanciarsi sul cibo.

Era effettivamente affamata, ma mai e poi mai si sarebbe fatta trascinare nel discorsetto con Llaru. Che pensasse pure che avesse problemi di cuore, almeno non l'avrebbe costretta nelle sue interminabili ore di meditazione per riconquistare il controllo sui suoi poteri.

Zia Dafne entrò in cucina volteggiando come una ballerina di altri tempi e posò un bacio zuccheroso sulla fronte della nipote. «Tienilo con te. Ti servirà, oggi» le mormorò, facendole cadere in grembo un sacchetto in iuta, non più grande del suo palmo.

Zia Dafne era suonata come una campana, ma nessuno mai avrebbe contraddetto le sue visioni, soprattutto quando la sua iride destra diventava bianca e luminosa. Le sue premonizioni arrivavano come e quando volevano, indipendentemente dalla volontà della donna. Anche per questo non si addentrava mai in città: avevano rischiato troppe volte che, in seguito alla lettura del futuro della panettiera o del calzolaio, le arrivassero minacce di farla rinchiudere in manicomio.

Ofelia finì di ingurgitare ciò che aveva nella ciotola, bevve l'intruglio senza porsi troppe domande e poi corse al piano superiore, a recuperare zaino e anfibi. Solo quando fu sulla porta di casa, intenta a salutare le sue zie, si ricordò del sacchettino di iuta e lo infilò in tasta. Non aveva bisogno di aprirlo per sapere cosa c'era dentro: alcuni sassolini di ambra e azzurrite vibravano a contatto con il suo palmo, rilasciando un leggero calore. Non aveva idea del perché sua zia avesse sentito la necessità di farle quel dono, ma aveva bisogno di tutto il coraggio possibile per arrivare alla fine di quella giornata. Chiuse la porta dietro di sé con un tonfo.

Le prime due lezioni della mattina erano finite senza intoppi e Ofelia non faceva che darsi della stupida per aver tardato così tanto a tornare nel suo luogo speciale.

Il professore di storia rinascimentale le aveva anche riconsegnato la ricerca che aveva svolto qualche settimana prima e che le era valsa un bel ventinove. Suo fratello sarebbe stato contento. Zero, prima di entrare in coma, frequentava l'ultimo anno di ingegneria, una materia completamente sconosciuta a Ofelia. Ogni tanto, la sera, si perdeva a sfogliare i suoi manuali pieni di appunti scritti con una calligrafia piccola e disordinata, quasi illeggibile, ma anche tanto familiare.

Ofelia consumò uno scialbo panino del bar su una panchina all'interno del cortile universitario, animata da una rinnovata positività. Il cielo quel giorno era sereno, nonostante l'aria gelida, e per un po' si arrischiò a togliersi il cappotto. Le Ombre, dentro di lei, scalpitavano impazienti, ma ormai Ofelia sapeva che era tutta scena: il sole non poteva né ferirle né nuocerle in alcun modo. Erano solo un po' viziate.

Quando si recò alle lezioni pomeridiane, il suo primo pensiero andò a lui: ci sarebbe stato? Ofelia sarebbe voluta scappare via, ma non voleva buttare alle ortiche il poco coraggio che era riuscita a raccogliere, quel giorno.

Fatica sprecata, comunque.

Non c'era.

Per un terribile istante pensò che fosse morto, che a ucciderlo fosse stato lo shock che lei gli aveva causato. Scosse la testa allontanando quell'assurdo pensiero, poi prese posto e si preparò per ascoltare la lezione di storia moderna. Il fatto che lui non si fosse presentato l'aveva resa leggera e per le due ore successive tornò a essere la stessa ragazza studiosa che era sempre stata.

Pervasa da quella sorta di euforia, terminate le lezioni si recò in biblioteca. Quasi saltellava e gli altri studenti la guardavano male, ma poco le importava: era riuscita a superare quella terribile giornata e presto si sarebbe ripresa la sua routine. Appena varcò le porte della biblioteca, però, le Ombre la minacciarono di presentarsi se non si fosse avvicinata a quella dannata parete. Ofelia trasse un profondo respiro, poi, fingendo un'espressione disinteressata, si diresse esitante verso il lato sinistro, lì dove le Ombre si erano mostrate la volta precedente.

Non vi erano molti studenti, quel giorno, quindi si prese il suo tempo per osservare la libreria incriminata: non sembrava possedere nulla di diverso dalle altre centinaia presenti nel posto, in legno scuro e alte fino al soffitto. Non possedeva una vera e propria categoria, ma il cartello affisso informava che erano presenti titoli dalla f alla m.

Ofelia si avvicinò ulteriormente, senza avvertire nulla di strano: di solito, quando entrava in contatto con un oggetto incantato, ne avvertiva la presenza a metri di distanza.
Fece scorrere le mani lungo le pareti, tastando il legno scuro e massiccio, alla ricerca di un qualcosa che le dimostrasse che non fosse del tutto impazzita. Nel terzo ripiano, a partire dal basso, vi era un lieve spazio vuoto lasciato dai libri, altrimenti ammassati fino a scoppiare. Li spostò, stringendo gli occhi per tentare di vedere all'interno di quello spazio buio. Vi era un disegno, inciso nel ripiano. Dopo essersi accertata che nessuno stesse guardando, attinse ai suoi poteri per illuminare il suo palmo, così da farsi luce, seppur fioca.

L'incisione era netta, probabilmente nata insieme al mobile, e ritraeva un sottile spicchio di luna, rivolto verso destra. Ofelia sussultò, riconoscendo il simbolo alchemico dell'argento.

Non poteva sbagliarsi, sua zia Llaru era una esperta in materia; la strega aveva cercato di avvicinarla alle lezioni e, anche se Ofelia non era proprio portata per tutto ciò che apparteneva al mondo della chimica, aveva comunque appreso le basi della materia.

Sfiorò i contorni della luna, sperando che le Ombre le dessero un qualche suggerimento: fino a poco prima sbatacchiavano disperate nel suo sterno e, ora che si era convinta a indagare, si erano zittite e acquietate, in attesa.

«Cerchi qualcosa?»

Ofelia si alzò così in fretta che per un attimo le girò la testa e la sua vista si contornò di puntini neri. Lui, lui, era proprio davanti ai suoi occhi. Non stava sorridendo, ma il suo sguardo era incuriosito e cordiale, come se stesse tentando di non spaventarla. Ofelia iniziò a balbettare parole sconnesse, mentre con tutta se stessa sperava che la mano smettesse di brillare. Era troppo confusa e spaventata per riuscire a ritirare l'incantesimo ed era sicura che, questa volta, lo shock lo avrebbe ucciso.

«Scusami, non volevo spaventarti», pronunciò, passandosi la mano tra i capelli castani e folti. Era alto, molto più alto di Ofelia, ma non per questo sembrava meno a disagio. Non l'aveva mai visto parlare con gli altri studenti, ora che ci pensava: le uniche volte in cui l'aveva visto interagire con qualcuno, era stato durante gli esami, ove assumeva il ruolo di assistente del professore. «Volevo solo presentarmi. L'altra volta devo esserti parso un maniaco, a fissarti così...»

Tentò un sorriso, ma questo non fece altro che rendere Ofelia ancora più confusa. Dopo aver balbettato inutilmente, ora non riusciva più a spiaccicare una parola o a tirare fuori una frase di senso compiuto.

Stupida, stupida.

«Beh, io sono Milo, comunque» pronunciò infine, allungando una mano verso di lei.

La prima reazione di Ofelia fu di spostarsi all'indietro e appoggiò la mano lì dove aveva guardato fino a pochi istanti prima, sulla luna alchemica. Il suo palmo bruciò per un istante, poi, di fronte all'ultima persona davanti a cui avrebbe voluto che una cosa del genere succedesse, uno strano ronzio risuonò nella Biblioteca.

Alzò la testa verso l'alto, attirata da quello strano suono e, dopo un leggero tremore della libreria, un libro le cadde sulla testa, colpendola in piena fronte.
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Buongiorno, cari lettori e care lettrici ❤️
Una piccola precisazione: questa storia è quasi del tutto terminata, quindi dovrei essere abbastanza veloce nel caricare tutti i capitoli.
Fatemi sapere se la storia vi sta piacendo e, se vi va, lasciate una stellina di supporto ⭐️
Un abbraccio,
Enri 🌸

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